Canonico Domenico Montevecchi
Quel prete, perché l'ammazzarono?
di Giuliano Bettoli e Miro Gamberini
Vi capiterà, ogni tanto, di
entrare nella chiesa dell’Osservanza. Sì, quella del nostro camposanto
cittadino. Delle lapidi ce ne sono tante e tutte interessanti. Ma leggete
quella che, venendo dall’entrata, è in alto sul secondo pilastro a sinistra:
merita sul serio. È curioso quello che c’è scritto, e poi? Ha un finale
drammatico! Sentite pure (la lapide è scritta
in latino, ma tranquilli, ve la diciamo in italiano).
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"Qui è sepolto Domenico Montevecchi figlio di Pellegrino, che era stato
aggregato nel Collegio dei Canonici. Fu un uomo insigne per dottrina e per
pietà. Non era ancora uscito dall’adolescenza che discusse per tre giorni,
accanitamente, sul dogma divino. Dopo aver trasmessa al pubblico tutta la
teologia sia a Faenza che fuori e aver tenuto tanti discorsi di soggetto
religioso per l’Italia, meritandosi la lode per la sua mirabile eloquenza e per
l’incredibile passione che metteva nel far del bene alle coscienze, ebbene, già
ricercato a morte una volta in passato, fu ammazzato in seguito a una scellerata
macchinazione da parte di miscredenti il 15 luglio del 1820, quando aveva 46
anni, 7 mesi e 5 giorni, accompagnato dal lutto e dalle lacrime di tutte le
persone buone".
Volete sapere la storia e il
fattaccio che ci sono dietro a questa lapide? Eccoli. Don Domenico Montevecchi, sia da
prete, sia da prima di diventarlo era un tipo che voleva poche mosche attorno
al naso. Sì, l’era õ aribì cum’è l’àj, diremmo in dialetto. Intanto fate mente locale: siamo
a Faenza nel 1800, negli anni dopo la caduta di Napoleone, quando il Papa è
ritornato al potere. Sapete tutti le liti, le lotte, le coltellate, le
archibugiate e gli assassinii di quegli anni, specialmente tra i “papaloni” del
Borgo (detti “i gatti”) e i liberali faentini (detti “i cani”). E poi i primi carbonari,
e poi i sanfedisti: una situazione terribile, unica in tutto lo Stato
Pontificio: durerà, praticamente, sino all’Unità d’Italia (1861).
Questa è la lapide funebre di don
Domenico Montevecchi (c’è scolpito, in alto e in piccolo, il suo busto). Si
trova sul secondo pilastro all’interno della chiesa del Cimitero
dell’Osservanza. Per raccontarvene la storia abbiamo consultato nella
Biblioteca Manfrediana la Istoria Faentina dal 1796 al 1833 di Saverio Tomba, un manoscritto
in 2 tomi; e L’Unità d’Italia sul marmo
faentino di Antonio Drei (Bacchilega editore). E anche il Censimento Napoleonico in Archivio di
Stato. Resta da domandarci: “Dove, quando e con chi Domenico Montevecchi -
com’è detto nella lapide - avrà discusso accanitamente per tre giorni sul
Divino Dogma, quando lui era poco più che quindicenne? Forse coi Canonici del
Duomo? O è un episodio inventato per esaltarne la precoce intelligenza,
paragonandolo addirittura a Gesù, ragazzino, che discute tre giorni coi dottori
del Tempio? Chi lo sa è bravo.
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E torniamo al nostro don
Montevecchi.
Dunque, figlio di Pellegrino, un pizzicagnolo e di Gaetana
Placci, era nato a Faenza il 24 ottobre 1773 e stava di casa in via San
Bernardo 371: oggi sarebbe via San Bernardo 2 oppure 2/A. Con lui abitavano due
sorelle: Maria e Vittoria, nubili, più vecchie di lui che Pellegrino, il
pizzicagnolo, aveva avuto da Pasqua Baldi, la prima moglie. Ecco la sua figura: scuro di
pelle, alto e magro, occhi piccoli e infossati, larga la bocca, lungo il mento
e un gran naso con la punta all’insù. Ma ha anche una gran testa. Specialmente
nello studio della teologia. Un oratore che trascina: lo chiamano in tutta
Italia a parlare. E prende anche dei soldi per questo. E, da ultimo, ha anche,
e sempre, un gran voglia di menar le mani, temerariamente.Prima di farsi prete, pensate,
era uno “che faceva di donne”, e per le donne era “ingallastrito” e geloso. Un
giorno, causa una donna, aveva tentato di accoltellare, proprio davanti al
duomo, il pittore e ceramista Pietro
Piani. Che se la cavò con una ferita di striscio nella schiena, solo perché la
gente riuscì ad avvisarlo in tempo: “Scappa, Piani! Montevecchi ti vuol far
la pelle!!”.
Ma ricordatevi il nome di questo
Pietro Piani.
Dunque, adesso siamo nel 1820: il
clima politico a Faenza più che essere arroventato, brucia. Ogni tanto qualcuno
viene ammazzato. Don Montevecchi è anche Membro del Consiglio Comunale e ce
l’ha a morte coi rappresentanti del vecchio regime e coi liberali in genere. Li
attacca tutte le volte che può, apertamente, specialmente poi nelle sue
prediche. E ne fa tante di prediche. Per questo molti gliel’hanno
giurata. Il 26 di Maggio è la Festa di San
Filippo Neri nella chiesa del Suffragio (don Ruggero l’ha fa anche quest’anno).
Ebbene, mentre don Montevecchi fa il panegirico del Santo, si mette ad
attaccare velenosamente i suoi nemici. Non ne fa il nome, ma - pensate!, - ne
imita perfettamente la voce e il modo di fare.

Lapide funeraria di Pietro Piani.
Faenza Chiesa del Cimitero dell'Osservanza.
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Tutti capiscono di chi si
tratta. Figurarsi la rabbia dei
“colpiti”. E stavolta se la legano al dito.
La sera di San Pietro, il 29
giugno, verso le 11, mentre lui è lì nel corso di Porta Imolese all’altezza dell’attuale
Banca, uno sconosciuto da via Bertolazzi (per noi e’ viôl dla Luz Elëtrica) gli tira un’archibugiata alle spalle!
Don Montevecchi è fortunato: il
colpo d’archibugio gli sbriciola il cappello, ma lui salva la pelle!
Ma il prete è incorreggibile.
Invece di prendere qualche precauzione, magari,
allontanandosi un po’ da Faenza, va avanti imperterrito. Strano che gli
amici, che il Governo non riescano a convincerlo a sparire per qualche tempo.
E, dài oggi dài domani, arriva il dunque.
Passano solo due settimane. È la sera del 15 luglio 1820. Il
canonico Montevecchi è in compagnia di Giuseppe Montanari, poco dopo l’Ave
Maria, e va verso casa. È all’inizio dell’attuale corso Garibaldi. Subito dopo
la Banca del Monte c’è un vicoletto. Oggi è chiuso da un cancello. Allora era
aperto. Ne esce uno sconosciuto all’improvviso, e gli spara due colpi di
pistola nella schiena. Portano a casa il prete mezzo
morto e spira poco dopo. Molti saranno i sospettati, ma il
vero assassino non verrà mai trovato. Ecco: vi abbiamo detto un po’
della storia nascosta dietro a quella lapide della chiesa del nostro Cimitero.
Ma non è ancora finita. Ascoltate.
Quando andate in quella chiesa,
dopo aver guardato la lapide del canonico Montevecchi, giratevi. Perché, sul muro opposto, proprio
di fronte, c’è un’altra lapide. Sapete di chi è, questa? È nientemeno di quel
Pietro Piani, morto poi a Bologna nel 1841, che don Montevecchi aveva cercato
di ammazzare a colpi di coltello per una donna. Quindi a Pietro Piani, pittore e
ceramista, morto nel suo letto a 81 anni, gli tocca di guardare in cagnesco
tutto il giorno il suo ex accoltellatore morto per due pistolettate. Che,
naturalmente, fa altrettanto.
Un bel fatto, ragazzi, vero? Se ci pensate, però: ci si
ammazza anche oggi, e come! Tivù e giornali ne sono pieni. Ma anche ai “bei tempi di una
volta”, eh, non facevano mica per ridere!
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