FRANCESCO CARCHIDIO L'EROE DI CÀSSALA
Salvatore Banzola
"Carneade!
Chi era costui?" era la domanda che ruminava tra se Don Abbondio,
seduto sul suo seggiolone (inizio del cap. VIII del Promessi Sposi).
[Glielo dico io chi era: un filosofo greco di Cirene, (214-129 a.C.),
uno del maggiori filosofi del suo tempo, nda].
La stessa domanda "Carchidio! Chi era costui?", se la potrebbero porre
in tanti, specie i giovani, perché sono sicuro che tanti faentini non
sappiano chi egli fosse, tranne forse accostare genericamente il suo
nome alle Scuole Elementari del Borgo, a Faenza, Via Forlivese, 7: esse
sono, infatti, intestate al Capitano Francesco Carchidio dei Conti
Malavolti. Fra poco ve Io dirò, e vi spiegherò per filo e per segno chi
era costui, cosa ha fatto, e perché gli hanno fatto, a Faenza, un
monumento davanti ad una Scuola a lui intestata (c'e anche la strada
che la costeggia che porta il suo nome).

Capitano Francesco Carchidio.
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Per una breve cronologia della
vita di Francesco Carchidio dei Conti Malavolti, mi aiuta un
opuscoletto Ricordo dell'inaugurazione del busto in bronzo della Medaglia d'Oro Cap. Francesco Carchidio dei Conti Malavolti,
Faenza 1938, XVI, Stab. Grafico F. Lega. (I dati li hanno presi da un
precedente studio, più dettagliato e completo, effettuato da Piero
Zama, illustre erudito e storico (Russi 1886 - Faenza 1984), nel suo
libretto Francesco Carchidio I'eroe di Cassala,
Unione Editoriale d'ltalia, Roma, 1936. XIV [inserito nella collezione
"La Giovine Italia": una rielaborazione fascista della storia
nazionale, nda]. Ma andiamo per ordine! Incuriosito su questo
personaggio, sono andato a scazignare alla Biblioteca Comunale di
Faenza e ho scovato questo articolo da «ll Nuovo Piccolo», 17 luglio
1938, anno XVI [In pieno periodo fascista, mezzo secolo dopo i fatti,
fa comodo per il "regime" accaparrarsi fulgidi esempi di eroi che nulla
hanno a che vedere con I'ideologia ora dominante, ma permettono
I'altisonante celebrazione delle virtù italiche, nda].
LA CERIMONIA (Domenica 10 luglio 1938)
"L'ESALTAZIONE DELLA MEDAGLIA D'ORO CARCHIDIO PRESENTE IL CONTE DI TORINO"
...Splendore di bandiere e di
orifiamme e di pennoni sventolanti dai suoi edifici più solenni, come
dalle umili case, mentre striscioni multicolori uniti a nobili
manifesti, danno alla città un'aria di festa e di solennità. [II Borgo
Durbecco in grande festa, ndc] Il Conte di Torino giunto in volo da
Milano è sceso all'aeroporto di Forlì, ha attraversato la città tra
manifestazioni di popolo, accompagnato dall'Aiutante di Campo e dal
nostro Podestà. Un lussuoso palco è stato eretto nel vasto giardino
antistante alla «Scuola elementare Capitano Francesco Carchidio», lo
occupano Autorità e personalità. Ai lati numerosi Ufficiali in congedo.
Sono presenti con gruppi di ascritti e gagliardetti varie sezioni di
Cavalieri in congedo: Bologna, Ravenna, Forlì, Firenze, Lugo, Rimini,
Cervia, Imola, Faenza. Stanno di fronte a questi le
rappresentanze armate dell'esercito e del Regime; chiudono il quadrato
le forze fasciste maschili e femminili.
Fuori dal giardino staziona la
folla dei cittadini. Quando il Conte di Torino scende dalla macchina,
questa massa umana gli porge il fervido saluto, la banda suona gli inni
fascisti, i soldati presentano le armi. Vengono presentati al Principe
i famigliari delle Medaglie d'Oro faentine, Carchidio, Zannoni e
Maccolini. II busto del Cap. Carchidio è inserito su di un basamento di
marmo, in cui è inserito un altorilievo in bronzo riproducente la
carica di Cassala, ed è stato donato alla città dalla Sezione Faentina
dei Cavalieri in congedo, presieduta dal conte Ginnasi. Mons. Alboni,
in rappresentanza di Mons. Vescovo, assente, benedice il monumento e
benedice pure il nuovo gagliardetto della predetta Sezione. II saluto
commovente della nipotina del Carchiio, abbracciata dal Conte al
termine [la piccola Enza Carchidio nipote dell'Eroe, ha parato a nome
del padre Colonnello cav. Michele, trattenuto in Africa Orientale, nda].
Indi il conferenziere, l'On.
Lessona, termina la smagliante, applauditissima orazione, rileva che
«... nel clima nuovo creato dal Duce, gli eroi possono riposare sicuri
che la Patria è ora degna di loro». Terminata la cerimonia Sua Altezza
sale in vettura e, seguito da un corteo di macchine, si reca a rendere
omaggio alla Tomba dell'Eroe.
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Il Capitano Francesco Carchidio
in alta uniforme. Il busto in bronzo del Cap. Francesco Carchidio opera dello scultore Angelo Biancini.
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10 luglio 1938, la tribuna per l'inaugurazione del monumento a F. Carchidio; S.A.R. il Conte di Torino,
S.E. Lessona, presidente A.N.A.C., il V. Predidente gen. Orsini, il
gen. Emo Capodilista, autorità, Associazioni d'Arma e
combattentistiche.
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10 luglio 1938, le trenta "Colonnelle" (Stendardi dei Reparti di Cavalleria).
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10
luglio 1938, appena scoperto il monumento del Capitano F. Carchidio, la
benedizione dello stendardo della sezione faentina "Carchidio", da
parte di mons. Lorenzo Alboni, vicario generale della diocesi di
Faenza, madrina la signora Santina Ceroni Brussi.
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10
luglio 1938. Enza Carchidio, nipote di Francesco Carchidio, ringrazia
il Conte di Torino. In mezzo l'on. Lessona. A sinistra di Enza, la
sorella Franca, nipote dell'eroe.
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[Inizialmente il regime si proponeva di costruire una "Cappella degli
Eroi", nell'attesa Carchidio venne tumulato nella Cappella Pasi.
Decaduto il regime e II progetto "Cappella", dopo molte insistenze la
nipote Franca Paola Carchidio Vignoli otteneva di traslare la salma
nella propria tomba di famiglia. Questa tomba monumentale, ben tenuta e
curata, è situata a sinistra dell'EmicicIo del Cimitero
dell'Osservanza, nelle adiacenze del Chiostro Manfredi, nda]
Rientrato in città, accoglie
I'invito del Podestà e visita dapprima il Museo delle Ceramiche con la
guida del Direttore comm. Ballardini, poi, passando fra il popolo
plaudente, entra nella Mostra della Settimana Faentina, infine in
Municipio dove si tratterrà fino a tarda ora; farà spedire poi un
telegramma al Podestà felicitandosi della accoglienza.
[Alla cerimonia di inaugurazione del busto in bronzo del Cap. Francesco
Carchidio, erano quindi presenti, fra gli altri: Sua Altezza Reale il
Conte di Torino, S.E. I'On. Lessona, Presidente dell'Associazione
Nazionale Cavalieri in congedo, S.E. il Prefetto, il Federale, il
Podestà, il Comandante della Divisione Militare, il Presidente della
Sezione Faentina della gloriosa Arma di Cavalleria, altre autorità,
nda].

17 luglio 1894. La morte del capiatno
Carchidio come viene documentata dalla rivista "L'Illustrazione
italiana" del 3 settembre 1934.
(disegno di E. X. da schizzo del sig. G. Dumas).
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Questo per I'inaugurazione del busto, nella Scuola a lui intestata.
Che cosa ha quindi fatto Francesco Carchidio, faentino, per meritarsi
una medaglia d'oro al valor militare e avere una scuola e una strada
tutte sue?
Vediamo prima di tutto il teatro in cui si svolge I'impresa, il momento, la sceneggiatura:
La città di Càssala (Kàssala o Kasala) fu fondata dagli Egiziani nel
1834, con funzioni di piazzaforte difensiva contro le incursioni
abissine. Durante la insurrezione mahdista fu assediata dai Dervisci,
già dal novembre 1883; dopo un assedio durato ben 18 mesi la
guarnigione egiziana si arrese, il 30 luglio 1885. In accordo con la
convenzione anglo-italiana del 1891, un corpo
italiano di circa 2500 uomini agli ordini del gen. O. Barattieri
attaccò Cassala il 17 luglio 1894. I Dervisci furono sconfitti e la
città fu annessa al territorio eritreo. II successore del mahdi Abd
Allah, a fine marzo 1896, assediava di nuovo Càssala; il generale A.
Balsissera inviò un corpo di soccorso che riusci a sconfiggere gli
assedianti (31 marzo -1 ° aprile). La successiva infiltrazione dei
Dervisci in Eritrea persuadeva il governo italiano a restituire agli
Anglo-Egiziani la città.
Fino qui gli avvenimenti, come ce li raccontano alcuni libri di storia.
La battaglia del 17 luglio 1894 è il teatro di azione in cui vedremo il
Cap. Francesco Carchidio combattere eroicamente a sciabola sguainata
sul suo cavallo, accerchiato dalla cavalleria del dervisci, ed
eroicamente cadere, coperto da undici ferite.
Ormai ci siamo.
Ci vuole però qui una breve cronologia: Francesco Carchidio nasce a
Faenza il 24 gennaio 1861, suo padre è il Ten. Generale Conte Orlando
di Porto Santo Stefano in Maremma e sua madre è la Contessa Elvira
Laderchi di Faenza figlia del patriota faentino Francesco Laderchi,
preside delle Romagne nel 1849. [Nella casa natale di Francesco
Carchidio, sita in Via XX Settembre n, 6 a Faenza (Ex Palazzo
Ghirlandi) è stata apposta la seguente lapide:
NEL PIANORO Di CASSALA / FRANCESCO CARCHIDIO DEI CONTI MALAVOLTI /
CAPITANO Di CAVALLERIA / EROICAMENTE CADEVA/ UNDICI FERITE - LA
SCIABOLA IN PUGNO / QUI / DOVE IL 24 GENNAIO 1861 / EGLI EBBE I NATALI
/ FAENZA INCIDE / IL NOME GLORIOSO / LODANDO L'ARDITO CAVALIERE / LA
TERZA DELLE MEDAGLIE D'ORO / DI CUI SPLENDE L'ITALICO VALORE / SULLE
VIESMAGLIANTI DELL'AFRICA / 4 NOVEMBRE 1931, nda].
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Il monumento al Cap. Francesco Carchidio. (foto Piero Ravagli)
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1872 circa: Francesco inizia gli studi liceali nel Collegio "Dante
Alighieri" di Ravenna e li prosegue presso la Scuola Militare di Modena
e presso la Scuola di Cavalleria di Pinerolo. Luglio 1880: è nominato
sottotenente nell'arma di cavalleria, ed inizia il servizio militare
nel reggimento cavalleggeri di Lucca; successivamente è promosso
tenente ed è assegnato al reggimento "Padova". Si distingue alle grandi
manovre sul Tagliamento, e nelle gare ippiche di Pordenone. A
venticinque anni chiede di essere inviato in Africa. Nel 1887 si
imbarca per Massaua, e, quivi giunto, ha il comando di uno squadrone di
Cacciatori a cavallo. Collabora col Maggiore Pietro Toselli (il
fulgidissimo eroe di Amba-Alagi, dicembre 1895) alla formazione del
Corpo degli Esploratori (fu il primo nucleo del future squadrone di
cavalleria eritrea). Prende parte a varie ricognizioni e alla conquista
di Cheren. Ottobre 1889: su proposta del Gen. Baldissera è concessa al
Ten. Carchidio la Croce di Cavaliere: prende parte ad escursioni su
Càssala. 1890: compie un'ardua missione presso il Degiac Seium, e poi
ha il comando di bande abissine: è di stanza a Cheren. Agosto 1891: II
Ten. Francesco Carchidio, comandante lo squadrone di Cheren, diventa
padre del piccolo Michele che egli riconosce e legittima. La madre è la
giovane indigena Uollalà Sellasiè. 14 dicembre 1892: ricevendo in quel
giorno la notizia della sua promozione a capitano, forse presago della
sua sorte, abbozza il suo testamento. In seguito il Cap. Carchidio
diventa padre della piccola Maria figlia sempre della Uollalà Sellasiè.
Dicembre 1893: prende parte alla battaglia di Agordat ed è decorato di
medaglia d'argento al V.M.; poi prende parte al corpo di spedizione che
deve occupare Càssala. 17 luglio 1894: ore 6 circa. Cade, coperto di
undici ferite, combattendo contro l’ordine... contro la cavalleria del
dervisci.
È decretata alla memoria la medaglia d'oro al Valore Militare.
Mi sembra un segno di grande maturità che questo giovane Capitano
faentino, poco più che trentenne, forse presagendo la propria fine, si
preoccupi di scrivere, fra una campagna e I'altra, il suo testamento:
[Dal Tribunale d'Arbitrato di Cheren, copia del testamento olografo ...
nda]: Prima di partire per una
campagna contro i Dervisci, dalla quale non posso prevedere di sortirne
incolume, dispongo in questo documento gli ultimi miei desideri colla
speranza che saranno esattamente osservati.
In questo suo atto riconosce legalmente per suoi i figli, Michele e
Maria, avuti da una indigena per nome Uollalà Sellasiè. Destina il suo
patrimonio (bestiame, economie, due cavalli "di agevolezza" e due
puledri) agli stessi figli. Alla sorella Delia Dumini beni mobili e
immobili di proprietà in Poggibonsi; alla stessa lascia pure il primo
premio alle corse di Pordenone, vinto nel 1884; un orologio d'oro alla
sua amatissima zia Contessa Pazienza Pasolini; ai suoi ufficiali un
ricordo ciascuno lasciando loro la facoltà di scegliersi fra gli
oggetti a ciò più adatti. Al furiere maggiore Bragolini Luigi, di cui
sempre il Carchidio ebbe stima, una catenella d'oro.
Un pensiero poi, anzi un
desiderio, che i bambini non si distacchino dalla loro madre che sempre
si è mostrata assai affettuosa. II testamento chiude: A quest'ultima,
intendo della giovane indigena Uollalà Sellasiè, lascio un anello con
brillante ed una medaglia d'oro, oggetti che gia trovansi presso di lei
a titolo di ricordo. Desidererei fossero raccomandati a S.E. il
Governatore i miei figli sopraccitati ai quali avevo legata tutta la
mia affezione. Chiudo inviando gli ultimi miei baci a mia sorella, a
mia zia Pazienza e tanti saluti a tutti i parenti e conoscenti che più
si interessano a me. Cheren li 14 dicembre 1893. II presagio della morte, vedete, era ben presente, ma soprattutto, in
queste sue volontà, fa chiarezza dei suoi affetti e si preoccupa del
loro futuro
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Copertina del libro.

Il Capitano Carchidio sul cavallo che montò alla carica contro i Baggara. (Da una istantanea del sig. G. Dumas)

Pistola a rotazione mod. 1889 tipo B, in dotazione
agli ufficiali del Regio Esercito in Africa.

Pugnale afar.
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Ma sentiamo ora anche Piero Zama, che cosa ci dice nel suo libretto, sulle gesta di questo Eroe:
Dicembre 1893, Battaglia di
Agordat o Dantai. Carchidio in una lettera alla zia: "8 gennaio 1894 da
Cheren - ...II giorno 21 avvenne il combattimento decisivo, ove prese
parte anche il mio squadrone appiedato;... quando assieme all'altro
squadrone fu d'uopo ritirarci per non essere separati dal Forte da una
colonna compatta di circa 10000 uomini, 6000 dei quali tutti armati di
remington... in ogni modo la vittoria devesi alla presenza degli
ufficiali nei punti più avanzati, che obbligò gli ascari ad ingaggiare
un combattimento col nemico dal quale non era più possibile od almeno
assai difficile il sottrarsi. lo ebbi quattro morti e tre feriti negli
ascari; un morto, un disperse ed un ferito nei cavalli..." Dopo la
vittoria che non solo metteva in fuga il nemico, ma gli infliggeva
gravissime perdite, quasi tutti i comandanti di reparti venivano
proposti per una ricompensa al valore. II capitano Carchidio veniva
decorato di medaglia d'argento: "Per il coraggio, per la calma e
intelligenza dimostrata tanto nel disimpegnare il servizio di
esplorazione, quanto durante il combattimento per trattenere,
contrattaccare e inseguire il nemico". Dopo il combattimento e la
vittoria di Agordat, Càssala era diventata il luogo di concentramento
delle forze dei Dervisci; e da quello veniva una nuova minaccia contro
le forze italiane. La mattina del 13 luglio 1894 il corpo di
spedizione, formato da 2500 uomini, muoveva da Cheren in una sola
colonna e, dopo una marcia faticosissima di dieci ore, sotto un caldo
opprimente, giungeva la sera sulle colline di Dunquat.
La linea da
percorrere per piombare su Càssala, e giudicata la più comoda e fornita
di acqua, era: Dunquat-Auasciait-Sebderat... Nella giornata del 15 le
truppe compivano felicemente i quaranta chilometri dell'ultima tappa e
raggiungevano verso le ore 16 pomeridiane Sebderat. Una pattuglia
di ricognitori rientrò riferendo che i Dervisci erano tutti, senza
alcun sospetto, nella vecchia città egiziana. II generate Barattieri
dispose per attaccare I'indomani mattina, 17 luglio, il campo
mahdista... il nemico sarebbe stato raggiunto di sorpresa sul primo
albeggiare... La città dorme ancora. Lo hanno assicurato anche tre
giaadia (soldati dervisci) che gli ascari dell'avanguardia hanno colto
di sorpresa e fatto prigionieri. II generate giudica in questo momento
che sia necessario riconoscere la forza del nemico, ed ordina allo
squadrone Cheren di uscire dal quadrato. II capitano Carchidio, che già
aveva più volte richiesto il superiore consenso, esegue immediatamente
l’ordine...
II Capitano subito lancia lo
squadrone al galoppo, e a 200-300 metri dal nemico, quando la pattuglia
di ricognitori ritorna, avvertendo che il nemico è in agguato:
"Capitano, sono molti, non caricare, fai fuoco!" E il capitano risponde
risolutamente «Ma ché, ma ché! Primo plotone appiedate! Squadrone
caricat!». Lo squadrone è lanciato: il capitano in testa a tutti, poi
tre ufficiali, poi i 60 ascari, e un grido solo: Savoia!
Ma ecco sopraggiungere il
grosso della cavalleria baggàra, pur essi al grido: Cufer! Cufer! che
tosto circonda lo squadrone. La lotta ora è impari: i Dervisci sono più
che tripli degli italiani ...I testimoni che hanno potuto vedere in
quel momento il capitano Carchidio, hanno detto semplicemente che egli
era meraviglioso. Sul suo agilissimo cavallo, che egli manovrava in
modo superbo, si lanciava contro tutti, sciabolando da una parte e
dall'altra con effetto prodigioso...
Le piccole lance da getto
mirano specialmente agli ufficiali, e piovono da ogni parte... Il
capitano urla allora il comando: Ritirata al galoppo!... I nostri
cavalieri cominciano a ritirarsi a frotte, il capitano si attarda,
volendo essere in coda, come nell'avanzata era stato in testa... Un
folto gruppo di baggàra quasi lo attornia: ne egli sembra affatto
preoccupato di sfuggire al loro assalto... il baggàra è sopra il
capitano, con la lunga lancia abbassata, e lo colpisce al petto con
estrema violenza.
I due cavalli, urtandosi
vicendevolmente, si impennano: il capitano à trascinato a terra dalla
sua stessa cavalcatura che si è rovesciata. Poi nessuno dei nostri ha
più veduto nulla.
Dopo I'attacco decisive delle
nosfre forze che mettono in precipitosa fuga il nemico, si impossessano
dell'accampamento nemico: sull'alto del forte veniva, ancora una volta,
issata la bandiera italiana. I vinti dervisci avevano lasciato nelle
nostre mani, non soltanto un ricco bottino, ma anche le torve
testimonianze del loro dominio e della loro crudeltà, e cioè una forca
enorme, eretta sulla piazza del mercato, e una schiera di donne e di
ragazzi in catene, ridotti veramente in pietose condizioni.
...Lo squadrone usci nuovamente
dal quadrato alla ricerca del capitano caduto e degli ascari mancanti.
Furono ritrovati sul terreno il capitano e 18 ascari morti, ed 8 ascari
feriti che furono subito soccorsi. Undici ferite di lancia trivellavano
il corpo del capitano.
Un basci-bouzue, narrando su
questa circostanza, scrisse: "II capitano Carchidio giaceva sul campo
testimone del suo grande valore... i pugni inguantati e chiusi, come se
volesse ancora colpire... I Dervisci gli avevano portato via I'elmo, la
sciabola, il revolver e la tracolla: trofei di guerra che senza dubbio
adorneranno fino a Cartum il guerriero derviscio che ha il non piccolo
vanto di aver atterrato il valoroso capitano".
In Càssala veniva inaugurata il 14 dicembre 1900 una lapide in bronzo a
ricordo della nostra occupazione del luglio 1894 e della lotta
dell'aprile 1896. La lapide, in lingua latina, rievoca appunto i
gloriosi caduti delle due giornate. E sotto, scolpiti nel granito i
nomi del caduti. Così la lingua gloriosa di Roma risuona, col nomi
gloriosi degli eroi, nell'Affrica bagnata di sangue italiano. (Questa e
la ultima frase del libretto di Piero Zama, e conclude I'elogio di
Oriani al Carchidio). Mi sembrava giusto e necessario dare una
spolverata a queste vecchie carte, per rimettere in ordine e schiarire
questa bella fotografia del ragazzo faentino che, a trentatre anni,
sacrifica la vita per un ideale: I'amor di patria.
Motivazione della medaglia d'oro al V. M. decretata alla memoria del
Cap. Francesco Carchidio caduto in Càssala(17 luglio 1894) Roma, 10
ottobre 1894 - Inviato col proprio squadrone a tenere in rispetto un
partito di cavalleria nemica, lo caricò e lo disperse; ma circondato
improvvisamente da forze soverchianti, dopo aver sostenuto una lotta
sproporzionata e aver colpito parecchi avversari cadde, trafitto da
undici colpi di lancia, mentre con la sciabola in pugno cercava farsi
largo e infondere nuova lena ne' suoi dipendenti.
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Dalla Gazzetta dell'Emilia del 22 novembre 1895:
"La salma del capitano
Carchidio, giunta qui in forma totalmente privata, venne deposta nella
chiesa di San Domenico, ove alle 11 di stamane sono state fatte le
esequie. L 'interno della chiesa tutto pavesato a lutto; la cassa nel
centro, attorniata da oltre quaranta ghirlande, il servizio d'onore
scrupolosamente adempiuto dagli ufficiali e sottoufficiali del
reggimento cavalleria Padova; ha ufficiato mons. Vescovo Gioacchino
Cantagalli. La fanfara del reggimento alternava melodie funebri
coll'organo della chiesa. Vi sono intervenute tutte le rappresentanze
militari, politiche, giudiziarie, civili, un numero straordinario di
signore tutte a lutto, la chiesa vastissima era pigiata; alle ore 12 ¾
sono terminate le esequie. Alle 15 è già ordinato il corteo che muove
verso il Cimitero dell'Osservanza. Precedono il carro uno squadrone di
cavalleria a cavallo, la banda municipale, gli istituti di beneficenza;
ricovero, orfanotrofi, poi I'asilo infantile, le scuole liceali, i
maestri e le maestre elementari, la società dei Reduci e le altre
associazioni cittadine con bandiere, il clero.
Tengono i cordoni del carro
otto ufficiali... seguono il carro i parenti, poi il Gonfalone del
Municipio con una ghirlanda di fiori freschi portata da due pompieri,
poi le Autorità militari, civili, religiose; poi tanti civili, la
fanfara del Reggimento Padova. Venivano poi tre prolunghe piene di
corone, fra le quali, in argento massiccio, quella del Governatore
dell'Eritrea, in metallo dei fratelli Laderchi, del Comandante
I'Artiglieria d'Africa, della prozia contessa Pazienza Laderchi, dello
stato maggiore del Reggimento Cavalleria Piemonte, del figlio Michele,
degli Italiani residenti in Alessandria d'Egitto, del 1° battaglione
Indigeni, delle scuole italiane d'Alessandria; poi un'altra ventina di
corone delle varie brigate e reggimenti di cavalleria, della sorella e
del cognato capitano Dumini, ed altre ancora. Chiude il corteo I'intera
popolazione. Le signore sono tutte ai balconi lungo il percorso; i negozi chiusi, molte bandiere pavesate a lutto. |
È una manifestazione d'una
straordinaria imponenza. I sottoufficiali del reggimento Padova e i
civici pompieri insieme alle guardie di città e ai Reali CC. e ad un
plotone di cavalleria tengono a stento ordinato il corteo, e lo
difendono dagli urtoni della folla. AI cimitero parla prima il generate
Faneschi, poi il sindaco, avv. Gallo Marcucci, indi il sottoprefetto
cav. Enrico Ruffini; per ultimo il tenente colonnello Masi, già
deputato di Lugo, prende la parola, come compagno d'armi del capitano
Carchidio, e per I'amicizia che lo lega ai suoi congiunti, che lo
vollero tutore del di lui unico figlio.... termina dicendo: «ll nome
dei conti Carchidio dei Malavolti viene tramandato ad un fanciullo nato
in quella terra che fu bagnata dal sangue paterno: giova sperare che il
valore e la virtù degli Avi germoglino e si svolgano in questo rampollo
di valorosi. Se un giorno, dalle miti aure del nostro paese ospitale
tornerà alla lontana terra che lo vide nascere, potrà narrare i
benefici effetti della nostra civiltà, e le cure pietose ed amorevoli
di cui venne circondato: e sulle sue labbra verrà benedetto il nome
della pia donna che lo ha accolto come figlio e degli altri congiunti
che, come tale, lo hanno amato. Egli non arriverà nuovo colaggiù, che
il suo nome troverà scritto in caratteri indelebili sulle vecchie mura
di Càssala, dove risplenderà glorioso il sole di una nuova civiltà! ...
Finalmente il comm. Achille Laderchi, commosso fino alle lacrime,
ringrazia a nome della famiglia. II sindaco ha fatto inviare il
seguente telegramma a Massaua: "Generate Baratieri - Intera
cittadinanza rendeva oggi omaggio salma Carchidio pensiero tutti
rivolto voi suo glorioso comandante. Sindaco Gallo Marcucci".
II fanciullo nato in quella terra insanguinata, sarà il valoroso cav.
colonnello Michele Carchidio, che ora riposa accanto al diletto padre
Francesco Carchidio de' Conti Malavolti nella austera tomba monumentale
di famiglia.
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