Nel parco in Borgo ritrovato un teatrino dell'800
di Sandro Bassi
Chi scrive non è affatto la persona più indicata a farlo,
stavolta. Partecipò infatti alla «scoperta» di cui leggerete come semplice
cronista, a lavori praticamente conclusi e va sottolineato che di fatiche vere
e proprie, ben superiori; a quelle di uno scribacchino, si trattò. Tuttavia la scoperta rivestì e riveste una notevole
importanza per il Parco della Commenda e per la sua storia. È vero che alcuni
dettagli, qui riportati come ipotesi, restano da approfondire, con studi e
ricerche d'archivio. È comunque fuor di dubbio che la struttura ritrovata alla
sommità del torresino già interessato nell'Ottocento dalla costruzione del
«nicchione-teatro» da parte di Giuseppe Maria Emiliani sia una gioia per
gli occhi e una «chicca» meritevolissima di conservazione e di futura valorizzazione.
Non sta a chi scrive dire come possano avvenire queste ultime. Due degli
scopritori, Stefano Saviotti e Giuliano Bettoli, diranno la loro: il primo in
quanto coinvolto nel progetto di restauro e recupero del torresino stesso, il
secondo in quanto in fatto di teatro non ha nulla da imparare da nessuno. Che la struttura trovata lassù fosse un luogo di
spettacoli non è finora provato documentariamente ma è assai probabile per la
morfologia (cosa ci faceva, altrimenti, il sedile perimetrale rivolto al centro
dove la superficie rialzata sembra fungere da piccolo palco?) e per
associazione di idee con il nicchione sottostante. È vero altresi che, una
volta appurato che I'Emiliani o chi per lui aveva voluto quel piccolo belvedere
per farci anche concerti o microspettacoli (oltre a prendere il fresco,
guardare il paesaggio, ascoltare poesie ecc.), non sarebbe così automatico,
oggi, riproporli, non foss' altro che per il limitatissimo numero di posti che
pone un problema di fruizione. Tuttavia i problemi sono fatti per esser risolti
e Giuliano, come uomo di teatro, li risolverà. A chi scrive è sembrato utile
riportare la cronaca della scoperta così come uscita su «Settesere» del 14
settembre 2013. In fondo, dopo I'articolo lasciato volutamente nella sua veste
originaria, è stato aggiunto un aggiornamento con particolare riguardo al
verde del Parco della Commenda di cui il teatrino - per il momento chiamiamolo
ancora così - è, con tutta evidenza, parte integrante.
Da sempre si sapeva che nel Parco della Commenda, in Borgo,
in uno del torrioni («torresini») delle mura quattrocentesche manfrediane, era
stato ricavato nella prima meta dell'Ottocento un piccolo e buffo teatrino
costituito da una nicchia a cupola, sormontata da un coronamento in pietra. Non
si sapeva invece - o meglio, non si sapeva più - che sopra la
struttura vi fosse una piattaforma semicircolare accessibile da due scalette
laterali: uno spesso strato d'edera nascondeva completamente tutto. E agli
occhi attoniti dei volontari che martedi scorso, 3 settembre 2013, hanno terminato la
rimozione dei rampicanti si è presentato un qualcosa di ben
più raffinato rispetto ad una semplice piattaforma di copertura: un sedile in pietra
corre lungo il perimetro del semicerchio con una ventina di posti a sedere,
mentre sull'altro lato i tre lastroni di coronamento fanno da sfondo ad una piccola superficie
rialzata. E che ci andava a fare la gente lassu? La suggestiva posizione fa
pensare ad un romantico belvedere - e forse la struttura ha funzionato anche
per questo - ma sedendosi si ha la sensazione che questo fosse un ulteriore
luogo di spettacoli: piccoli, magari solo musicali e per un pubblico
numericamente «selezionato» mentre quelli del nicchione sottostante potevano
esser visti da un pubblico piu ampio. Al momento queste sono solo ipotesi, ma è
certo che si tratti di una bella scoperta, effettuata dagli Amici della Commenda
che, orfani del grande basamento del ponte romano scoperto nel 2011 nel Lamone
e quest'anno rimasto a sonnecchiare sott'acqua, hanno individuate un altro
obbiettivo per rendersi utili. Da tempo tutto il Parco di Fra Sabba, dietro la
Commenda, reclamava e reclama interventi di pulizia straordinaria, ma il più
bisognoso sembrava proprio il torresino sepolto dall'edera. Ci sono voluti due giorni di roncola e cesoie per Giuliano ed Ermanno
Bettoli, Miro Gamberini, Vittorio Maggi, Stefano Saviotti e Piero Ravagli, ma
ne è valsa davvero la pena. Ora si pone il problema di come proteggere ed
eventualmente valorizzare la struttura e per questo mercoledì 11 si è tenuto
un sopralluogo da parte del sindaco Giovanni Malpezzi e dell'assessore ai
Lavori pubblici Claudia Zivieri. Vien spontaneo pensare che la forma di
recupero più bella e «filologica» sarebbe la ripresa di un'attività teatrale o
musicale, perlomeno nel nicchione dove per ora basterebbe la rimozione delle
scritte a vernice che lo deturpano. Un po' più arduo il discorso per il teatrino-belvedere sommitale,
certamente non «a norma» e in alcuni punti anche pericolante o comunque
richiedente un vero e proprio restauro.
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Faenza,
Borgo Durbecco, 14 settembre 2013. A destra, il quattrocentesco
torresino manfrediano, poi trasformato in nicchione da Giuseppe Maria
Emiliani nella prima metà dell'Ottocento. A sinistra il Parco della
Commenda e sullo sfondo il torresino. (Foto di Raffaele Tassinari).
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«È vero - spiega Stefano Saviotti, animatore della scoperta
e che già in passato ha svolto una dettagliata ricerca d'archivio sul Parco e
sui suoi torresini (pubblicata in «2001 Romagna», giugno 2009) - e sarebbe bene
intervenire subito perché ad esempio il bordo posteriore, dove c'è lo schienale
del sedile, risulta seriamente danneggiato». La struttura originale è tutta in spungone, bellissima
pietra locale (proviene da un lungo affioramento che va dai pressi di Marzeno - con le alture di Ceparano,
Pietramora e Castellaccio - fino a Capocolle di Cesena passando per il
fondovalle Samoggia dove pare vi fossero i più antichi siti di estrazione)
usata a Faenza fin da epoca romana e poi riciclata in molti casi, tra cui
questo. Tuttavia diverse parti presentano un vecchio rivestimento in cemento,
in più punti sbriciolato ma ancora ben riconoscibile.
A
quando risalirebbe questo cemento? «Evidentemente ai primi
anni 70 - spiega Saviotti - quando il Comune entrò in possesso
dell'area e vi
realizzò l'attuale parco. Tuttavia si era praticamente persa la memoria
dei lavori. Escludo siano più antichi perché dopo quelli di
Emiliani, conclusisi entro il 1846, nessuno si era più interessato
della
valorizzazione dell'area, tantomeno del teatrino». Colui che concepì
questo,
assieme ad altri vari abbellimenti che facevano del luogo un giardino
di
delizie, fu Giuseppe Maria Emiliani, singolare figura di
poeta-letterato e
imprenditore-benefattore (la sua maggior impresa fu l'omonimo Collegio
di
Fognano che ha appena compiuto 190 anni). Egli acquistò l'area nel 1812
e vi
realizzo, in oltre trent'anni - fino alla vendita, avvenuta nel 1846 -
una serie
di interventi sul verde, sugli edifici e perfino sul paesaggio perché arrivò a sopraelevare la collina,
detta «MonteFormicone», che esisteva anche prima ma che fu da lui resa pregevole
elemento decorativo.
A quando risale esattamente il teatrino? «Non siamo in grade
di precisarlo ma possiamo fare delle congetture - ancora Saviotti - .
Di certo è posteriore al 1824 perché non figura nell'elenco degli
interventi di
Emiliani, periziati appunto in quell'anno da un ingegnere incaricato
dal Comune
nel quadro di un contenzioso perché molti furono, di fatto, abusivi. Io
credo
sia stato realizzato subito dopo il 1842, quando, con il crollo del
vicino
Ponte delle Torri, si rese disponibile un quantitativo di blocchi di
spungone,
poi tagliati e risagomati secondo le esigenze di questo piccolo ma
delizioso
monumento».
Postilla
A quanto scritto allora c'è effettivamente qualcosa da
aggiungere. Il belvedere sommitale, oltre alla sua bellezza intrinseca,
possiede un fascino dovuto all'uso di un materiale, lo «spungone» appunto, che
come detto sopra è faentinissimo, da sempre (in proposito si veda Lo «spungone»
tra Marzeno e Samoggia. Geologia, natura e storia, a cura di L. Bentini,
S. Piastra M.Sami, Faenza 2003) e che in questo caso ha visto uno degli ultimi
usi, in senso cronologico, in città. Dopo l'impiego in età romana e il reimpiego medievale
(palazzi del centro, specie come pietra cantonale), rinascimentale (basti
citare la cornice marcapiano esterna del Duomo), barocco (e si citano sempre la
zoccolatura di base della chiesa del Suffragio e quella di Santa Maria Nuova), si sapeva di
«riciclaggi» di fine '700 - ad esempio le originarie colonne del Teatro
Comunale (G. Pistocchi, 1780) - forse sempre con prelievo da quell' immensa
"cava" che era il cosiddetto ponte del Quadrone (in realtà un molo o
poco più, di età romana, situato nel Lamone all'altezza circa dell'odierna via
della Croce) e che era stato saccheggiato in più occasioni tra le quali la
pluricitata costruzione della chiesa del Suffragio con la richiesta in tal
senso dei Carmelitani Scalzi al Magistrate cittadino nel 1655. La
tradizione orale, suffragata da alcuni autori (A. Medri, P. Monti, L. Bentini, V.
Righini), ha sempre sostenuto che i resti del "Quadrone" fossero
rimasti visibili nel letto e sulla sponda del Lamone fin circa a metà
Ottocento. È logico quindi supporre che ad esempio Pistocchi per il Teatro abbia
attinto da lì.
Il piccolo edificio costruito sulla sommità del monte Formicone.
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Oggi però sappiamo che dopo il 1842, con il crollo del
ponte delle Torri il cui basamento si è rivelato essere in poderosi blocchi di
spungone, si rese disponibile un'altra notevole quantità di materiale. Sappiamo
anche (Saviotti, com. pers.) che i blocchi stessi furono posti in vendita
dallo Stato (pontificio), non dal Comune, forse in quanto pertinenti a
struttura su strada consolare. Non si conoscono i nomi degli acquirenti
ma è verosimile che tra questi vi fosse l' Emiliani per la costruzione appunto del
teatrino, che ha in spungone il coronamento del nicchione e tutta la struttura
sommitale, incluse le scale laterali. È assai probabile che a questo stesso arco di tempo risalga
anche la "sopraelevazione" del preesistente Monte Formicone, reso più regolare e «montagnoso» (prima
doveva essere un semplice accumulo di terra, anche se Fra Sabba, che lo cita,
doveva averlo piantumato a scopo decorativo e per ritirarcisi a meditare),
sull'esempio, per dire, della Montagnola di Bologna. In questa occasione in
cima al Monte devono esser stati collocati anche i blocchi di spungone lasciati
così, interi, utilizzabili come sedili e quasi come reperti archeologici secondo
il gusto romantico già documentato a Faenza per tutt'una serie di giardini e parchi
di ville ottocentesche. Subito dopo la sopraelevazione, Emiliani o chi per lui
dev'esser intervenuto con la costruzione del piccolo ma doppio edificio
(cappelletta di sotto e spazio di servizio sopra) incastonato sul fianco del
monte e, guarda caso, anch'esso realizzato in gran parte con pietre di spungone
(certamente di reimpiego: si veda la buffa colonnetta riutilizzata
orizzontalmente, come elemento murario sul lato est). La figura dell' Emiliani, per quanto discussa (politicamente,
letterariamente e anche eticamente, vista ad esempio la sua predisposizione ad
interventi abusivi), va in ogni caso rivalutata e rivalutato va il suo rapporto
con il teatro, da lui ritenuto forma di espressione fondamentale con valenza
educativa (si veda il notevole esempio, con quinte e decorazioni di Romolo
Liverani, realizzato da Pietro Tomba certamente su sua richiesta per il
Convitto-collegio delle Educande gestito dalle Suore Domenicane di Fognano). Per
finire, non avulsa dall'importanza e bellezza del luogo è la cornice
verde, in primis con i lecci, di cui restano soprattutto due notevoli esemplari, centenari o forse un po' di più, sul
«monte»; altrettanto belli i circostanti e coetanei allori, che sostanzialmente
formano la macchia arborea; in mezzo, qua e la, si trova qualche essenza
esotica e quasi certamente insediatasi in un secondo tempo, ma non per questo
oggi da eliminare: robinie e ligustri giapponesi.
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Pregevole è anche il "sottobosco" e ben noto, a
questo proposito, è il lento ma non trascurabile degrado (al sottobosco e al
terreno) sopraggiunto negli ultimi anni per il calpestio e per usi impropri. L'uno e gli altri sono eliminabili, o quantomeno riducibili, ripristinando l'originario
sentiero di accesso alla vetta del monte, sentiero che era ovviamente anulare e
che era unico, non suddiviso in molteplici e disordinati percorsi anche sulle
linee di massima pendenza come avviene oggi, con conseguenze di erosione e
dilavamento del terriccio superficiale. Basta delimitare bene il percorso stesso (dopo averlo
fisicamente ripristinato) con uno steccato o anche solo con un semplice
«mancorrente» in corda. Si eliminerebbero tutte le scorciatoie oggi nefaste per
il tappeto erbaceo fra cui spiccano specie comuni (viola, edera, pan di
biscia, ranuncolo del boschi o favagello, ecc.), ma anche rare, o comunque di
un certo valore naturalistico, come la pervinca e soprattutto un bellissimo
aglio (Allium sp.) a fioritura primaverile bianca, probabilmente introdotto
dall' uomo a scopo decorativo (o sfuggito alla coltivazione in vicini orti e
giardini) in età imprecisata - in ogni caso abbastanza antica - e che per
Faenza costituisce un'unicità o quasi.
Giuseppe Maria Emiliani (1776 - 1847)
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Giuseppe Maria Emiliani (1776 - 1847)
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Giuseppe
Maria Emiliani, figlio di Antonio e di Angiola Maria Betti, nacque a
Faenza il 16 gennaio 1776. II ramo della sua famiglia si era staccato
da secoli dagli Emiliani presenti in Ronco almeno sin dal 1300, dove
ancora oggi esiste una famiglia Emiliani col soprannome di Fanzē
soprannome dovuto a un Finzino Emiliani vissuto nel 1400 (come mi ha
confermato la signora Alessandrina Emiliani di Ronco). Giuseppe Maria
fu letterato e poeta fecondissimo e rivestì cariche pubbliche: dopo la
caduta di Napoleone fu Presidente dell'Istruzione e nel 1832 fu
Gonfaloniere di Faenza. Oggi è ricordato, soprattutto, per essere stato
fondatore e finanziatore del Collegio del SS. Sacramento di Fognano che
ancora porta il suo nome. Fu un uomo ricco, religioso e generoso
filantropo. Morì a Fognano il 29 maggio 1847. Fa meraviglia che, oltre
alla grande attività pratica svolta e alle tante, e dure, difficoltà
incontrate, quest' uomo abbia trovato il tempo per scrivere tante
opere: poesie in italiano e in latino, traduzioni dai classici latini e
dalla Bibbia, prose letterarie, di carattere economico e lettere. Una
ricca selezione dei suoi scritti fu pubblicata in tre volumi dalla
Tipografia di Pietro Conti nel 1858 a Faenza per iniziativa delle
Monache di Fognano, guidate dalla priora, la grande Suor Rosa Teresa
Brenti che dell'Emiliani era stata una strettissima collaboratrice.
Oggi, a Faenza, nel centra storico, tra via Fadina e via Sarti, una via
è intitolata a Giuseppe Maria Emiliani, ma - curioso! - in precedenza
era intitolata a un altro Emiliani, di nome Emiliano, vissuto fra il
1682 e il 1714, sacerdote, letterato e poeta, autore di epigrammi e di
liriche, membro di accademie letterarie. E - come scrive Giuseppe
Beltrani a pag. 48 del libro Note allo Stradario della Città di Faenza, F.lli Lega, Faenza, 1970 - non si sa quando e come sia awenuto il... cambio della guardia. (Giuliano Bettoli)
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