Le mura altomedioevali e la Faenza del XIII secolo

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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LE MURA ALTOMEDIOEVALI E LA FAENZA DEL XIII SECOLO

di Stefano Saviotti


da: 2001 Romagna, n° 141, dicembre 2013




La prima cinta muraria della città pare risalisse alla fine dell'ottavo secolo, periodo in cui numerosi altri centri abitati ne furono provvisti. E' certo che in un documento dell'Archivio Arcivescovile di Ravenna datato 2 maggio 977 si ricorda il murum publicum di Faenza, il che dimostra l'esistenza delle mura già in quell'epoca. Esse erano costruite con materiale di recupero (mattoni e ciottoli fluviali) e completate da un fossato esterno; non è dimostrato che vi fossero torri lungo il perimetro. Le uniche tracce ancora visibili, attribuibili a queste antiche fortificazioni, si trovano nel muro di confine tra i nn. 66 e 68 di corso Mazzini. Avanzi della Porta  Imolese di quei tempi, consistenti in blocchi di spungone sovrapposti senza cemento, si rinvennero sotto la strada antistante nel 1867. Altre fondamenta delle mura furono trovate in via Cavour 8 nel 1963 e nell'area del vicino ex Monastero di S. Caterina, poi S. Maglorio: qui si rinvennero due grossi muri, paralleli tra loro e alla strada. Ruderi della Porta Montanara altomedioevale furono scoperti nel 1872 e 1932, nella piazzetta di S. Lucia, di fronte a via Castellani.
Partendo dall'antica Porta Imolese, il percorso delle mura altomedioevali correva parallelamente a via Cavour, rimanendo ad una trentina di metri verso la Piazza. All'altezza di via S. Maria dell'Angelo si apriva la Posterla degli Asaloni, cosi detta dal nome di una famiglia influente che risiedeva poco distante. La cinta proseguiva oltre, per poi piegare all'interno del Parco Tassinari e giungere alla Porta Montanara cui si è accennato. Da questo punto continuava sino al parcheggio di via Ceonia e quindi seguiva via Bondiolo, rimanendo però sempre spostata verso il centro della città. Il muro continuava parallelamente a via Don Bosco, passando dietro all’ex chiesa di S. Michele (in fondo a via Torricelli) e all'abside dei Servi. Oltrepassata la Porta del Ponte, che a quei tempi sorgeva a circa 80 metri dal fiume, le mura passavano tra vicolo Dogana e via S. Bernardo, poi piegavano attraversando longitudinalmente l'isolato tra via Sarti e via Fadina. In epoca non ancora accertata, di fronte a via Giangrandi fu aperta un'altra piccola uscita, detta Posterla di S. Ippolito, tramite la quale si raggiungeva la chiesa omonima. In corrispondenza di corso Garibaldi pare vi fosse una semplice posterla di servizio, mentre la porta vera e propria, detta del Conte, si trovava su via Naviglio all'altezza del portone di Palazzo Ferniani. Da questo punto le mura proseguivano sino all' Istituto d'Arte, per ricongiungersi alla Porta Imolese. La cinta fu rafforzata con nuove opere anche dopo la sua costruzione; nel 1184 il Podestà Guglielmo Burro iniziò a riscavare le fosse della città, allo scopo d'immettervi l’acqua da una presa sul fiume poco a monte di Persolino, in luogo detto Marciliano (oggi Osteria del Gallo). II canale, completato dal Podesta Antonino de Andito nel 1194, correva lungo la strada fuori Porta Montanara e proseguiva sul lato occidentale di via Cavour; con un largo giro intorno alle mura andava infine a scaricarsi nel fiume dietro S. Ippolito seguendo un percorso tuttora esistente, seppure coperto. Quest'opera non ebbe solo carattere difensivo, perché vi sorsero subito cinque mulini con due macine ciascuno per fornire la farina a tutta la città. Nel 1223, in previsione di un ampliamento dell'area urbana, il tratto di canale fra S. Maria Vecchia e S. Domenico fu spostato più ad occidente, fino al Portello, ad opera del Podestà Amezo Carentano che ricostruì i mulini. Traccia dell'alveo si trovò nel 1943, scavando le fondamenta per l’ampliamento della Maternità in via Baliatico. Nel 1224 il Podestà Uberto da Oggiono costruì uno steccato con fossato esterno, a protezione della nuova zona urbanizzata che si estendeva fra via Cavour e via Pascoli da un lato, e fra via S. Maria dell'Angelo e la piazzetta di S. Maria Vecchia dall'altro. In corrispondenza di via Fiera fu aperta Porta del Leone, cosi detta da un leone di marmo posto nei pressi dell’antica S. Maria, il cui ingresso era allora rivolto verso occidente. In corrispondenza del prolungamento di via S. Maria dell'Angelo fu aperta un'altra posterla, che sostituì quella degli Asaloni e venne detta in seguito il Portello di Maghinardo, perché situata nei pressi della casa di Maghinardo Pagani. Sempre nel 1224, Amezo Carentano fece scavare il canale di Bondiolo per difendere la città dal lato meridionale. Questo nuovo fossato prendeva acqua dal primo canale nella parte terminale di via Cavour, passava parallelamente a via Orto S. Agnese e correva al centro di via Minardi. Proseguiva lungo via Ceonia, Bondiolo, Don Bosco ed infine sfociava nel fiume di fronte allo sbocco di via Lapi in via Renaccio. Per consentire il passaggio del canale sui loro terreni, il Vescovo e l'Abate di S. Maria ottennero il possesso di due dei mulini costruiti sopra il corso d'acqua. Nel 1240, le milizie faentine aiutarono la Lega Lombarda nella conquista di Ferrara, che fu tolta al ghibellino SalinguerraTorelli ed assegnata ad Azzo d'Este. L' Imperatore Federico II decise di ristabilire il potere imperiale con la forza, e dalla Puglia mosse verso nord riconquistando le città ribelli in Toscana e Marche. Prima di attaccare Bologna mosse contro Ravenna, che fu presa in pochi giorni, quindi assediò Faenza pensando di conquistarla con altrettanta facilità.
Purtroppo per lui non fu cosi: l'assedio duro dal 26 agosto 1240 al 14 aprile 1241. L' imperatore, infuriato per la tenace resistenza della città che lo costrinse anche a costruire un villaggio di baracche di legno per consentire alle sue truppe di superare i rigori dell' inverno, dopo la resa ordino la demolizione delle mura e il riempimento delle fosse e vieto la futura erezione d'opere difensive. Tradizione vuole che, laddove sorse l’accampamento di Federico II, la località prese il nome di Sobborgo dell'Imperatore (ora via Batticuccolo). Egli fece anche costruire una rocca, detta Castrum Imperatoris che confinava con i terreni del convento degli Agostiniani e per questo è collocata dagli studiosi nell'area fra S. Agostino e la chiesa del Carmine. Secondo il Golfleri, la rocca aveva accesso dalla Porta Regis in asse con via Bondiolo. Scrive però il Montanari, nella sua Guida Storica di Faenza del 1882 a pag. 238, che ancora ai suoi tempi s'intravedevano vestigia della Rocca dell’Imperatore sotto le mura dietro il Carmine, nella zona di via Lapi. La posizione di questo fortilizio sarebbe quindi rimessa in discussione, anche se Montanari potrebbe aver confuso per resti della rocca qualche muraglione appartenente al fossato delle mura Manfrediane.
Nel 1248, dopo la grave sconfitta delle truppe imperiali a Parma, i Guelfi di tutt'Italia risollevarono il capo, e l'esercito pontificio riconquistò parecchi castelli e città romagnole. Soldati bolognesi strinsero d'assedio anche Faenza, che questa volta in soli 15 giorni si arrese, anche perché priva di efficaci fortificazioni. Una volta affrancatasi dal dominio imperiale, la città ripristinò le proprie difese con un giro di steccati e fosse, incorporando anche i sobborghi sviluppatisi verso S. Francesco e il Ponte. A nord, il fossato fu portato sul lato interne delle vie Campidori, Manara e Croce; verso il fiume, fu incorporata I'area di via Baroncina (il Broilo) e via S. Bernardo e ricostruito il ponte sul Lamone; anche il Borgo Durbecco fu cinto con un proprio serraglio. Nel 1256, i guelfi faentini cacciarono i ghibellini, ma ciò avrebbe potuto far saltare il fragile equilibrio politico della Romagna, e pertanto i Bolognesi intervennero con decisione. Di fatto, Faenza fu posta sotto un protettorato bolognese, che fra le altre cose impedì ai Faentini di riscavare le fosse.





Col tempo la morsa bolognese si allentò, e nel 1271 le porte furono fortificate con torri. Nel 1279 Faenza cadde sotto l'influenza dei bolognesi Lambertazzi, di parte ghibellina, i quali fecero tali e tanti soprusi da rendersi nemici anche gli stessi ghibellini faentini. Uno di essi, Tebaldello Zambrasi, custode di Porta Imolese, si accordo con i Geremei, acerrimi nemici dei Lambertazzi, ed all'alba del 13 novembre 1280 (o 24 agosto 1281, secondo alcuni storici bolognesi) aprì la porta alle loro milizie. I Geremei fecero strage di ghibellini e saccheggiarono la città, e l'episodio fece scalpore per lungo tempo. Nel canto XXXII dell'Inferno, Dante colloca Tebaldello nel girone dei traditori della patria, immersi nel ghiaccio fino al capo. Il 2 aprile 1281 i ghibellini forlivesi, associati con quelli faentini in esilio, si vendicarono distruggendo il serraglio del Borgo Durbecco ed incendiando molte case. Nel 1290 il Borgo fu nuovamente circondato da steccati e fosse dai Manfredi, che tuttavia poco tempo dopo furono cacciati dai ghibellini, fra i quali Maghinardo Pagani che fu nominato Capitano del Popolo. Nel 1292, Maghinardo fortificò Porta Ponte per timore di un attacco bolognese. E' molto probabile che nel corso della Signoria di Francesco Manfredi (1313-1343) siano state costruite le due torri del Ponte, che poi divenne simbolo della città. Dalla Descriptio Romandiole del 1371 (primo censimento della Romagna in epoca medioevale) appare che il Borgo aveva tre porte, Porta dell'Ospitale sulla via Emilia, Porta Candiana a nord e Porta Capriola (poi Torretta) a sud. Una volta raggiunto quest'assetto, le difese della città non subirono altre modifiche fino alla costruzione delle mura Manfrediane.

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