Ceparano: mito, storia realtà

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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CEPARANO: MITO, STORIA REALTÀ

Michele Orlando

Le attenzioni degli archeologi  sui castelli altomedievali della Romagna appenninica sollecitano una riflessione storica intorno a scavi, ricognizioni di superficie e analisi di archeologia dell'architettura. II team di studiosi del Dipartimento di Archeologia dell'Università di Bologna (sede di Ravenna), guidato dal prof. Enrico Cirelli, ha condotto una delicata indagine sugli insediamenti fortificati di area appenninica, in prossimità dei resti della Torre di Ceparano, che troneggia in parte sbriciolata sulla valle del Marzeno.
Nevralgico per il fenomeno e il periodo dell'incastellamento in Romagna tra allo e basso Medioevo, II territorio di Ceparano, già rinomato per le sue cave di calcarenite organogena, detta spungone - e non di marmo cipollino come erroneamente sostiene Luigi Solaroli -, documentato nella Historia Naturalis di Plinio il Vecchio come valido materiale per I'edilizia, conosce fenomeni di popolamento abbastanza rilevanti, che si caratterizza per la presenza di rocche, castelli e forltilizzi giallo-bruno carico che copre tutta la val di Lamone lungo la via Faventina tra l'Appennino tosco-romagnolo e la pianura Padana, raggiungendo le sponde dell'Adriatico.



Ruderi della Torre di Ceparano in due disegni di Romolo Liverani. (Pinacoteca Comunale di Faenza)
Al suo interno si è sviluppato un notevole asse viario che collegava la Romagna con Firenze e Lucca, attraverso il passo del Mugello: due versanti, quello della 'Langobardia' e della 'Romania', di un'archeologia del potere che mostra il suo debito tanto con il sistema insediativo di tradizione romana del sistema fondiario della curtis, quanto con quello militarizzato e fortificato del castellum o castrum, che presto diviene emblema dei grandi signori fondiari, laici ed ecclesiastici. Nel caso della Romagna non si deve dimenticare che un ruolo consistente nel processo di appropriazione di porzioni territoriali dell'Appennino è a opera del potere arcivescovile ravennate e degli ordini monastici, come ad esempio quello camaldolese, che insieme alle altre signorie laiche di Romagna si distingueranno nella loro irrequieta attenzione per il territorio vallivo del Lamone e appenninico nel contesto delle furibonde contese fra Impero, Comuni e Papato, incapaci di far emergere una compatta egemonia per troppa forza nel combattersi fra loro e troppa debolezza per prevalere sugli altri.


La torre di Ceparano in una  cartolina di Tommaso Dalpozzo.
 A sinistra, una fase degli scavi archeologici.
Sotto la Torre oggi.



E saranno proprio le élite laiche territoriali dei Guidi, dei Pagani, dei Naldi e poi dei Manfredi a marcare gradualmente il margine del potere arcivescovile ravennate, a partire dalla fine del IX secolo, la cui forte autorità di ordine ecclesiastico e spirituale è affiancata a un vasto patrimonio fondiario che la documentazione esistente mostra esteso nel IX-X secolo su tutta la Romagna, con larghe espansioni nel Ferrarese, nel Polesine, nelle Marche, nell'Istria, nell'Umbria e nel Bolognese, nonché, sino all'invasione araba, anche in Sicilia.
Il toponimo Ceparano, almeno per le vicende iniziali, è congiunto al termine latino medievale di plebs, a indicare non solo I'esistenza, ancor prima della torre, di una circoscrizione ecclesiastica e civile minore, costituita dalla presenza certa di una chiesa principale, provvista forse anche di un battistero, ma in senso più esteso vuol dire che una comunità appartenente a quella circoscrizione, vive, lavora, produce ricchezza e commercia con il resto della regione circostante: ciò a sottolineare che il territorio poteva sicuramente disporre di strutture ben idonee non solo all'alloggio di coloni, ma anche all’immagazzinamento di cereali, lino e vino o anche buoi, asini, castrati, pecore, agnelli, capre, capretti, polli, oche, senza dire delle derrate dell'orto.


Impresa araldica di Astorgio I Manfredi (calcare, cm. 109x68), proveniente da distrutto castello di Ceparano, ricostruito per volere di Astorgio I Manfredi, come commemora l'iscrizione. Nel Bassorilievo vi è scolpito il cosidetto "caprone", animale simbolico che troviamo in altre imprese manfrediane.
Nella vasta raccolta di Monumenti Ravennati de' secoli di mezzo del conte Marco Fantuzzi il toponimo di Santa Maria 'Castri Ciporiani' (970), 'Cipariano' (1052), 'Ceparani' (1228), 'Ceprani' (1295), rappresenta una concentrazione di storia, arte, economia, politica, religione. Posizionato in un punto strategico dell'Appennino, esso è attestato in concessioni (livelli e pacta) datate al 17 agosto 970 d.C., quando Pietro, arcivescovo di Ravenna, accorda a Domenico del fu console Giovanni la metà del 'fundus Fullanus', nel territorio faentino, in pieve 'de castro Ceparano'; variata nel 975 in pieve di Santa Maria 'que vocatur castro Cepariano', a evidenziare come il territorio fosse già solto la tutela devozionale della Vergine Maria, culto maturato proprio per la presenza di una comunità attiva nell'agricoltura e del commercio, nella estrazione dello spungone, del gesso.

Nel 1167-68 la storia di Ceparano è nelle mani dei conti Guidi, la cui formazione delle proprie signorie territoriali è controllo esercitato non solo su possessi fondiari ma anche sulle più importanti strutture architettoniche quali le mura dei castelli, il cassero, la torre e il palazzo, le chiese e gli ospedali, le canoniche e i mercati. Per Ceparano non è possibile parlare solo di insediamento di carattere militare, ma anche di centro che accoglie un ceto imprenditoriale che vive e produce, opera e interagisce con altre comunità. Da questi anni in poi, Ceparano subisce un processo di continua militarizzazione: lo attesta il cronachista Tolosano, che narra sui faentini che si indirizzano spediti verso I'interno, radendo al suolo ogni vestigio del passato e ricostruendo, secondo la propria matrice militate, 'dictam plebem et castrum et omnes et singulas fortilicias que sunt in monte Ceperani'.
Nel corso del Duecento, la famiglia dei Manfredi, di stirpe germanica, si mostra già disposta a coagularsi in quelle élite politiche ed economiche che di fatto controllano i settori delta vita cittadina faentina e dei territori lungo la val di Lamone. All'indomani della morte dell'imperatore Federico II (1250), i Manfredi si ostinano nelle furenti rivalità familiari, che diventano presto anche rivalità politiche sovraregionali e che avranno ripercussioni profonde e visibili nelle continue distruzioni e riedificazioni della rocca di Ceparano e nella conseguente riabilitazione del territorio circostante.
Sarà infatti l'iniziativa di Astorgio I Manfredi ad avviare, nel 1378, una decisa fortificazione di Ceparano, compresa la torre, dopo la rasoiata del 1356 a opera del cardinale Albornoz. Lo ricorda I'iscrizione alla base dell'impresa araldica di Astorgio I, leggibile sulla lapide rintracciata a pochi metri dalla torre, all'interno di una struttura, forse una cisterna interrata, oggi conservata nella Sala Manfredi della Pinacoteca Comunale.

 La Torre di Ceparano è al centro di una contesa tra Bologna e Faenza, inaspritasi fra il 1403 e il 1404, allorché i Bolognesi assoldarono il condottiero Alberico da Barbiano contro il signore manfredo Gian Galeazzo, figlio di Astorgio I, affinché abbandonassero la città. Baldassarre Cossa, legato pontificio a Bologna, aveva al soldo il Barbiano, che puntava a prendere nelle mani la Signoria faentina con tutto il contado. Nel settembre 1404 Gian Galeazzo negoziò, Paolo Orsini, capitano del legato Cossa, la restituzione di Faenza al diretto dominio della Chiesa per dieci anni, mentre tutta la Val di Lamone veniva ceduta per cinque, dietro restituzione annua di 2.400 fiorini.
Gian Galeazzo così riceve dal Cossa il castello di Solarolo. È I'elezione pontificia a Bologna, nel 1410, dl Baldassarre Cossa che induce il Manfredi ad avvicinarsi al papa come suo alleato e a impossessarsi così delle rocche in val di Lamone, compresa Ceparano. Nel 1410 Gian Galeazzo ottiene di nuovo Faenza con la conferma del titolo di vicario apostolico e nel 1413, in seguito alla emanazione dei rinnovati ordinamenti statutari, Ceparano è annoverata tra le 'iurisdictiones' faentine che il podestà di Faenza deve giurare di custodire.
La Torre diventa tra la metà del '400 e i primi anni del '500 un baluardo antifiorentino, reggerà alle truppe di Cesare Borgia nel 1500 e l'autorità veneziana, che nel 1506 decide si di smantellare molti fortilizi ormai inutili nelle 'occorrenze' di guerra ma stabilisce di preservare la rocca di Ceparano, fino a quando nel 1508 il ritorno al dominio pontificio ne decreterà un'inesorabile decadenza, fino alla demolizione nel 1577.
Leggi le notizie degli scavi riportate dai giornali locali
Per chi vuole approfondire l'argomento si consigli il libro  "La Torre di Ceparano" di Maurizio Melandri

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