In Corso Garibaldi i primi morti della Grande Guerra |
"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici. |
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In Corso Garibaldi i primi morti della Grande Guerra
di Claudio Casadio Il 24 maggio 1915 l'Italia entrò in guerra. Come scrisse nel suo diario
il forlivese Aldo Spallicci, già volontario nelle spedizioni garibaldine in
Grecia i Francia, con la dichiarazioni di guerra doveva finire anche «la
disgustosa diatriba tra interventisti e neutralisti». Anche a Faenza in effetti
la situazione cambiò in modo radicale. «Ogni dubbio è scomparso, ogni titubanza
è stata abbandonata e la guerra con la secolare nostra nemica è iniziata»
scrisse il Lamone; settimanale repubblicano che da tempo sosteneva la guerra
per completare l'Unità d'Italia. «Il momento che attraversiamo esige, impone la
concordia tra tutti i cittadini, la fratellanza,l’amore anzi!» sottolineò il
settimanale cattolico che aveva sempre sostenuto la propria contrarietà alla
guerra, ma che invitò a prepararsi «a compiere nobilmente e serenamente il
nostro dovere» in conformità «a quell’intimo rispetto dell’autorità costituita
che è la forza occulta e profonda del criistianesimo». Più articolata la
posizione dei socialisti rimasti comunque contrari alla guerra». Lo stesso Ugo
Bubani, capo riconosciuto dei socialisti faentini, scrisse di essere «nel
dubbio dell'esame che mi corrode» ma di ritenere fede «immutabile il principio
della contrarietà alla guerra del socialismo». Molte le urla, interruzioni con «colluttazione e pugilati fra le due
parti» e canto dell'Inno di Italia da una parte e dell’Internazionale dall’
altra parte. Con una aggressione da parte di un gruppo di socialisti neutralisti
fu ferito alla testa un oratore, il maestro Cesare Ferri socialista
interventista. La dimostrazione terminò con l'intervento della Cavalleria e lo
scioglimento di ogni raduno della piazza. Il giorno successivo, essendo domenica,
con la consueta presenza di centinaia di contadini mezzadri nella piazza ci fu
tensione e gli interventisti protagonisti del comizio nella serata precedente
subirono aggressioni e si dovettero rifugiare nelle case o nelle botteghe
ospitali.
«E' la persistenza del vecchio carattere settario che è sorto nel rimescolio delle presenti passioni, che ha funestato in questa ora grave, la nostra città» commentò il settimanale socialista aggiungendo che «è la mancanza di educazione, politica, nello sforzo di prevalenza di un partito sull'altro, che suscita ed anima certe basse passioni». Un episodio che, come scrisse "II Piccolo", «nessuno avrebbe immaginato dovesse più accadere nella nostra città, dai torbidi giorni della prima metà passato secolo, da quei tempi di sette implacabili e di settari feroci, sotto governanti timidi e incerti o durante l’occupazione straniera». Ma questa volta, complici forse le necessita di guerra e la maggiore consapevolezza contro gli atti di violenza, il richiamo alla concordia degli animi fatto con un manifesto del sindaco Enrico Camangi, ora esposto nella mostra temporanea in via Pistoccni, ebbe un esito positivo.
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