La rocca di Monte Poggiolo bella e inespugnabile
Vecchia di cinque secoli, la rocca di Monte Poggiolo fu costruita da Giuliano da Maiano, artefice anche del duomo di Faenza
Sandro Bassi
Stavolta andiamo - idealmente, o, se volete, fisicamente a Monte
Poggiolo, promontorio fortificato sovrastante Terra del Sole, nel
forlivese, ma che può fare anche da ottimo pretesto per un'escursione
dalle colline faentine. È questa quasi una regola per i castelli
d'altura, che in Romagna si trovano puntualmente in luoghi di fascino:
per la loro posizione strategica (isolata e torreggiante, in cui
l'antica valenza militare di punto d'osservazione amplissima si traduce
oggi in grandiosità del panorama) e per l'interesse storico-ambientale.
Per i faentini c'e un ulteriore motivo di curiosità affettiva:
l'architetto che costruì la Rocca di Monte Poggiolo fu Giuliano da
Maiano, autore sicuro del duomo di Faenza e probabile di altri edifici
che gli sono attribuiti su base stilistica e su deduzioni cronologiche;
tra questi, basta citare il Santo Stefano Vetere (chiesa gentilizia dei
Manfredi, sconsacrata fin dall'epoca napoleonica e trasformata
all'interno ma ancora esistente e ben visibile dal vicolo omonimo
dietro Corso Mazzini) e la Torre di Oriolo,
non lontana da qui. Per sottolineare la «faentinità» della cosa (in
senso culturale e non campanilistico) è sufficiente ricordare che
Giuliano fu il traduttore principale di quel complesso di rapporti
politici che intercorsero nel Rinascimento fra Medici e Manfredi (e in
generale con tutte le signorie romagnole). Rapporti politici che
prevedevano anche una sorta di «colonizzazione culturale» da parte dei
primi (più forti) sui secondi, considerati alleati utili per mantenere
una pace stabile e, indirettamente, per fare argine contro il comune
nemico che era Venezia.
La rocca di Monte Poggiolo in un disegno di Tommaso Dalpozzo.
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La rocca di Monte Poggiolo in un disegno di Pio Rossi.
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Pianta della Rocca di Monte Poggiolo, in un disegno di Luigi Giacchi
(Biblioteca Nazionale di Firenze)
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I fiorentini, per dirla con parole spicce, per oltre mezzo secolo
(seconda meta del '400) ci «evangelizzarono» con il loro linguaggio
artisticamente molto più evoluto e moderno, persuasi che per tenerci
legati, e soggiogati, era necessario assorbirci nella loro orbita
culturale oltre che in alleanze diplomatiche. Per questo inviarono - a
Faenza, come a Forlì come a Imola come in tutte le «Romagne» fino a
Rimini - uomini d'arme ma anche di pensiero: filosofi, poeti, pittori
(per Faenza basti citare Biagio d'Antonio), scultori, e, ovviamente,
architetti, da sempre i principali disegnatori delle trasformazioni
urbanistiche e territoriali. Giuliano da Maiano, dopo le imprese della
cattedrale faentina (1474 posa della prima pietra), della Torre di
Oriolo (1476) e del Santo Stefano (data incerta, ma grosso modo in
quegli anni), attorno al 1482 si accinse ad adeguare la Rocca di
Monte Poggiolo, già esistente, alle nuove esigenze belliche. Ne fece un capolavoro di architettura e ingegneria militare del
Rinascimento «che pare una chosa tanto bella e tanto vezzosa che non è
niuno chessene possa isfamare di guardarla» (Archivio di Stato di
Firenze, Lettere varie, citate in Daniela Lambertini, Da bottega a
corte: formazione e carriera artistica di Giuliano da Maiano, «Giornata
di Studio in onore di Giuliano da Maiano», Soc. Torricelliana di
Scienze e Lettere, Faenza 1992).
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La rocca di Monte Poggiolo in una vecchia cartolina, anni 1970 circa.
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Con la sua pianta a rombo e con le mura massicce provviste di torrioni
circolari atti a respingere i colpi d'artiglieria, il Monte Poggiolo di
Giuliano dimostra di «precedere di almeno un quinquennio le teorie del
senese Francesco di Giorgio (altro grande ingegnere militare
dell'epoca, ndr) per difendersi dai colpi delle bombarde». Oggi, e da
molto tempo a questa parte, la Rocca di Monte Poggiolo è in abbandono,
anzi, per dirla con le parole della già citata Lambertini, «nella più
colpevole incuria» pur «essendoci arrivata quasi intatta dal passato».
Il monumento è inaccessibile - tutti gli ingressi sono murati - e
circondato da una recinzione; solo il torrione orientale è stato da
poco consolidato all'esterno, mentre il resto è lasciato a se stesso,
dopo le parziali protezioni messe in atto a metà '900 e che
consistettero in una copertura a cemento dei cammini di ronda
sommitali. Peraltro il mastio, con le sue murature imponenti, di
spessore superiore al metro, in laterizio di ottima qualità integrato
con calcestruzzo originale quattrocentesco, a ciottoli misti a calce,
sembra in condizioni tali da resistere abbastanza bene agli agenti
atmosferici.
E di durare, auspicabilmente, ancora decenni. Per la nostra escursione
ci accontentiamo di averlo come mèta per un itinerario di valore
paesaggistico e ambientale, sorgente com'è su un colle di 200 metri di
quota che guarda la pianura forlivese.
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La rocca di Monte Poggiolo in una foto di Vasco Bartoletti.
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Colle dominante, non a caso, dove l'uomo è presente fin dalla più
remota età preistorica se è vero, com'è vero, che presso la vicina Ca'
Belvedere si insediò uno dei primissimi insediamenti stabili
paleolitici, con una manifattura di lavorazione della pietra (per
ricavare raschiatoi, lame e armi, scoperta nel 1983) che ha lasciato
migliaia di reperti; la loro datazione è assai controversa ma arriva, a
seconda delle interpretazioni archeologiche, fino ad oltre 1 milione di
anni fa e sarebbe quindi una delle più antiche d'Europa.
Per maggiori informazioni sulle ricerche archeologiche di Monte Poggiolo in località Ca' Belvedere, leggi l'articolo:
"Erano padani i primi abitanti d'Italia"
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ITINERARIO
Si consiglia di partire da Converselle, dove termina l'asfaltata che è
la prosecuzione della via San Mamante, a sua volta imboccabile 3 km a
sud di Faenza a sinistra della via Santa Lucia. Dalla chiesa di San
Mamante si prosegue per 4 km, oltrepassando il colle ove sorgeva la
vecchia chiesa di Montefortino, distrutta nel '44 (resta solo una croce
isolata a destra della strada, all’altezza della chiesa che però era a
sinistra) e raggiungendo il successive poggio con la chiesa sconsacrata
di Converselle (210 m). Al bivio, subito dopo, si parcheggia per
imboccare a piedi la sterrata di sinistra che cavalca lungamente il
crinale tra il Rio Converselle (poi dei Cozzi, verso Terra del Sole), a
destra, e il Rio Cosina a sinistra. In un paesaggio arido ma
suggestivo, caratterizzato da calanchi con fazzoletti di coltivi e
relative case rurali, spesso con begli alberi ad ombreggiare l'aia, si
segue sempre la via di cresta, con la Rocca di Monte Poggiolo che ci
guida come un faro. Vi si arriva dopo 5 km circa. II cucuzzolo mostra
un versante boscoso, a querce miste a carpini, sul lato verso di noi.
La salita finale conduce alla sommità, panoramica e sorvegliata dalla
Rocca stessa. Il ritorno va compiuto sulla stessa via dell'andata a
meno di non voler allungare il percorso con un anello assai più lungo
per tratturi campestri e che prevede l'attraversamento dei tre
fondo-valle (Rio Petrignone, Fosso San Cassiano e Fosso Gorgone) che da
qui ci separano dal punto di partenza.
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Le prime notizie sul castello di Monte Poggiolo risalgono alla fine del
IX secolo; non si conosce se esso fosse costruito dai longobardi o dai
forlivesi. Il Padovani nella sua Cronica di Forli, scrive che «fu fatto
signore di Monte Poggiolo il nobile Berengario dei Berengari, perché
lui era armigero, uomo gagliardo, virile e possente, sapiente, astuto e
temuto e tutto cortese e grazioso". Un suo discendente, Tiberto, darà
in dote Monte Poggiolo alla figlia, andata sposa al barone tedesco Lor
de l'Af capostipite degli Ordelaffì e luogotenente di Berengario. Nella
prima metà dell'XI secolo passerà agli Orgogliosi, indi ai Pagani di
Castrocaro. La rocca, maestosa, era a forma di stella, con un potente
mastio. Era circondata da solidissime mura, a sprone, che avevano la
forma di un poligono irregolare. Nel 1179 i ghibellini forlivesi lo
occuparono e lo distrussero. Ricostruito dagli abitanti di Castrocaro,
questi furono costretti a cederlo a Forli. Nel 1300 passò dai faentini
alla Santa Sede, indi a Sinibaldo Ordelaffi che lo perdette nel 1371 ad
opera di Giovanni Acuto; questi lo riconsegnò alla Chiesa; nel 1441
passò sotto Venezia, insieme a Faenza, che esegui restauri alle mura
del castello. Posto sull'Appennino forlivese, dominava tutta la pianura
ed era ben protetto da mura fortissime; queste opere erano state
eseguite dai forlivesi, i quali verso il 1478, oltre a migliorare la
rocca e ad arricchire il luogo di mura, lo avevano dogato anche di
graticci. Occupato successivamente dai fiorentini, dal 1471 al 1482,
Giuliano da Maiano restaurò nuovamente la rocca e le mura, rendendole
più valide ed adattandole alle nuove esigenze di difesa. Nel 1499 i
Dieci di Firenze incaricarono Roberto da Filicaia di controllarne
l'efficienza. Fu in seguito a questa ispezione che il castello di Monte
Poggiolo venne ancor più fortificato sì da resistere con successo
all'assedio del Borgia. Fu poi occupato ancora dai venezini, che in
gran parte lo ripararono e vi lasciarono come ricordo un leone di
bronzo, indi dai fiorentini, dopo la battaglia di Agnadello (1509).
Danneggiato dal terremoto nel 1661 fu, nel 1676, disarmato da Cosimo
III, granduca di Toscana. Il castello sorgeva sulla cima di un colle;
tratti della cinta di mura situati di fronte alla rocca sono ancora ben
conservati; altre tracce di mura restano a sud-est; a sud-ovest non vi
sono che rovine; fuori dalle mura non esistono segni di un fossato.
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