Le 7 volte in cui Faenza è caduta (e si è rialzata) nella storia

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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LE 7 VOLTE IN CUI FAENZA È CADUTA
(E SI  È RIALZATA) NELLA STORIA


Buon Senso Faenza


Narrano gli studiosi che Alexander Dumas (padre!) diceva a chi vedesse tutto negativo nella sua vita: “Servono le sventure per scavare certe miniere misteriose nascoste nell’intelligenza umana; serve la pressione per far esplodere la polvere”. Ed è vero, la città di Faenza con l’incendio del magazzino Lotras System, su cui ancora indaga la magistratura, ha scavato nelle miniere nascoste dell’intelligenza umana e si è unita, coesa, per salvare il proprio territorio e per ripartire dopo un evento imprevedibile. Ma la città di Faenza, già tante altre volte ha avuto modo di rialzarsi. Sventure e disastri, cause umane e divine, si sono abbattute sul territorio. Ma per sette volte ha rialzato la testa, ricostruendo e rinascendo come la fenice.  Ecco allora sette esempi di ripartenze della città di Faenza che sono di ispirazione per ogni volta che un evento così incredibile sconvolge una città intera.

Totila assedia Firenze nel
corso della guerra greco-gotica.

1. Gli anni dell’alto medioevo: pestilenze e guerre

Anche Faenza non rimase immune da questo conflitto. Sebbene le fonti e gli storici dissentano sulla nascita di Faenza, le fonti in nostro possesso raccontano che, durante l’età romana, la città di Faenza fu un lontano villaggio di provincia dal fare ridente e tranquillo. I primi grossi sconvolgimenti arrivarono con la guerra greco gotica (535-553), un evento che fu accompagnato da peste (la famosa peste giustinianea) e da carestie.
In questo periodo alcune città o castrum romani sparirono per sempre. Faenza invece riuscì, nonostante le difficoltà, aproseguire nel suo cammino.
Come? Difficile a dirsi: i faentini, come tanti altri, ripensarono la città, riutilizzando le rovine romane in molti dei loro edifici. Anche l’economia, passata la tempesta della guerra, rinacque, grazie ai floridi campi che circondano la città. I faentini, forse per la prima volta, superarono le difficoltà ricostruendo la loro città e il loro territorio.

Approfondimento: 
Le mura altomedioevali e la Faenza del XIII secolo



2. Federico II e l’assedio di Faenza

Passato l’alto medioevo e l’incertezza delle fonti, dopo l’anno Mille la città, come molte altre, prosegue il suo cammino di crescita urbanistica. Una percorso positivo che portò all’allargamento della cinta muraria, al fiorire di ordini monastici che, attraverso contratti di affitto (enfiteusi), aumentarono le capacità di produzione della campagna. Le vicende politiche, con la lotta tra guelfi e ghibellini, ebbero nel 1200 un momento cardine. Faenza, avvicinata alla Seconda lega Lombarda da Bologna, entrò nelle mire di Federico II. Dopo Ravenna, in avvicinamento a Bologna, Federico deviò per Faenza e il 26 maggio 1240 cinse d’assedio la città. Non fu facile mantenere la città sotto scacco e non riuscendo a prenderla militarmente, decise di affamarla. La città capitolò il 14 aprile 1241. Anche in questo caso, però, la pena inflitta alla città resistente fu mite: niente mura, allontanamento della parte ghibellina e filo papale, costruzione di un castrum dove avrebbe dovuto alloggiare un messo imperiale. La mitezza – altre città furono rase al suolo! – imperiale risparmiò la città: ma fu anche lo spirito faentino, duro nel combattere ma attento a trattare, che garantì il superamento di questa difficoltà, mantenendo intatta la loro città.


Diamante Torelli, figlia di Bartolomeo, resiste sulle mura
di Faenza all’assalto del Valentino (dipinto di Enrico Baldini).

3. L’assedio del Valentino e la caduta dei Manfredi,
la strenua resistenza dei faentini


La fine di una dinastia che più di ogni altra ha segnato la storia di Faenza, che ha dimostrato la strenua resistenza dei faentini. Nel 1500 la città fu assediata dalle truppe mercenarie di Cesare Borgia, alle quali Faenza resistette per sei mesi guidata dal sedicenne Astorgio Manfredi, poi catturato a tradimento e imprigionato a Roma dal Valentino. Pochi anni dopo il corpo del giovane signore fu ritrovato nelle acque del Tevere. Come scrive Santa Cortesi: “La robusta cinta muraria fatta erigere da Astorgio II nel 1462 e la rocca costruita nel 1371, dove è oggi l’Ospedale Civile, ebbero parte determinante, oltre il valore umano, nella difesa e resistenza della città. II campo del Valentino venne posto a sud del Borgo Durbecco, le artiglierie disposte fra Lamone e Marzeno, forse, secondo il Tonduzzi (p. 556) nel luogo chiamato l’Isola. Al gigante Borgia I’impresa si presentava dunque più difficile del previsto per il valore formidabile della piccola Faenza”. Nel 1502 giunse a Faenza, su invito del Borgia, Leonardo da Vinci. Secondo alcuni studi, il genio toscano realizzò il progetto di una rete di gallerie sotterranee da usare in caso di emergenza. Non è noto se la rete fu effettivamente realizzata; del suo passaggio resta comunque il disegno della Cattedrale in costruzione. Nel 1503, con la morte del padre papa Alessandro VI, crollò l’effimero regno del Borgia. Faenza fu brevemente soggetta alla Repubblica di Venezia (1503-1509); successivamente entrò a far parte dello Stato della Chiesa.

Approfondimenti:
L'aspetto urbano di Faenza ai tempi di Leonardo
La Signoria dei Manfredi iniziò 700 anni fa a Faenza
Il Tricolore e i Manfredi



Assalto all'untore durante la peste del 1629.

Approfondimenti: 
La Beata Vergine delle Grazie nelle case faentine
Faenza al tempo del colera del 1835-37
Amarcord Romagnolo, dall'antichità al giorno d'oggi...
Il colera morbus nel 1835-36 visto da Faenza

4. La peste: il digiuno del 1412 e quella ‘manzoniana’

La peste del 1348 è famosa grazie a Boccaccio, che l’ha resa celebre nel suo Decameron. Non disponiamo di dati importanti sulla città – sappiamo però che colpì anche Faenza -. Ma spostandoci solo qualche decennio più avanti, ancora un altro caso di peste stava per annientare la città. Nel 1412, una matrona di nome Giovanna raccontò ai frati di sant’Andrea delle Vigne (oggi san Domenico) di aver visto la Madonna che, con le braccia aperte e stringendo tre frecce spezzate per mano, le disse che la collera divina si sarebbe ugualmente spezzata se il vescovo avesse indetto un digiuno universale e una processione penitenziale per tre giorni consecutivi. Inizialmente creduta pazza, fu portata dal vescovo e questi ordinò i tre giorni di digiuno e la processione. Faenza fu allora risparmiata dalla peste. Ed anche nel 1629, quando la peste “manzoniana” imperversò sulla città, il culto della Madonna delle Grazie fu riscoperto, e la città fu risparmiata fatti salvi alcuni casi limitati di episodi (mentre la vicina Cesena ebbe più di 6mila morti!). I faentini da allora pregano la Madonna delle Grazie con le belle parole “gli affanni, la peste/ ci afflissero un dì/ ma un Manto celeste/ Faenza coprì”. Ma, soprattutto nel 1629, assieme alla divina protezione, i faentini spesero molto per creare un cordone sanitario che isolasse la città dalla Peste, ed ancora una volta i faentini reagirono a quegli infausti momenti.



Approfondimento: 
Bendandi, colui che «prevedeva» i terremoti

5. I terremoti: la città si ricostruisce nel segno del Neoclassico

Tra la seconda metà del Cinquecento e il Seicento è stato individuato dagli studiosi del clima una fase detta “piccola glaciazione”, con abbassamenti delle temperature che portarono a forti carestie. Per Faenza, questo si sommò a un pesante sciame sismico. Furono numerosi gli eventi sismici: il primo ricordato è quello del 15 di agosto del 1653, con epicentro nel forlivese ed una magnitudo di 4.40 Mw, seguito il 22 di marzo 1688 da uno di magnitudo 5,84 Mw e un terzo di magnitudo 4.16 il 19 di agosto proprio con epicentro a Faenza. Anche il 9 di agosto del 1728 una scossa di potenza 4.63 Mw sconvolse Faenza, mentre le più potenti di tutte scossero la città il 4 aprile del 1781 alle 21.20 (ben 6.12 Mw) e il 17 luglio alle 9.40 (5.61). I danni furono incredibili. In una città fatta di legno e mattoni, con scosse così forti il tessuto urbano fu turbato dalle fondamenta. Quello però che stupisce è la forza con cui i faentine reagirono a questi eventi: già nel Seicento infatti furono costruite la torre civica e altri elementi di pregio, ma fu nel Settecento che Faenza divenne l’epicentro del Neoclassico, con dimore ricche di affreschi e costruiti secondo la moda dell’epoca. È questo un caso veramente interessante di come la volontà dei faentini,dopo una serie di dolorose scosse di terremoto, ha fatto rinascere la propria città, più bella di prima.


Il Ponte delle due torri di Faenza,
distrutto da una fiumana nel 1842
.

Approfondimenti:
Dal Ponte d'Arco al Ponte Rosso
La "Fiumana" del Settembre 1842

6. La piena del Lamone e il crollo del ponte delle due torri

Il 14 settembre del 1842 Faenza fu svegliata da urla di gente: il Lamone aveva tracimato dalla sua sede. L’elemento più famoso di quella piena fu la caduta, rovinosa, del ponte delle due torri, cimelio medievale e simbolo della città. Ma tutta la città fu colpita anche perché i mulini erano resi inservibili. La città fu però lesta a rispondere alle esigenze dei cittadini: il gonfaloniere Gessi infatti cercò subito grano dalle città vicine, e trovò a Castel Bolognese i mulini attivi, ma prima ancora di poter prendere quel prezioso bene dai vicini, i mulini sul canale Naviglio furono resi servibili e fu scongiurato il peggio. Intanto fu predisposto un ponte di legno, in sostituzione del precedente delle due torri distrutto, e fu attraversato il 21 dicembre dal legato,cardinale Amat. Anche in questo caso la celerità delle istituzioni ha garantito che un fatto così doloroso potesse avere conseguenze ben peggiori.



Approfondimenti: 
I Maori nella Battaglia di Faenza
L'UNPA e i rifugi bellici di Faenza
I Gurkha a Faenza
I Sikh a Faenza

7. La seconda guerra mondiale e i bombardamenti

A memoria d’uomo l’evento più distruttivo fu, senz’altro, il secondo conflitto mondiale. Non solo i combattimenti del dicembre 1944, ma anche i bombardamenti, le distruzioni operate dai tedeschi in ritirata. I civili morti furono 956, mentre in città furono rasi al suolo circa il 30% degli edifici, mentre furono danneggiati gravemente il 50%. Fu proprio in questo momento così difficile che la città seppe ricostruire tutto, dal tessuto sociale, a quello culturale e produttivo. L’amministrazione, le organizzazioni sindacali e la Chiesa locale si diedero da fare per far uscire la città dalla depressione in cui era precipitata: nel novero di dieci anni sorsero nuovi stabilimenti produttivi (la Cisa prima di tutto), furono innalzati nuovamente importanti centri culturali come il Mic, i luoghi di culto furono ricostruiti. Grazie agli aiuti economici nazionali e internazionali, vennero costruiti nuovi quartieri (le case Ina, ad esempio, grazie ai piani Fanfani), e la città di Faenza entrò, a pieno titolo, negli anni del boom, trasformandosi da città prettamente agricola a centro meccanico e per la trasformazione dei prodotti agricoli.


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