Il generale Umberto Utili e la rinascita dell'Esercito Italiano (1943 - 1945)

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
Home
 Storia Moderna


II generale Umberto Utili e la rinascita dell'Esercito Italiano (1943-1945)

Enzo Casadio e Massimo Valli

Quando nella tarda serata dell' 8 settembre 1943 Radio Roma trasmise la notizia che l'armistizio era stato firmato con gli Alleati, gran parte del Paese e dei militari alle armi furono colti di sorpresa. Dopo la destituzione e l'arresto di Mussolini il 25 luglio e la nomina del maresciallo Pietro Badoglio a capo del Governo, era evidente che l'Italia non avrebbe potuto reggere più a lungo lo sforzo bellico e che sarebbe stata cercata una qualche forma di disimpegno dalle operazioni militari. II nuovo Governo intraprese dei contatti con gli Anglo-Americani per negoziare l'uscita dal conflitto e per concordare un armistizio con gli Alleati, chiedendo il loro sostegno per far fronte alla prevedibile reazione dei tedeschi. Durante i colloqui con gli emissari del Governo italiano, gli Alleati rifiutarono qualsiasi forma di negoziazione e pretesero che la resa fosse incondizionata. II 3 settembre 1943 a Cassibile nei pressi di Siracusa il gen. Castellano per l'Italia ed il gen. americano Smith per gli Alleati sottoscrissero il testo dell’armistizio.

Era il cosiddetto armistizio "corto", un documento che fissava in 12 articoli le condizioni imposte all'Italia. L'ultimo articolo prevedeva che l'Italia avrebbe anche accettato tutte le altre condizioni che sarebbero state poste successivamente dagli Alleati. Alle rimostranze del gen. Castellano delegato alla firma del testo, il gen. Smith aggiunse di suo pugno che le clausole successive sarebbero state determinate anche dall'impegno che l'Italia avesse dimostrato nella lotta contro la Germania. L'armistizio "lungo", che conteneva in dettaglio tutte le condizioni imposte all'Italia, venne poi firmato il 29 settembre a Malta. La firma dell'armistizio doveva rimanere segreta fino a quando gli Alleati non avessero deciso di renderla pubblica. Per una serie di equivoci ed incomprensioni, gli alti comandi militari italiani ritenevano che la notizia sarebbe stata comunicata il 12 settembre. Ma gli Alleati avevano previsto di rendere noto l'armistizio nell'imminenza dello sbarco che stavano preparando a Salerno, per evitare la reazione italiana e per cogliere di sorpresa i tedeschi. Così alle 18.30 dell' 8 settembre, mentre la flotta da sbarco diretta a Salerno era in navigazione, la radio alleata di Algeri diede la notizia dell'armistizio; successivamente, alle 19.45, il maresciallo Badoglio diede la notizia alla radio italiana.


II Comando Supremo italiano non era riuscito a dare adeguate comunicazioni sia ai reparti presenti sul territorio nazionale sia a quelli fuori da esso e aveva predisposto un piano per opporre resistenza alle forze tedesche presenti nel Paese poco chiaro e poco determinate, tanto che molte unità rimasero senza indicazioni sul comportamento da tenere. Lo stesso annuncio dato da Badoglio alla nazione non era sufficientemente chiaro: pur affermando che le Forze Armate italiane dovevano cessare ogni atto di ostilità contro gli Anglo-Americani, diceva, all'ultimo punto: "Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza". E' evidente che apprendere dalla radio che il nemico, che si era combattuto fino a pochi minuti prima, non era più un nemico e che l'alleato, a fianco del quale si era operato da oltre tre anni, doveva essere considerate come un nemico, poteva creare confusione ed incertezze ai comandanti delle varie unità. II disorientamento fu tale che molti reparti si sbandarono ed i militari, abbandonate le caserme, cercarono di ritornare alle loro famiglie, nell'illusione che la guerra fosse finita. Dove però c'erano comandanti ben determinati, che godevano di ascendente sui loro uomini, i reparti rimasero coesi. Alcuni si trovarono subito impegnati in scontri a fuoco con i tedeschi, ma furono episodi sporadici e non coordinati.

I tedeschi, già pochi giorni dopo la caduta di Mussolini, ritenendo che presto l'Italia avrebbe chiesto l'armistizio, avevano predisposto un piano denominato "Alarico" che prevedeva l'invio di ulteriori divisioni in Italia, il disarmo e la deportazione delle Forze Armate, l'occupazione militare del Paese. L'esercito germanico entrò in azione con determinazione, circondando molte caserme e deportando i militari verso i campi di internamento in Germania. Gli episodi di resistenza dei militari italiani ai tedeschi furono repressi con grande durezza, come nelle isole greche, ove furono fucilati alcune migliaia di soldati che non avevano voluto arrendersi e consegnare le armi. Lo Stato Maggiore italiano non era riuscito ad organizzare la difesa di Roma ed il re con la maggior parte del governo e gli alti gradi militari dovette lasciare in fretta la capitale per raggiungere Pescara per poi imbarcarsi su una nave militare che si diresse a Brindisi. Non appena arrivati in Puglia i comandi militari italiani fecero il punto della situazione, cercando di capire di quanti e quali reparti disponessero, con l'intenzione di metterli a disposizione degli Anglo-Americani, che avevano inviato a Brindisi una missione militare, la MMIA (Military Mission for Italian Army), che aveva il compito di verificare lo stato di efficienza delle nostre Forze Armate e di valutare la possibilità di impiegarle contro la Germania.



Bersaglieri del LI Battaglione Allievi Ufficiali, durante il
trasferimento  dalla  Puglia alla Campania nel dicembre 1943.

Bersaglieri del 1° Raggruppamento Motorizzato nei pressi di Mignano.

La situazione riscontrata era desolante: le divisioni presenti in Puglia ed in Calabria erano in precarie condizioni, una certa consistenza era rimasta in quelle presenti in Sardegna e Corsica, che non si erano sbandate e stavano combattendo contro i tedeschi. Per quanto riguardava i reparti nell'Italia settentrionale, in Provenza e nei Balcani si avevano scarse notizie. La situazione dei materiali era pessima: scarseggiava il vestiario, in particolare le calzature, mancavano anche armi, munizioni e automezzi, inoltre non era prevedibile che la situazione potesse migliorare a breve in quanto la maggior parte degli stabilimenti industriali che lavoravano per le Forze Armate erano situati nel centro nord, nella zona di occupazione tedesca. Pur essendo in queste condizioni, il nostro Stato Maggiore progettava di costituire delle divisioni, raccogliendo i materiali che si trovavano nel sud Italia e in Africa settentrionale per combattere contro i tedeschi. In queste condizioni il 13 ottobre 1943 l'Italia dichiarò ufficialmente guerra alla Germania. Ma la Missione Militare degli Alleati deluse le aspettative dei generali italiani facendo intendere chiaramente che non erano interessati al contributo delle nostre Forze Armate. Se da un lato gli americani vedevano di buon occhio la partecipazione di reparti italiani al loro fianco, i britannici erano contrari e per tutta la durata della guerra trattarono sempre con poca diplomazia i loro interlocutori italiani. Gli Alleati ritenevano i nostri reparti inadeguati all'impiego in combattimento, viste le precarie condizioni in cui si trovavano, e preferivano usare i nostri soldati per i servizi. Decine di migliaia di uomini vennero richiesti per lo scarico dei materiali dalle navi e per i trasporti sia con gli autocarri che con i muli. Molti furono anche impiegati in servizi di guardia ai depositi e alle infrastrutture fisse. Nel contempo grandi quantità di materiale bellico italiano venivano trasportate in Jugoslavia per sostenere i partigiani di Tito.

Nel novembre del 1943 il generale Giovanni Messe, rientrato dalla prigionia, fu nominate capo di Stato Maggiore generale. Molto stimato dagli Alleati, riuscì ad avere l'autorizzazione a costituire un reparto italiano da impiegare in combattimento. Nasceva cosi il 1° Raggruppamento Motorizzato, al comando del generale Vincenzo Dapino, formato dal 67° Reggimento di Fanteria Legnano, dal LI Battaglione Allievi Ufficiali di complemento dei Bersaglieri, dal V Battaglione Controcarro, dall’11° Reggimento di Artiglieria, dal LI Battaglione Misto Genio, più le unità dei servizi per un totale di circa 5.200 uomini. La sede era a San Pietro Vernotico in provincia di Brindisi. Le condizioni materiali e morali nella quali il 1° Raggruppamento nacque ed operò non potevano essere peggiori. C'era scarsità di armi e munizioni, sia per la fanteria che per l'artiglieria, gli automezzi erano pochi e scarsamente efficienti. Le uniformi invernali e le scarpe mancavano. Alle già difficili condizioni materiali si aggiungevano quelle morali: erano in circolazione migliaia di militari sbandati e disertori, contro i quali non si riuscivano a prendere provvedimenti, di conseguenza c'era chi si chiedeva se fosse giusto combattere e rischiare la vita. Molti di quelli che abitavano nelle regioni già liberate erano tentati di abbandonare il reparto per tornare a casa. I soldati che provenivano dal Nord si chiedevano se i loro famigliari avessero potuto subire rappresaglie se si fosse saputo che erano in un reparto che stava combattendo a fianco degli Alleati.

A questo si aggiungeva la propaganda politica: gli elementi di ispirazione repubblicana non volevano andare a combattere per la monarchia, quelli di sinistra consideravano il reparto appena costituito la continuazione dell'Esercito di Mussolini. Anche il piccolo scudetto di stoffa, rosso con la croce bianca, simbolo di Casa Savoia, che i militari portavano sul lato sinistro della giubba, divenne un elemento di polemica sui giornali, in quanto c'era chi non vedeva di buon occhio questo segno che rappresentava la fedeltà delle Forze Armate alla casa reale. Pur tra tutte queste difficoltà, il 1° Raggruppamento Motorizzato partì dalla Puglia diretto verso la zona di impiego. Al reparto, inquadrato nella 36a Divisione americana, venne affidato il compito di conquistare Monte Lungo, un colle vicino alla città di Mignano, lungo la via Casilina, in provincia di Caserta ai confini con il Lazio. L'azione doveva essere combinata con due reparti americani che dovevano conquistare le due alture che fiancheggiano Monte Lungo, il Monte Maggiore e il Monte Sammucro. L'attacco era previsto per la mattina dell' 8 dicembre. I reparti italiani impiegati erano il primo e il secondo battaglione del 67° Reggimento di Fanteria Legnano e un battaglione di Bersaglieri Allievi Ufficiali. La sera del giorno 6 i militari raggiunsero le basi di partenza e prima dell'alba del giorno 8, dopo un intenso fuoco di artiglieria, iniziarono ad avanzare. Il monte era coperto di nebbia, quindi il fuoco dell'artiglieria era poco preciso. Mano a mano che i nostri avanzavano il fuoco dei tedeschi si faceva sempre più intenso e la nebbia iniziava a sollevarsi.



I fanti italiani avanzano sulle pendici di Monte Lungo.
Cartina con le direttrici del primo attacco a Monte Lungo l'8 dicembre 1943.

Purtroppo i reparti americani incontrarono una fortissima resistenza e non riuscirono ad avanzare che per poche centinaia di metri, così che, quando la nebbia si diradò ulteriormente, dalle posizioni di Monte Maggiore e Monte Sammucro i tedeschi poterono sparare sui fanti italiani che erano rimasti allo scoperto sulle pendici di Monte Lungo. II Raggruppamento fu costretto a ritirarsi dopo aver subito gravi perdite. Le cause dell'insuccesso dell'azione dell' 8 dicembre furono da imputare in massima parte alla inadeguata preparazione dell'operazione. Il comando della 36a Divisione americana aveva mal valutato la presenza dei tedeschi nella zona, affermando che Monte Lungo era difeso da un "velo di truppe", ma, in realtà, c'era il III Battaglione del 15° Reggimento della 29a Divisione Panzergrenadiere, rafforzato con uomini della divisione Hermann Goering. I tedeschi avevano allestito postazioni rinforzate utilizzando i binari e le traversine della linea ferroviaria che correva nelle vicinanze. Così, quando gli italiani e gli americani avanzarono verso i loro obiettivi, incontrarono una resistenza inaspettata. Inoltre gli uomini del 1° Raggruppamento, che erano arrivati in linea solo la sera del giorno 6, non avevano avuto il tempo di effettuare ricognizioni per prendere conoscenza del terreno sul quale avrebbero operato e delle postazioni difensive tedesche. Forse il reparto era stato impiegato troppo presto, ma lo Stato Maggiore italiano insisteva continuamente con gli americani perché il Raggruppamento entrasse in linea. Nei giorni successivi, si fece una preparazione più adeguata e si organizzò un migliore sostegno da parte dell'artiglieria e un maggior coordinamento con i reparti americani, così che il giorno 16 l'attacco alle posizioni tedesche su Monte Lungo venne ripetuto, questa volta con successo. Nella tarda mattinata la bandiera italiana e quella americana sventolavano sulla quota 343.

Il prezzo pagato dal 1° Raggruppamento Motorizzato nelle due battaglie di Monte Lungo fu molto alto: tra i poco più di mille uomini impiegati si contarono 79 morti, 190 feriti e 159 dispersi. Per il successo ottenuto il reparto ebbe i complimenti dal generate Clark, comandante della Quinta Armata americana. Gli Alleati rimasero impressionati dalla determinazione e dall'eroismo dei nostri fanti e bersaglieri che, sacrificandosi sulle pendici di Monte Lungo, avevano dimostrato che i soldati italiani erano pronti a combattere al loro fianco per liberare il Paese dall'occupazione tedesca. Dopo essere rimasti ancora qualche giorno in zona di operazioni, il Raggruppamento fu allontanato dal fronte e, dopo una faticosissima marcia di trasferimento di circa 25 chilometri tra la neve ed il fango, raggiunse Sant'Agata dei Goti nei pressi di Caserta. Dopo le gravi perdite subite il reparto era caduto in uno stato di prostrazione fisica e morale, tanto che il generate Dapino, che aveva ricevuto dagli americani la richiesta di un ulteriore impiego, dovette comunicare che l'unità aveva bisogno di un periodo di riposo, in attesa dell'arrivo di altri uomini per rimpiazzare le perdite e per riprendere una certa capacità operativa. I fanti del 67° Reggimento ed i bersaglieri del LI, che avevano pagato il prezzo maggiore, sentivano di essere stati mandati allo sbaraglio con armamenti e mezzi inadeguati e senza una sufficiente preparazione. A questo si aggiungeva che i nostri erano costretti a muoversi quasi sempre a piedi, con indumenti e calzature non adatte al clima invernale; anche la razione viveri non era adeguata in quantità e qualità. II senso di frustrazione era anche accentuate dal costante paragone con i reparti americani che disponevano di grandi quantità di automezzi, di equipaggiamenti adatti al clima invernale e ricevevano abbondanti razioni alimentari, anche quando non operavano in prima linea. I soldati, che provenivano in gran parte dalle regioni centro settentrionali, non avevano modo di comunicare con le loro famiglie, alcuni non davano o ricevevano notizie da anni.

La situazione nelle retrovie non migliorava, i complementi non arrivavano, i militari che avrebbero potuto essere arruolati preferivano andare volontari nei reparti di servizi che lavoravano per l'esercito americano. Continuava anche la propaganda politica contro gli appartenenti al Raggruppamento e alle Forze Armate. Nel reparto si coglieva l'esigenza di una profonda ristrutturazione e di un notevole rafforzamento per riprendere capacità operativa. Alla fine di dicembre del 1943, lo Stato Maggiore decise di sostituire l'esausto 67° Reggimento di Fanteria con il 68° e di affiancare al LI Bersaglieri un altro reggimento il 13°. Inoltre furono aggiunti due plotoni di mortai ed un battaglione di Arditi. L'inserimento delle nuove unità nel Raggruppamento non fu immediato; le armi e gli equipaggiamenti scarseggiavano sempre e l'addestramento andava a rilento. A queste difficoltà si aggiungevano le continue richieste di personale da parte del comando della Quinta Armata americana, che, non ritenendo che il reparto potesse essere reimpiegato in combattimento, richiedeva uomini da utilizzare per compiti ausiliari. In questa difficile situazione, il 16 gennaio 1944, il Ministero della Guerra dispose un avvicendamento al comando: il gen. Dapino fu sostituito dal gen. Umberto Utili. Lo Stato Maggiore riteneva che un nuovo comandante avrebbe potuto ridare slancio al reparto.

Utili, che si trovava in Puglia, si diede immediatamente da fare per trovare unità che potessero concorrere al potenziamento del Raggruppamento. Il compito non era certamente facile, visto che di reparti in grado di essere operativi in breve tempo ce n'erano pochi. II 24 gennaio il gen. Utili assunse l'effettivo comando del reparto. Avendo notata la scarsa fiducia degli americani nei confronti del Raggruppamento, Utili chiese di incontrare il gen. Clark, comandante della Quinta Armata, per confermargli la sua intenzione di dare una maggiore efficienza operativa ai suoi uomini. Apparentemente gli americani gli diedero fiducia, ma ai primi di febbraio gli arrivò l'ordine di mettere a disposizione della Quinta Armata 650 uomini da impiegare come lavoratori. Con le difficoltà che c'erano nel reclutare ed addestrare il personale, l'uscita di 650 persone avrebbe messo in ginocchio il reparto. Utili si recò quindi al comando americano per fare le proprie rimostranze. Con molta decisione disse al suo interlocutore che il Governo italiano lo aveva incaricato di guidare delle truppe da impiegare in combattimento e che se queste truppe dovevano essere impiegate diversamente il suo mandato era finito e quindi attendeva la sostituzione. La sua determinazione ebbe successo e l'ordine venne ritirato.



Il generale Utili si rifiuta di comandare solo dei “lavoratori”


Il generale Utili, appena assunto il comando del nostro 1° Raggruppamento motorizzato, venne informato da un suo ufficiale di collegamento che un colonnello alleato desiderava parlargli. Già amareggiato per il fatto che le intenzioni del Comando della Quinta Armata erano quelle di trasformare i soldati italiani in lavoratori, Utili si slacciò il cinturone che reggeva la pistola e porgendolo al suo ufficiale disse: “Porta quest’arma al colonnello americano e digli che se non viene qui lui, preferisco essere un prigioniero che uno squalificato”. (Disegno di Walter Molino)




da:
“La Domenica del Corriere”.


Continuava intanto l'incessante lavoro di ricerca e addestramento di reparti da fare confluire nel Raggruppamento. Per dare maggiore potenza di fuoco alla fanteria, Utili chiese che gli fossero assegnati dei moschetti automatici "Beretta", tali armi erano in dotazione ad un battaglione di paracadutisti della divisione "Nembo" acquartierato nei pressi di Lecce. Quando i paracadutisti ricevettero l'ordine di consegnare le loro armi automatiche, si rifiutarono. Dopo qualche giorno il gen. Utili si presentò al reparto e parlò agli uomini promettendo loro di entrare presto in linea e di partecipare alla liberazione di Roma. Gli argomenti esposti dal generale furono convincenti tanto che l'intero reparto entrò a far parte del Raggruppamento assumendo il nome di 185° Paracadutisti Nembo. Successivamente arrivò anche il Battaglione Alpini "Piemonte". Dal 5 febbraio il Raggruppamento passò alle dipendenze del Corpo di Spedizione Francese. La cosa non fu gradita e provocò un certo imbarazzo, in quanto i francesi non avevano certo dimenticato che nel giugno del 1940 l'Italia li aveva attaccati mentre tentavano di resistere all'invasione dell'esercito nazista. Il 10 febbraio il Raggruppamento entrava in linea sotto il comando dei francesi, nella zona delle Mainarde, al confine tra Lazio e Molise, a fianco dei polacchi del gen. Anders, nel punto di collegamento tra la Quinta americana e l'Ottava britannica, effettuando, in un primo momento, solo operazioni di ricognizione nella zona di Monte Marrone. Nel frattempo giungevano nuovi reparti; particolarmente utili si dimostrarono gli alpini, in quanto la zona di operazioni era quella a loro più congeniale. Da Monte Marrone i tedeschi dominavano l'alto Volturno e la sua conquista era strategica per rafforzare le posizioni alleate nella zona di Cassino.



Alpini del battaglione Piemonte salgono le pendici di Monte Marrone.
L'avanzata del CIL da Monte Marrone alla Linea Gotica.

L'incarico di prendere il monte venne assegnato agli italiani e fu fissato per il 31 marzo. Prima dell'alba gli alpini e i paracadutisti iniziarono a salire sulle pendici del monte nel più assoluto silenzio, riuscendo a raggiungere la vetta e a cogliere i tedeschi di sorpresa. Si trincerarono nelle posizioni raggiunte e nei giorni successivi respinsero i forti contrattacchi dei tedeschi. L'azione di Monte Marrone, che era costata pochissime perdite, diede entusiasmo ai reparti italiani, anche perché gli Alleati riconobbero che il successo era stato determinato dall'abilità con la quale era stata condotta l'operazione. Lo Stato Maggiore italiano approfittò quindi del momento favorevole per ottenere dagli Alleati l'autorizzazione a costituire altre unità combattenti. Il 1° Raggruppamento, che nel frattempo si era rafforzato superando i 10.000 effettivi, era passato alle dipendenze del X Corpo d'Armata Britannico. II 17 aprile 1944 la Commissione Alleata di Controllo ne autorizzò la variazione della denominazione in Corpo Italiano di Liberazione (CIL). II nome voleva sottolineare l'impegno delle Forze Armate per la liberazione nazionale, anche in conseguenza delle mutate condizioni politiche nel paese. Il 12 aprile il re Vittorio Emanuele aveva nominato luogotenente del regno il figlio Umberto e, pochi giorni dopo, a Salerno si era costituito il secondo governo Badoglio del quale facevano parte tutti i partiti della Comitato di Liberazione. Il CIL nasceva quindi in una situazione ambientale più favorevole, godendo dell'appoggio di tutte le forze politiche.

Le operazioni continuarono nella zona del fiume Sangro fino ad arrivare vicino a Lanciano. Nel frattempo il CIL si rafforzò con l'arrivo dalla Sardegna del 184° Reggimento Paracadutisti comandato dal colonnello Ronco e dei marinai del Battaglione Bafile. II 4 giugno 1944 gli Alleati entrarono a Roma. L' 8 giugno iniziò un'offensiva che portò gli uomini del CIL a liberare Canosa Sannita, Orsogna, Chieti e, successivamente, Sulmona, l'Aquila, Teramo. II 17 giugno, unitamente al 2° Corpo polacco, continuarono ad incalzare i tedeschi, avendo come obiettivo finale la città di Ancona, il cui porto rivestiva una grande importanza strategica. I rifornimenti alle truppe dell'Ottava Armata avvenivano infatti tramite automezzi che partivano dai porti della Puglia, la disponibilità del porto di Ancona avrebbe reso molto più agevoli i trasporti, accorciando notevolmente il percorso. II giorno 18 venne raggiunta Ascoli Piceno ed il 30 i paracadutisti italiani entrarono a Macerata. Per potere raggiungere Ancona si dovevano superare una serie di località ben difese dai tedeschi che cercavano di contrastare l'avanzata verso la città. Mentre i polacchi avanzavano verso Loreto, l' 8 luglio il CIL attaccò le posizione tedesche a Filottrano. Dopo un intenso fuoco di preparazione delle artiglierie, i paracadutisti della Nembo iniziarono l'attacco. La battaglia proseguì con grande intensità casa per casa, per tutta la giornata, e fu sbloccata in serata con un contrattacco di due compagnie di paracadutisti affiancate da alcuni carri armati polacchi. Alle prime ore del giorno successivo Filottrano venne liberata. Nei combattimenti la Nembo perse quasi la meta dei suoi effettivi. II comportamento del CIL suscitò l'ammirazione del comandante dell'Ottava Armata che si complimentò con il generale Utili. Alcuni giorni dopo, gli arditi del IX Reparto d'assalto con un colpo di mano a sorpresa liberarono Cingoli catturando numerosi prigionieri. Nei giorni successivi il CIL si attestò sulla riva destra del fiume Musone, in preparazione dell'offensiva che iniziò il 16 luglio quando italiani e polacchi, dopo avere attraversato il fiume, si diressero verso Ancona, strenuamente difesa dai tedeschi. Dopo la liberazione della città le operazioni continuarono; l'Ottava Armata continuò ad incalzare i tedeschi che si ritiravano verso la Linea Gotica.

II CIL era stato duramente provato nei combattimenti nelle Marche, i complementi arrivavano in misura inadeguata e la scarsa disponibilità di armamenti ed automezzi si faceva sempre più sentire. Nonostante le difficoltà, l'avanzata proseguì ed il 28 agosto fu liberata Urbino. Dopo pochi giorni si concluse il ciclo operative del Corpo Italiano di Liberazione, che, a seguito delle decisioni degli Alleati, fu sciolto per lasciare spazio alla formazione di alcuni nuovi reparti che sarebbero stati addestrati ed equipaggiati con materiale inglese per prendere parte alla fase finale della guerra. Con la fine del CIL, il 24 settembre 1944, scomparve l'ultimo reparto vestito con uniformi italiane, era infatti previsto che i nuovi reparti, denominati Gruppi di Combattimento, utilizzassero la divisa kaki inglese. Le continue insistenze dello Stato Maggiore italiano per dare un maggior contributo alla guerra furono accolte dagli Anglo-Americani, sia per le buone prove date dal CIL, sia per sopperire al trasferimento di alcuni reparti Alleati dal fronte italiano a quello francese dopo lo sbarco in Normandia. Per potere operare organicamente a fianco dei reparti dell'Ottava Armata, i Gruppi di Combattimento dovevano essere addestrati ad usare le stesse armi e gli stessi materiali degli inglesi, questo comportava la necessità di un grande lavoro di preparazione, anche per apprendere le tattiche e le procedure dei comandi alleati. Ogni Gruppo aveva un organico simile a quello di una divisione ed era costituito da due reggimenti di fanteria e da uno di artiglieria, più altri reparti minori per un totale di circa 9.500 uomini. Nelle speranze dello Stato Maggiore c'era il disegno che i Gruppi di Combattimento potessero operare uniti tra di loro sotto un comando italiano; gli Alleati non lo permisero. Nel settembre 1944 furono quindi costituiti sei Gruppi di Combattimento denominati Cremona, Friuli, Folgore, Legnano, Mantova e Piceno.



Bologna. Il generale Utili con alcuni dei suoi ufficiali
a colloquio con il gen. Alexander  (secondo da sinistra).

A guerra finita, il generale Utili assiste ad una cerimonia del Gruppo di Combattimento Legnano.

II Gruppo di Combattimento "Cremona" nacque dall'omonima divisione che aveva combattuto in Corsica contro i tedeschi immediatamente dopo l'armistizio. Era formato dal 21° e 22° Fanteria e dal 7° Artiglieria, sotto il comando del gen. Clemente Primieri, entrò in linea a metà febbraio 1945 sul fronte del fiume Senio, nella zona tra Alfonsine ed il mare. Ai primi di marzo fu impegnato nei pressi di Torre di Primaro per eliminare una posizione tedesca avanzata. Con l'offensiva di aprile 1945 il "Cremona", attraversato il Senio, liberò Alfonsine e, dopo aver superato il Santerno, raggiunse Chioggia, Mestre e Venezia, issando il tricolore in piazza San Marco. Anche il Gruppo di Combattimento "Friuli" nacque dall’omonima divisione reduce dai combattimenti in Corsica. La divisione era poi passata in Sardegna e successivamente nel Sannio per l'addestramento con i materiali e le metodologie inglesi. Era costituito dall' 87° e dall' 88° fanteria e dal 35° artiglieria, il comandante era il generale Arturo Scattini. II 24 novembre 1944, dopo avere terminata la prima fase dell'addestramento, il gruppo "Friuli" sfilò per Roma tra l'entusiasmo della popolazione prima di raggiungere la Toscana per la fase finale della preparazione. Il 4 febbraio 1945 il "Friuli" fu passato in rassegna dal comandante del V Corpo Britannico in piazza Saffi a Forlì. Dopo pochi giorni entrava in linea nella zona di Brisighella sostituendo le truppe polacche per presidiare il fronte sul Senio davanti a Riolo. II 10 aprile, attraversato il fiume, avanzò verso Bologna, dove entrò il 21 aprile.

II Gruppo di Combattimento "Folgore" nacque nel settembre 1944, all’indomani dello scioglimento del CIL, dall'unione del Reggimento Paracadutisti Nembo con il reggimento di fanteria di Marina San Marco e con il Reggimento di artiglieria Folgore. II Gruppo, al comando del gen. Giorgio Morigi, dopo l'addestramento nel Sannio fu trasferito nelle Marche. Nel febbraio 1945 entrò in linea nell'alta valle del Senio e del Santerno. Con l'offensiva del 10 aprile il "Folgore" avanzò lungo le valli del Santerno e del Sellustra. Il 19 aprile i paracadutisti attaccarono le posizioni tedesche a Case Grizzano, un punto strategico sulla strada per Bologna. Solo dopo una serie di combattimenti all'arma bianca fu possibile allontanare i tedeschi dalle loro posizioni. II Gruppo di Combattimento "Legnano", comandato dal gen. Umberto Utili, fu costituito al momento dello scioglimento del CIL, riunendo il 68° Reggimento di fanteria, un reggimento speciale composto da alpini e bersaglieri e l'11° artiglieria. Inquadrato nella Quinta Armata americana, operò nella valle dell'Idice a sud di Bologna. II 10 aprile 1945 iniziò ad avanzare verso Bologna e, dopo alcuni scontri con i tedeschi, entrò in città il 21 aprile contemporaneamente al Gruppo "Friuli". Poi inseguì i tedeschi in ritirata fino nel nord Italia. Il Gruppo di Combattimento "Mantova" era stato costituito in Calabria con gli elementi dell'omonima divisione. Dopo un periodo di intenso addestramento nel beneventano, fu trasferito in Toscana per la fase finale della preparazione in vista dell'impiego. Rimase a disposizione come forza di riserva e non entrò mai in combattimento. II Gruppo di Combattimento "Piceno", mentre era in fase di addestramento, fu smembrato. Una parte dei suoi componenti fu messa a disposizione dell'Arma dei Carabinieri per servizi di ordine pubblico. Un nucleo consistente fu richiesto dagli Alleati per essere adibito ai servizi. Oltre ai reparti combattenti furono costituite numerose unità ausiliarie fino ad allestire 7 divisioni. Nell'aprile 1945 erano impiegati nei servizi circa 200.000 uomini. Prevalentemente si occupavano dei trasporti, dei lavori di manovalanza, del genio oppure venivano impiegati in servizi di guardia ai depositi e alle infrastrutture. L'impegno dei reparti del ricostituito Esercito Italiano e il tributo di sangue dato alla causa della Liberazione nazionale contribuirono a rendere meno onerose le condizioni imposte all'Italia con trattato di pace.


Profilo biografico del generale Umberto Utili

Umberto Utili nacque a Roma il 18 luglio 1895 da una famiglia di origine faentina. II padre e due zii, uno paterno e uno materno, erano ufficiali di fanteria. Dopo avere frequentato l'Accademia Militare di Artiglieria e Genio a Torino, nel 1914 conseguì il grado di sottotenente e prese parte alla prima guerra mondiale. Operò in diversi reparti di artiglieria combattendo vicino a Gorizia, sul Carso e all'Ortigara. Terminata la guerra con il grado di capitano, si iscrisse al Politecnico di Milano per conseguire la laurea in ingegneria, ma poi nel 1920 entrò alla Scuola di Guerra uscendone due anni dopo come ufficiale di Stato Maggiore. Dal 1922 al 1927 prestò servizio a Livorno, nel 1926 fu promosso maggiore e dal 1927 al 1929 comandò un gruppo del 7° Artiglieria pesante Campale a Livorno. Trascorse un periodo presso lo Stato Maggiore dell'Esercito, durante il quale ottenne la promozione a tenente colonnello, poi nel 1937 fu trasferito in Eritrea. Rientrato in Italia nel 1939, comandò il 19° Reggimento di Artiglieria della Divisione "Gavinana" a Firenze, il reparto fu successivamente trasferito in Albania. Utili passò a comandare la Scuola Centrale di Artiglieria a Civitavecchia e dopo lo scoppio della guerra operò sul fronte greco-albanese. Assunse poi l'incarico di Capo Ufficio del Comando Artiglieria del CSIR, il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, per diventare, dal gennaio del 1942, Capo di Stato Maggiore del XXXV Corpo d'Armata. Dopo la promozione a generale di brigata, rientrò in patria ed operò presso lo Stato Maggiore dell'Esercito, assumendo il comando del Reparto Operazioni nel luglio 1943, pochi giorni prima dello sbarco degli anglo-americani in Sicilia.



Bologna 21 aprile 1945. Il Generale Umberto Utili parla ai militari del 2° Corpo Polacco
e al Gruppo di Combattimento Legnano, dopo la liberazione di Bologna.
Alla sinista del Generale Utili il Comandante Polacco Tenente Generale
Zygmunt Bohusz Szyszko, a sinistra il Sindaco di Bologna Giuseppe Dozza.

Faenza, viale Baccarini: Cippo a ricordo del Generale Umberto Utili posto nel 1978.

L' 8 settembre si adoperò invano perché venissero date precise disposizioni ai reparti per far fronte alle truppe tedesche. Trasferitosi a Brindisi al seguito dello Stato Maggiore, dal 29 settembre assunse la funzione di capo della missione di collegamento con gli Alleati, impegnandosi per ottenere la partecipazione dell'Esercito alla guerra per la liberazione del Paese. Dopo le vicende di Monte Lungo sostituì il generale Dapino nella carica di comandante del 1° Raggruppamento Motorizzato, lo potenziò grazie al suo costante impegno, e lo guidò nelle operazioni a Monte Marrone. Dopo la nascita del CIL, continuò la sua incessante opera per ottenere uomini e materiali per mantenere un buon livello di efficienza operativa. Sotto il suo comando, il CIL compì con successo il suo ciclo operative, prima con il X Corpo d'Armata britannico e successivamente con il 2° Corpo polacco, che lo vide impegnato nella liberazione dell'Abruzzo e delle Marche. II 24 settembre 1944, fu sciolto il CIL e il generale Utili assunse il comando del "Legnano", che con l'offensiva dell'aprile 1945, dopo avere partecipato alla liberazione di Bologna il 21 aprile, raggiunse Brescia il 29, Bergamo il 30 per proseguire verso Como inseguendo le truppe tedesche in ritirata. Terminata la guerra, mantenne il comando del Gruppo, che dal 15 ottobre 1945 assunse la denominazione di Divisione Legnano. Nel 1948 fu comandante del III Comando Militare Territoriale di Milano e nel 1949 fu nominate generale di Corpo d'Armata. La carriera di Utili era destinata a continuare; erano molti infatti che pensavano a lui come futuro Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, ma un male incurabile lo stroncò il 27 ottobre 1952 a soli 57 anni. In un primo tempo fu sepolto nel cimitero del Verano di Roma, successivamente la salma fu traslata al sacrario di Monte Lungo, dove riposano i caduti del 1° Raggruppamento Motorizzato e del CIL.

Utili era stato decorate di croce di guerra al valor militare nel 1916, aveva ottenuto inoltre tre medaglie d'argento al valore, una in Africa, una sul fronte Greco-Albanese e una nella campagna di Russia. Decorato di croce di cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia nel 1942, era stato nominate Cavaliere Ufficiale nel 1945. Il Governo degli Stati Uniti gli concesse la commenda della "Legion of Merit", la Francia lo nominò Cavaliere Ufficiale della Legion d'Onore e la Polonia gli concesse la croce "Virtuti Militari". II gen. Umberto Utili può essere considerate a ragione uno del principali artefici della rinascita dell'Esercito dopo l'8 settembre e della sua partecipazione alla guerra di liberazione. Nell’immediato dopo guerra il gen. Utili aveva raccolto le sue memorie sugli avvenimenti successivi all'8 settembre, che erano rimaste inedite fino al 1979, quando furono pubblicate in un volume postumo dal titolo "Ragazzi in piedi!". Il titolo era stato ripreso dall’ultima frase dell'ordine del giorno che il generale diramò il 24 gennaio 1944 al momento di prendere il comando del 1° Raggruppamento: "Ragazzi, in piedi, perché questa è l'aurora di un giorno migliore."



I Gurkha entrano a Faenza.
ARTICOLI CORRELATI

Due soldati tedeschi davanti
alla Torre dell'Orologio distrutta.


I Maori nella battaglia di Faenza
I bombardamenti del 1944
La battaglia di Faenza
Slovacchi a Faenza
O.R.I. Organizzazione Resistenza Italiana
La sirena d'allarme
I Gurkha a Faenza
Gli sminatorI
Il «Ponte Nuovo» ricostruito in tre mesi
I Sikh a Faenza
Monte Fortino, novembre 1944



Home
 Storia Moderna