1797 La Costruzione dell’Arco Napoleonico
di Stefano Saviotti
L’epoca napoleonica portò una vera rivoluzione anche nel campo
urbanistico, con la realizzazione dell’Arco di trionfo ed il progetto
per il "Nuovo Borgo" fuori Porta Imolese da parte dell'Architetto
Giovanni Antonio Antolini. La Municipalità filofrancese, fra i suoi
primi atti deliberò la costruzione di un arco trionfale in onore di
Napoleone, da erigere sulla via Emilia a 430 metri da Porta Imolese
(poco oltre lo sbocco dell'attuale via Giovanni XXIII). II progetto fu
affidato all'architetto Antolini di Castel Bolognese, che interpretava
meglio l'ideologia dei nuovi governanti rispetto al faentino Pistocchi
(tecnicamente più abile, ma meno nelle grazie dei politici). In stretto
collegamento con l'arco era il progetto urbanistico ad esso collegato,
cioè quello del Nuovo Borgo fuori Porta Imolese. L'idea di Antolini
prevedeva la demolizione di tutti gli edifici del sobborgo, compresa la
chiesa di S. Savino ed il convento del Paradiso, e la loro sostituzione
con due file contrapposte di portici in stile dorico, che dovevano
guidare l'occhio verso la vista dell'Arco in lontananza. Questa scelta,
oltre ad interpretare rigidamente l'ideologia ugualitaria
rivoluzionaria, si poneva in netta contrapposizione con il tessuto
urbano spontaneo del centro storico. In pratica, il Borgo antoliniano
avrebbe rappresentato il nuovo ordine, contrapposto al disordine
estetico ed alla povertà dei quartieri popolari del vecchio nucleo,
lasciato in eredità dal passato regime. Con questo piano, la nuova
Municipalità cercò per la prima volta di guidare lo sviluppo futuro
della città secondo i dettami illuministici della Ragione.
Le due "stecche" porticate avevano una lunghezza prevista di 190 metri
ciascuna, e comprendevano un totale di 28 unita, probabilmente
destinate a botteghe al pianoterra ed abitazioni al piano primo. Al
termine degli edifici fu progettato un viale alberato, che avrebbe
condotto all'Arco. Al posto del convento del Paradiso era invece
previsto un giardino all'inglese, con fiumicello, laghetto artificiale
e ponticelli, mentre l'area retrostante fino a via Volpaccino sarebbe
stata destinata a parco con ampi prati e viali. Intorno all'Arco
Napoleonico, Antolini ideò un piazzale circolare, di circa 60 metri di
diametro, attorniato da due file di alberi, e con due "casini di
piacere" (caffè e luoghi di ristoro). Di questo ampio progetto, le
asfittiche casse comunali permisero di realizzare solo l'Arco ed il
piazzale circolare circondato da pioppi cipressini. Inizialmente, era
previsto che il monumento fosse costruito con un basamento in pietra
d'lstria, ed il resto in marmo d'Ancona e mattoni a vista, ma per
renderlo ancora più imponente si decise di ingrandirlo e di realizzarlo
tutto in pietra d'lstria, con una spesa di quasi 6000 scudi. Per le
opere da scalpellino fu scelto Domenico Fogacci di Ancona. II 7 maggio
1797, Antolini in persona pose nelle fondamenta di uno dei piloni
l'iscrizione commemorativa.
"Nell'anno mille settecento novanta sette dell'era cristiana, quinto
della repubblica francese, primo della cispadania allì due di febrajo
le armate della repubblica francese sotto la scorta del generale
Napoleone Bonaparte in questo luogo posero in fuga la milizia del
pontefice romano Pio VI. Il popolo di Faenza qui dove nacque la libertà
della Emilia a sue spese collocò questo perpetuo monumento nel giorno
sette di maggio dell'anno I della repubblica cispadana".
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L'11 di maggio un giornalista su "Il Monitore" pubblica un breve resoconto della cerimonia di posa della prima pietra con queste parole:
"Faenza, 11 maggio 1797. - Vi sono poche città nello stato della Chiesa
nelle quali si trovino degli archi di trionfo, consacrati alla memoria
dei tioranni di Roma, antica e moderna. Gli abitanti di Faenza hanno
avuto la felice isperazione d'innalzare un magnifico arco di trionfo
per rendere eterna la memoria della libertà ricuperata, e la
riconoscenza degl'Italiani verso la nazione francese. Ieri l'altro si è
posta la prima pietra del monumento nel luogo stesso dove i Francesi
batterono i Papalini al ponte del Senio. Il cittadino Conti, presidente
della giunta civile e criminale, ed il cittadino Lamberti, comandante
la piazza, fecero due discorsi; il cittadino Strocchi recitò un ode, e
tutti tre meritarono in più giusti applausi. I cittadfini Pietro
Severoli e Luigi Laderchi, deputati dalla municipalità, portarono al
generale in capo il disegno del monumento, fatto dall'architetto
Antolini".(tratto da: Appendice ai Comentarj di Napoleone, volume ottavo, pag. 309, Bruxelles 1828).
L'arco trionfale, descritto dal suo stesso autore come un "Arco di
architettura dorica, maschio, semplice e di uno stile avvicinante ai
tempi de' primi greci", doveva assurgere a simbolo dei valori eroici,
repubblicani e rivoluzionari, ma in realtà si presentava sgraziato e di
modesto aspetto. Proseguendosi i lavori, si evidenziarono purtroppo
anche gravi difetti costruttivi, dovuti ad errori progettuali ed
all'impiego di tecniche e materiali del tutto inadeguati, tanto che nel
giro di un solo anno 'Arco rischiò di crollare. Antolini corse ai
ripari, facendo inserire dei tiranti di ferro e coprendo tutte le
stuccature dei marmi fessurati con una corposa imbiancatura. Visto che
il portico di fronte all'Osteria di Bisona copriva in parte la
prospettiva verso l'Arco, ne fu ordinata la demolizione. Fu lo stesso
proprietario, Giuseppe Toni, ad occuparsene per la somma di 252 scudi,
comprendente anche l'indennizzo e la spesa per costruire una nuova
facciata (Instrumenta, vol. LXXIV, c. 69).
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1799 Demolizione dell'Arco Napoleonico
II 9 giugno 1799 le truppe austriache occuparono Faenza, ed il Regio
Commissario Imperiale di Romagna, conte Giuseppe Pellegrini, ordinò
alle autorità faentine la demolizione dell'Arco trionfale. L'incarico
fu dato il 23 ottobre seguente ai capimastri Giacomo Benvenuti, Giacomo
Rusconi e Giorgio Vassura, per la somma di 250 scudi. Fu dato loro
ordine di rimuovere persino le fondamenta, e di trasportare i marmi nel
luogo deciso dall'architetto (Instrumenta
vol. LXXVII, c. 69). II 12 luglio 1800 Faenza fu riconquistata dalle
truppe napoleoniche, e l'architetto Antolini si preoccupò di ottenere
un decreto statale per costringere il Comune a ricostruire la sua
opera, a spese di chi ne aveva ordinato la demolizione. Con
sollecitudine Antolini iniziò il nuovo arco, ancora più grande e
costoso del primo, ma le tristi condizioni delle casse comunali
consentirono la sola costruzione del basamento, e pure il progetto del
"Nuovo Borgo" di Porta Imolese fu accantonato. L'Arch. Pistocchi non
perse l'occasione di vendicarsi della propria esclusione, pubblicando
un articolo assai velenoso nei confronti dei due archi dell'Antolini.
Nel giro di pochi mesi, lo zoccolo incompiuto fu smantellato dalla
gente del posto per recuperare i mattoni, e pure del secondo Arco non
rimase più alcuna traccia.
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A lato, Giovanni Antolini, Progetto dell'Arco da erigersi a Faenza.
Incisione 1797, cm 38 x 30. Museo del Risorgimento Imola.
Sopra, decreto del generale francese Monnier
per il ripristino a Faenza
dell'Arco Trionfale
rivoluzionario precedentemente demolito.
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