Monumenti Storici di Faenza |
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"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici. |
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Da San Giorgio alla chiesa di San Barnaba Fra viti, olivi e soprattutto... fichi! Alla Torre di Oriolo Immagini di una Faenza scomparsa
Faenza in età romana: tracce di vita pubblica Il monumento funerario in San Barnaba ![]() Il Ponte delle Due Torri in un disegno di Romolo Liverani |
Capolavori della Pinacoteca Comunale di Faenza
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L'opera raffigura la cruente scena del martirio di Sant'Eutropio: il
santo decapitato è tenuto fermo da alcuni uomini mentre la testa è a
terra. Dall'alto. l'Arcangelo Gabriele con la palma vola sulla scena.
Opera acquistata dalla Pinacoteca in seguito alle soppressioni napoleoniche. Attribuita tradizionalmente ad uno dei due Manzoni di Faenza, la cui biografia è stata assai poco conosciuta, fu citata da Lanzi /ed. 1816), da Argnani (1881) e dalla letteratura locale. Fu scoperta da Roberto Longhi come singolare esempio di caravaggismo "di periferia" (1957) e si deve a Francesco Arcangeli una fondamentale sistemazione critica (Maestri Pittura 1959).
La pregevole scultura lignea, capolavoro tra i più importanti della
Pinacoteca Comunale di Faenza, proviene dalla cappella della famiglia
Manfredi nella Chiesa dell'Osservanza. Nel 1444 Papa Eugenio IV
autorizzò i Francescani Osservanti ad insediarsi nel Convento
Cluniacense di Santa Perpetua, mutando la dedicazione in S. Girolamo. La committenza dell'opera
è ascrivibile ad Astorgio II Manfredi (1412 - 1468), signore della
città di Faenza dal 1443, assoldato dalla repubblica fiorentina fin dal
1446. Astorgio è in stretta relazione con la famiglia De' Medici.
Durante gli anni del suo governo non poche sono le opere d'arte
eseguite da artisti toscani. La data d'esecuzione del san Girolamo è
circoscrivibile attorno al 1454-1455. Proprio all'anno 1454 è data una
lettera scritta da Faenza da Piero di Cosimo de' Medici in cui si
menzionano alcune opere di Donatello, probabilmente sotto la sua
custodia dopo la partenza dello scultore da Padova nel 1453. La
scultura faentina era posta, come si è detto, in una nicchia della
cappella dedicata a San Girolamo, dove lo stesso Astorgio venne sepolto
nel 1468. Il primo autore ad attestare la presenza dell'opera
donatelliana a Faenza è Giorgio Vasari che nelle sue celebri vite
assegnò due opere faentine a Donatello (che «nella città di Faenza
lavorò di legname un S. Giovanni et un S. Girolamo, non punto meno
stimati che l'altre cose sue»). Il santo è raffigurato in piedi,
completamente nudo. La testa, inclinata verso sinistra, è
caratterizzata dalla folta chioma incanutita, che ricade sul petto
insieme alla lunga barba. Nella mano destra regge un sasso, col quale
si batte il petto. Nella mano sinistra reggeva invece una lunga croce.
Mirabile è la perizia con cui lo scultore fa affiorare le vene dalla
pelle. La disposizione delle membra induce lo spettatore ad assumere un
punto di vista non frontale, grazie al quale si evidenzia l'effetto
serpentino della scultura. Forse la nudità del santo era velata al
tempo da un perizoma in stoffa. L'opera ha molti tratti dello scultore
fiorentino, «inventore del penitente San Girolamo presentato nudo». Tra
questi Italo Furlan ha segnalato «la struttura poderosa del volto
incorniciato dalle ciocche ricadenti e dall'avvolgente sensibile barba,
le orbite oculari profonde, la bocca socchiusa e gli alti zigomi, il
piatto trapezoidale torso stretto ai fianchi come nel David, le vene
segnate». L'opera si caratterizza anche per la ricerca di un effetto
insieme naturalistico ed espressionistico volto ad esaltare l'ideale
mistico della vita ascetica.
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