La Rocca di Faenza

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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La Rocca

 
di Stefano Saviotti




Verso la fine del XIV secolo, una nuova rocca sostituì quella dell’Imperatore, in posizione però opposta rispetto alla città. Allo scopo di rafforzare il dominio del Papa su Faenza, il Card. Albornoz fece edificare lungo la strada per Imola, duecento metri fuori della demolita Porta Imolese, una nuova fortificazione detta Castrum Albanum. Questa rocca era in costruzione nel 1371, come riporta la Descriptio Romandiole, e due anni dopo fu imposta in tutta la Provincia di Romagna la tassa di un soldo per fumante per il suo completamento. Alcuni mattoni datati 1372-73, trovati negli scavi per il nuovo padiglione dell’Ospedale, confermano questa datazione.
La nuova Rocca era di pianta rettangolare, coi lati corti paralleli alla via Emilia e quattro torrette quadrate agli angoli, poco più alte delle cortine murarie. Sul lato maggiore verso la città, a filo interno della cortina, si collocava il mastio, molto più alto e massiccio delle altre torri. A fianco di esso vi era una torretta d’entrata (aperta verso l’interno della Rocca) in cui si aprivano un ingresso pedonale ed uno carraio. Sul lato opposto della fortezza, verso la campagna, si apriva invece la cosiddetta Porta del Soccorso o porta segreta, identica a quella sopra descritta. Pare che né le torri angolari né il mastio fossero provvisti d'apparato a sporgere, ma in compenso una rudimentale difesa piombante veniva  esercitata tramite alcune caditoie a scivolo, poste nei fianchi delle torrette. La Rocca era circondata da un fossato largo circa venti metri, che la isolava anche dalla città ed era scavalcato, per una parte della sua larghezza, dai ponti levatoi carrai e pedonali dei due ingressi, appoggiati all’estremità su testate in muratura. Il fossato era mantenuto colmo d’acqua mediante una diramazione del canale cittadino, con origine sotto il colle di Persolino (luogo che prese il nome di Bocche dei Canali), e percorso parallelo alle vie Canal Grande e degli Insorti. Il canale, una volta alimentate le fosse della Rocca, tornava sul tracciato preesistente in corrispondenza del Molino del Portello. Il recinto della Rocca racchiudeva un cortile ed un edificio per la guarnigione, addossato al lato verso il corso. In più “granai, pozzi, cantine, un mulino ed ogni altra cosa necessaria ad una fortezza”, come scrisse Bernardino Azzurrini nel 1618. Vi era inoltre anche un portico, che crollò il 21 aprile 1501 per un bombardamento durante l’assedio di Cesare Borgia, seppellendo una squadra di soldati.

Dopo la metà del Quattrocento, allo scopo di limitare i danni che sarebbero stati provocati dalle bombarde sulle mura (relativamente sottili) di questa fortificazione antecedente all’invenzione delle armi da fuoco, le cortine verso la campagna vennero rinforzate internamente addossandovi un terrapieno. Se la raffigurazione nella mappa del 1630 è fedele (in quel punto vi è una toppa evidente, segno che l’immagine fu rifatta), il fortilizio non dovette subire altri importanti ammodernamenti. Probabilmente esso rimase molto simile all’impianto originario, in cui si ravvisano somiglianze con le rocche di Pandino, Cortemaggiore e Finale Emilia, a loro volta ispirate a castelli viscontei.
La Rocca subì il primo assedio da parte di Astorgio I Manfredi, che voleva riprendere possesso della città, venduta dal Legato Pontificio al Marchese di Ferrara. L’operazione ebbe successo, e la resa avvenne il 24 luglio 1377. Nell’anno 1412 Giovanni Galeazzo Manfredi, temendo il riaccendersi dei conflitti con Forlì per l’appoggio dato da questa città all’antipapa Giovanni XXIII, accumulò 500 stara di grano nella Rocca, il che conferma la presenza di un ampio magazzino all’interno. Non vi è altro da segnalare sino al 16 novembre 1477, quando Galeotto Manfredi entrò in città, acclamato dai Faentini stanchi delle vessazioni imposte da Carlo Manfredi e dal Vescovo Federico, anch’egli della stessa casata. Sentendosi perduto, Carlo si rifugiò nella Rocca insieme con il figlio Ottaviano, al Vescovo e ai figli di Cecco Ordelaffi di Forlì. In aiuto di Galeotto giunsero rinforzi da vari Stati: tre bombarde da parte di Pino Ordelaffi, due squadre di soldati capitanati da Giovanni Antonio Scariotto e dal figlio (con una bombarda grossa) per conto di Venezia; una grande bombarda infine, con molte munizioni e qualche soldato, fu inviata da Giovanni Bentivoglio di Bologna. Mentre la Rocca veniva martellata massicciamente (venticinque colpi solo sul lato accanto a Porta Imolese), alcuni mediatori trattarono la resa: erano questi il Vescovo di Cesena Mons. Giovanni d’Omelia, Antonio Guidone commissario a Lugo per il Marchese di Ferrara, ed un ambasciatore faentino. Nella stessa notte del 16 novembre il Vescovo Federico fuggì a Lugo di nascosto, e al diffondersi della notizia tutti i suoi beni furono saccheggiati dalla folla infuriata. Il 9 dicembre 1477 Carlo Manfredi si arrese e poté andare in esilio con i familiari e la sua corte, fatti salvi i suoi beni.
Il 31 maggio 1488 la Rocca fu teatro di un altro tragico avvenimento: dopo l’assassinio di Galeotto Manfredi, la moglie Francesca Bentivoglio, mandante dell’omicidio, e due dei sicari (Mingazzo Vittori e Rigo Bolognese) si rifugiarono nel fortilizio per evitare l’ira della popolazione, fedele al defunto Signore. La Bentivoglio aveva con sé anche il figlio Astorgio III, erede di Galeotto, e subito il Governo Provvisorio della città portava l’assedio alla Rocca per ottenere il rilascio del Principino. Il 5 giugno il castellano Simone Zuccoli consegnò Astorgio III e i due sicari, ma rifiutò di cedere la Rocca.  Due giorni dopo si raggiunse l’accordo: Francesca Bentivoglio poté uscire dalla Porta del Soccorso e mettersi in salvo a Bologna. I Faentini rilasciarono Giovanni Bentivoglio, che era stato arrestato con il sospetto che volesse impadronirsi della città, e la Rocca finalmente tornò sotto il possesso del governo regolare.

Il più grave assedio subito dalla Rocca e da tutta la città fu quello da parte di Cesare Borgia, che intendeva crearsi un dominio personale a danno delle Signorie romagnole sfruttando l’appoggio di Papa Alessandro VI, suo padre naturale. Dopo aver conquistato tutti i castelli del territorio circostante, il 20 novembre 1500 egli pose l’assedio alla città. Preso dal panico, già alcuni giorni prima il castellano si era ribellato voltando le bombarde verso Faenza, poi scese a patti e gli fu concesso di fuggire. Al suo posto fu designato Giovanni Evangelista Manfredi, fratello di Astorgio III, assistito da quattro consiglieri per via della sua giovane età. La Rocca fu duramente colpita (1660 tiri d'artiglieria): lunghi tratti di cortina furono gettati a terra ed abbattuto il ponte che la univa alla città, subito rifabbricato in posizione più riparata. Il 16 aprile 1501 Borgia tentò un assalto, che fallì dopo sei ore per mancanza d'organizzazione tattica. Il giorno seguente, le sue bombarde troncarono quasi a metà il mastio, ed egli inviò all’attacco per tre volte reparti italiani, francesi e spagnoli, subendo altre gravissime perdite. Il giorno 21, dopo un ennesimo bombardamento, il condottiero Vitellozzo Vitelli sferrò un altro infruttuoso attacco alla città, che però dopo pochi giorni dovette arrendersi in quanto la popolazione era allo stremo e non vi era speranza di soccorso dagli Stati vicini (vedi anche il capitolo “L’impianto originario”). Il 25 aprile 1501, Michele Spagnolo prese così possesso della Rocca in rovina, insieme con 500 fanti.
Nel 1503 Faenza subì un nuovo assedio da parte dei Veneziani, che approfittarono del declino del Borgia per dare corpo alle loro mire espansionistiche sulla Romagna; essi posero il campo base nel convento dell’Osservanza, iniziando a bombardare la città. Un primo contingente di 300 uomini, comandati da Cristoforo Moro, s’introdusse nella Rocca e vi innalzò le insegne venete. Iniziò quindi a sparare con le artiglierie verso la città, mentre dall’esterno altre truppe (non molto numerose però) tentarono di espugnare Porta Imolese, contrastate però efficacemente dai Faentini che impedirono pure l’ingresso di altri Veneziani in Rocca. Tempo dopo però il grosso dell’esercito della Serenissima si portò all’assedio di Faenza, che si arrese il 19 novembre.

Dopo neanche sei anni la situazione si capovolse: truppe pontificie invasero la Romagna avvicinandosi alla città, mentre la congiura dei Compagnazzi minava dall’interno il governo del leone alato. Durante l’assedio pontificio, il Capitano di cavalleria Francesco d’Uliva finse di passare dalla parte veneta, ed appena entrato in città tentò di conquistare una delle Porte. Gli andò male; arrestato, fu appeso per i piedi alle mura della Rocca e poi trascinato per le strade. Nel maggio 1509 il Provveditore veneto si rifugiò in Rocca, ma poco dopo i soldati si arresero ed egli fu fatto prigioniero. Dopo queste travagliate vicende, la città ritornò stabilmente sotto il dominio pontificio e la Rocca non dovette più subire assedi e distruzioni.
Nel 1526, Papa Clemente VII ordinò agli architetti militari Antonio da Sangallo il Giovane e Michele Sanmicheli di ispezionare le rocche di Romagna, segnalando i lavori da compiere per un loro rafforzamento. Riguardo alla Rocca di Faenza, gli esperti consigliarono di rifoderare le due cortine diroccate verso la campagna, ingrossare i torrioni esterni e le due muraglie verso la città per girare con l’artiglieria su tutti gli spalti.
Ecco il testo originale: “Questa si è la fortezza di Faenza alla quale primamente bisogna far nettare li fossi et rifare el sostegno delaqua di detti fossi perché è rotto e sta pochaqua ne fossi al presente. Item bisogna rifoderare di muro le scarpe delle cortine delle due facie quale si mostrano alla Campagna quale più tempo fa sono state scrostate cho pichoni per ruinare detta Rocha. Item bisogna ingrossare li torrioni dal chanto di fuora perché sono picholi e sottili di mura chelli fianchi che vi sono presto si torriano perché anno poche spalle. Item bisogna ingrossare di muro ho di terra le duo facce delle cortine di verso la terra per potere girare intorno collaltilleria. Item bisogna far loro intorno li merli alla franzese e parapetti alle cortine e torrioni e torre maestra. Item coprire le cinque torri e chi coprissi le cortine ancora per a tempo di pace e a tempo di guerra scuseria monitione e si conserveria melglio le muraglie elle guardie potriano molto meglio guardare. Item levare certo terreno el quale è stato messo apresso allargine de fossi drento alla terra.”
Alcuni lavori, non meglio specificati, furono effettivamente compiuti nello stesso anno 1526 per ordine del Vicepresidente di Romagna Giacomo Berlandini, sotto la direzione di alcuni Faentini esperti. Nel 1564 il castellano sollecitò nuove riparazioni alla Rocca, che era stata trascurata da tempo. Non ho potuto ricostruire l’elenco dei castellani che si sono succeduti nella fortezza, in quanto (a differenza di quelli di Oriolo e Granarolo) non erano nominati dal Consiglio Generale. Dal Tonducci però si apprende che nel 1581 era in carica tale Filippo Spada, e nel 1599 Cesare Sinibaldi. A quell’epoca la Rocca aveva perso gran parte della sua importanza militare, ed una conferma della sua scarsa manutenzione si ha ancora dall’Azzurrini, che nel 1618 scrisse: “ il tutto si trova in mal stato, et ogni hora va peggiorando.”
Il 2 febbraio 1621, durante la riunione del Consiglio, il Priore sollecitò provvedimenti; il Dott. Zanelli aggiunse che nella Rocca abitavano molte famiglie povere e che la fortezza era malsicura, in quanto chiunque poteva aprire la Porta del Soccorso che conduceva fuori città e fare entrare dei malintenzionati. Fu deciso che il castellano Claudio Scotti facesse sgomberare gli inquilini e custodisse meglio la Rocca; il giorno seguente egli consegnò la chiave della Porta del Soccorso, ma alcuni Anziani sospettarono che potesse averne un’altra copia e che col suo atto volesse respingere ogni responsabilità, nel caso di situazioni di pericolo dovute alle sue inadempienze. La chiave fu così restituita a Scotti, obbligandolo ad assumersi tutti gli oneri che gli spettavano. (Acta Consilii, vol. 25, f. 14).
Nient’altro di rilevante dicono le cronache fino alla metà del Settecento; quando il Vescovo Cantoni elaborò il suo progetto di unificare i vari ospedali cittadini in una sola moderna struttura la scelta del luogo cadde su quest’area, in quanto il fortilizio era ormai nel più completo abbandono, e la posizione periferica ed abbastanza isolata era adeguata sotto il profilo sanitario. Il Vescovo spedì pertanto una supplica al Papa, chiedendo il benestare per la demolizione della Rocca ed offrendosi per ottenere l’area in enfiteusi, pagando 36 scudi annui al castellano, a rimborso degli affitti che ancora percepiva dai locali da demolire. Il Consiglio Generale di Faenza, a sua volta, il 24 maggio 1747 deliberò di chiedere l’assenso del castellano alla demolizione, ed egli vi si disse disposto purché l’amministrazione ospedaliera gli pagasse una pensione annua di 40 scudi. Il Comune si fece garante di quanto richiesto dal castellano, che era Crescentino Maschi da Urbino, s’impegnò a pagare alla Reverenda Camera Apostolica il canone annuo e si assunse l’onere di continuare a nominare anche in futuro i castellani, che dovevano capitanare una squadra di soldati a difesa della città. L’assenso del Pontefice alla demolizione fu siglato il 1° gennaio 1748, e Mons. Cantoni affidò il progetto del nuovo Ospedale a Raffaele Campidori, che però in seguito lasciò l’elaborazione definitiva al figlio Giovan Battista. Con Breve pontificio del 21 gennaio 1752 l’area della Rocca (una tornatura e sette pertiche, pari a 3913 mq.) fu concessa al nuovo Ospedale in enfiteusi perpetua, con un canone ridotto a 30 scudi annui, e l’obbligo per gli amministratori di donare ogni anno alla S. Sede otto libbre di cera bianca lavorata; il terreno invece rimase sotto il diretto dominio del Pontefice.
La demolizione della Rocca ebbe inizio il 27 marzo 1753 e terminò ai primi del maggio successivo; rimasero in piedi solo le due cortine rivolte verso la campagna, tre torri angolari e la torretta della Porta del Soccorso, incorporate nei fabbricati di servizio del nuovo Ospedale. Le altre due cortine servirono da base per i muri laterali di un lato delle corsie, e sono tuttora visibili al piano interrato, mentre la torre angolare nord-est fu totalmente demolita. Il 10 maggio 1753 iniziò la costruzione delle fondamenta del nuovo Ospedale, ed il 27 giugno si tenne la cerimonia ufficiale di posa della prima pietra. Fu allora posta una lapide “vicino al mezzo della crociera, nelle fondamenta del braccio orientale dalla parte che guarda a tramontana”. Su quella pietra era incisa un’iscrizione dettata da D. Sante Bucchi, Parroco di S. Salvatore:
A DIO OTTIMO MASSIMO
PERCHÉ SIA PROPIZIO E FAUSTO
AUSPICE BENEDETTO XIV P.M.
ONDE IMPEDIRE LA STRAGE DEI MORBI
E PERCHÉ DAI RUDERI DELLA DISTRUTTA ROCCA
SORGESSE PIÙ SALDO PROPUGNACOLO DI PIETÀ
ANTONIO CANTONI VESCOVO
CON SOLENNE POMPA
GETTO’ LA PRIMA PIETRA DI QUESTO NOSOCOMIO
LI XXVII GIUGNO MDCCLIII.
Il 19 maggio dello stesso anno, il Consiglio Generale concesse al Vescovo lo spostamento della strada che correva lungo il fossato della Rocca, trasportandola a fianco del nuovo Ospedale; nacque così l'attuale tracciato di via Cantoni (Acta Consilii, vol. 52, f. 113). Il 28 settembre 1753 furono terminati i due muri, lunghi ciascuno m. 22,07, destinati a congiungere gli avanzi della Rocca incorporati nell’Ospedale con le mura della città per ripristinare la chiusura della cinta difensiva, venuta meno a seguito del riempimento del fossato e demolizione del muro che lo circondava sui due lati est e nord. In data 7 aprile 1761 il Papa consentì ai Padri Ospitalieri di S. Giovanni di Dio, chiamati da Mons. Cantoni, di entrare nel nuovo Ospedale nonostante le forti opposizioni del Comune, che temeva di perdere il controllo sulla gestione della sanità. I frati presero possesso dei locali solo ai primi di luglio 1762, e il giorno 15 vi furono trasferiti i primi ammalati senza alcuna cerimonia ufficiale, per non suscitare maggiori risentimenti. Nel 1891 l’Ospedale fu ristrutturato radicalmente ed ampliato, abbattendo gli ultimi resti visibili della Rocca; l’inaugurazione dei nuovi padiglioni, che si estesero anche al di fuori del perimetro antico, avvenne il 24 giugno 1893. A loro volta questi furono in parte demoliti a metà degli anni Settanta, e nel 1977 si scavò per la posa delle fondamenta del Blocco Ovest ritrovando cospicui resti della Rocca trecentesca.
Tali avanzi comprendono per intero la base del mastio, di una torre angolare e della torretta della Porta del Soccorso con le relative cortine murarie interposte, fino ad un metro circa sopra la cordonata che separava lo zoccolo a scarpa dalle muraglie verticali. I resti, alti sino a sette metri, sono stati incorporati nel padiglione senza nuove distruzioni, a parte due brecce indispensabili per collegare i locali ricavati all’interno del fortilizio con quelli esterni. Ora la visita dei ruderi da parte del pubblico è limitata a ciò che si può vedere dal Reparto Radiologia, ovverosia la base del mastio con un poco di cortina adiacente ed un tratto della cortina sud con due arcate di rinforzo, presenti in un piccolo cavedio; un buon tratto della cortina esterna, con le basi della torre sud-ovest e della Porta del Soccorso, si vede dal cortile verso il Parco del Tondo, ma l’accesso è per ora interdetto.


Copertina del libro dal quale è stato tratto l'articolo.



 Disegno della Rocca nel 1630 (Pianta Rondinini - Biblioteca   Manfrediana Faenza)




Ricostruzione ideale della Rocca, realizzata da Romolo Liverani ispirandosi alla mappa
di Faenza di Virgilio Rondinini (1630); tuttavia l'originale è molto sbiadito, numerosi dettagli
 sono frutto della sola interpretazione artistica dell'autore.




 Pianta della zona intorno alla Rocca, 1649 circa (Archivio di Stato Faenza,
Acque e Vie, vol. V, c. 350). Il disegno, che illustra la parziale
occupazione abusiva di un tratto di fossa dietro l'attuale Casa di Riposo, mostra
chiaramente anche la Rocca e la sua posizione rispetto a Porta Imolese.




Ricostruzione della Rocca: 1) canale del Portello, 2) fosse della città,
3) fosse della Rocca, 4) Mastio, 5) torri angolari, 6) torre e Porta del Soccorso, 7) terrapieno, 8) casermetta, 9) cortile della Rocca,  10) ingresso della Rocca, 11) orto del custode di Porta Imolese,
12) cisterna dell'acquedotto, 13) ponticello dell'acquedotto, 14) sfioratoio (sfogo d'aria della conduttura), 15) casa del custode, 16) Porta Imolese, 17) gabellina, 18) casa enfiteutica (cost. 1688),
19) torresino.




1900 circa - Avanzi della Rocca incorporati nell'Ospedale, in un quadro di
Achille Calzi (Arch. Fototeca Manfrediana, D.L.F., n. 2631).



Resti della torre angolare sud-ovest della Rocca, tornati alla luce
nel 1977 durante gli scavi per il blocco Ovest dell'Ospedale Civile
(foto Vittorio Maggi).



Avanzi della rocca scopertii durante i lavori di ampliamento dell'ospedale nel 1980.




Resti della Rocca vicino a Porta Imolese. Disegno di R. Liverani.







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