I libri che non
potete non aver letto sulla storia di Faenza |
![]() |
"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici. |
Home |
Libri |
|||
Articoli: |
dal 1500 al 1799 |
dal 1800 al 1940 |
2° Guerra Mondiale |
Opuscoli di HF |
PRESENTIAMO UN LIBRO: | ||||
La bella e animosa gioventù faentina del Battaglione Pasi a Vicenza nel 1848 di Giuseppe Dalmonte |
||||
![]()
|
Nella nuova pubblicazione del prof. Giuseppe Dalmonte, "La bella e animosa gioventù faentina del battaglione Pasi a Vicenza nel 1848",
si racconta in modo efficace e ben documentato, anche con immagini
inedite, la marcia o il viaggio dei giovani volontari, guidati dal
conte Raffaele Pasi, da Faenza a Vicenza passando per Bologna, ai
territori ferraresi e padovani, in un clima di grande esaltazione
patriottica che si respirava in quei mesi nelle principali città
italiane, tra sventolii tricolori, suoni di fanfare ed entusiasmi per
Pio IX, il papa liberale e benevolo. Tra i baldi giovani faentini,
inquadrati nelle compagnie della Guardia Civica che sfilano a Bologna
davanti al comandante in capo delle truppe pontificie, generale
Giovanni Durando, ci sono esponenti di tutti i ceti sociali faentini:
dai rampolli borghesi e aristocratici, ai commercianti e artigiani fino
ai manovali. I fratelli Caldesi, il giovane Leonida e Vincenzo “Leon di
Romagna” che imporrà la resa di Comacchio; il cugino Lodovico, futuro
botanico e benefattore, che nelle sue lettere alla madre ci svela
particolari curiosi e interessanti nelle varie tappe del viaggio. Il
farmacista e primo sindaco di Faenza Gaetano Carboni partecipa
all’impresa come cassiere del battaglione. Girolamo, figlio del più
illustre letterato Dionigi Strocchi, comanda la compagnia dei fucilieri
e ha arruolato nella stessa il cesenate Federico Comandini trapiantato
a Faenza per motivi professionali e sentimentali, che svolge funzioni
di cronista dell’impresa patriottica. Si potrebbe continuare nella descrizione dei numerosi soggetti partecipanti come volontari, circa 700, accorsi a combattere in soccorso degli insorti vicentini contro il tedesco oppressore, ma possono bastare i nomi del conte Girolamo Tampieri e del popolano violento Giovanni Pianori detto il Brisighellino e futuro attentatore di Napoleone III. A corredo dell’impresa oltre le immagini stanno alcune testimonianze tratte dai giornali dell’epoca, le attestazioni e gli elogi del generale Durando, senza dimenticare il sostegno caloroso della popolazione faentina sia nella raccolta delle offerte per la guerra santa d’Italia sia nell’accoglienza festosa al ritorno dei reduci da Vicenza, riportata in rilievo anche dalla Gazzetta di Bologna. L’opuscolo, stampato in proprio nella collana Historia Faentina, è composto di circa 60 pagine e 40 immagini, con un’appendice inedita di alcuni documenti, compreso l’elenco nominativo dei volontari a Vicenza. |
|
||
Soppressioni napoleoniche a Faenza, di Stefano Saviotti - Monica Naldoni |
||||
![]()
|
La sera del 21 giugno 1802 «si
cominciò a illuminare con lampade le vie della città, con soddisfazione
de' cittadini, che volentieri ne sostennero la spesa». Questo episodio,
ben raccontato da Antonio Messeri nella storia di Faenza pubblicata più
di cento anni fa, è particolarmente significativo anche per descrivere
i cambiamenti che la città ebbe nel periodo napoleonico, cioè negli
anni dal 1796 al 1813. É questo il periodo esaminato nel volume scritto
con passione e interesse da Stefano Saviotti e Monica Naldoni,
pubblicato dalla Tipografia Valgimigli con il coordinamento editoriale
di Renzo Bertaccini, per ricostruire - come dichiarano gli stessi
autori - la geografia storico-artistica di Faenza alla vigilia delle
trasformazioni seguite all'arrivo delle truppe francesi nel 1797.
Il risultato è una pubblicazione che in realtà rende una visione generale della città in un periodo cruciale, quando le molte tracce della Faenza costruita nei secoli precedenti, tra Medioevo e Seicento, andavano riducendosi con l'affermarsi, prima, del grande cantiere settecentesco portatore delle costruzioni neoclassiche e, poi, delle soppressioni napoleoniche. L'esame delle vicende di 79 edifici ha permesso di ricostruire nel dettaglio tanti singoli aspetti della storia urbanistica e artistica della città, ma ha anche fornito un quadro generale che, seppur centrato solo sulle proprietà ecclesiastiche, rende conto dell'importante patrimonio immobiliare e artistico che la città ha saputo costruire nel tempo. Nelle loro ricerche i due autori si sono basati sulla documentazione d'archivio, con una chiara divisione dei compiti. Stefano Saviotti ha infatti ricostruito le vicende storiche degli edifici di proprietà del clero, sia ad uso religioso che ad uso civile, mentre Monica Naldoni si e dedicata al censimento delle opere d'arte presenti nei singoli luoghi. In questo modo sono emerse le
specifiche caratteristiche di ogni realtà presa in esame, mentre; dalla
lettura complessiva dell'architettura e dell'arte; e l'insieme della
città che viene descritto con una ricostruzione che sa essere analitica
ma in grado, contemporaneamente, di fornire una visione generale.
I due autori hanno saputo
affrontare la non facile impresa di raccogliere e presentare tale
documentazione nel migliore dei modi e con grande merito, perché solo
dalla conoscenza e quindi dalla ricerca può svilupparsi il
riconoscimento e la valorizzazione del patrimonio artistico di una
città che, in tal modo, diventa bene comune da preservare
Ringrazio perciò gli autori, il coordinatore editoriale, e tutti coloro che con suggerimenti e consigli hanno reso possibile questo prezioso lavoro di ricerca. L'auspicio è che possa incrociare l'interesse non solo di studiosi e appassionati ma di tanti, in nome di quell'interesse collettivo che la comunità faentina ha sempre dimostrato per la propria storia e cultura. Giovanni Malpezzi Sindaco di Faenza |
|||
Granarolo Comune in epoca Napoleonica, 1804-1816, di Carlo Tanesini - Stefano Tanesini, Remo Vassura |
||||
![]() |
É
noto come gli abitanti di Granarolo, la maggiore frazione del Comune di
Faenza, siano particolarmente legati alla storia e alle tradizioni del
proprio paese. Un sentimento radicato a tal punto da trasformarsi
talvolta in orgogliosa rivendicazione di una sorta di diversità rispetto a Faenza e ai faentini. Si tratta, oggi, di un campanilismo vissuto più che altro con quella buona dose d'ironia tipica delle terre di Romagna e dei romagnoli, ma che in realtà affonda le radici in alcune ragioni storiche ben precise. Innanzitutto Granarolo è stato nei secoli luogo di confine e di contesa, prima fortificato e poi, nel 1317, trasformato in vero e proprio castello per volere di Francesco Manfredi, signore di Faenza, le cui resta murarie sono tutt'oggi visibili lungo via Maddalena Venturi. In secondo luogo proprio per aver ottenuto in epoca napoleonica lo status di Comune, con una sostanziale autonomia amministrativa. Carlo Tanesini, granarolese, scomparso nel 2007, ha maturato la passione per la storia locale solo dopo il pensionamento, con l'intento di decifrare i segni e le memorie lasciate dal tempo nei luoghi dove ha trascorso l'intera vita. Dalle sue ricerche d'archivio sui dodici anni in cui Granarolo fu Comune all'inizio del XIX sec. emerge un quadro estremamente vivo e vivace capace di far percepire in pieno le grandi novità dell'epoca. La cronaca minuziosa dei fatti, dei luoghi, delle persone, degli aspetti politici e sociali, si inserisce come un frammento posizionato perfettamente nel quadro più ampio degli eventi storici faentini e romagnoli, aumentando la capacità di comprensione del lettore. Ringrazio Stefano Tanesini, figlio di Carlo, e Remo Vassura per aver recuperate e riordinato gli appunti manoscritti e tutti coloro che si sono adoperati per la loro pubblicazione. Oltre a soddisfare la curiosità di chi ne leggerà le pagine, questo lavoro rappresenta un tributo di riconoscenza nei confronti di chi, oltre due secoli fa, ha lottato per il bene comune e contribuito a far progredire la comunità granarolese. Valori sedimentati nel tempo che fanno oggi di Granarolo una realtà coesa e particolarmente attiva. Il Sindaco Giovanni Malvezzi |
|||
Appunti per la storia delle chiese della città di Faenza in età moderna, di Ruggero Benericetti | ||||
![]() |
In queste
note si condensano risultati di ricerche d'archivio riguardanti le
vicende storico artistiche delle chiese parrocchiali della città di
Faenza in età moderna. Sull'importanza dell'argomento per la storia
locale non credo sia necessario spendere molte parole. Ciò che invece
occorre giustificare sono i limiti cronologici ed il metodo usato.
Innanzitutto questa ricerca non tocca, se non marginalmente, le origini
e i primi secoli della storia dei sacri edifici, sui quali ci si
limiterà a qualche fugace cenno. La ragione di questa omissione risiede
nella difficoltà di reperire le fonti documentarie medievali, di cui
molte disperse. A ciò si aggiunge la scarsezza di monumenti risalenti a
quel tempo. Come limite superiore, la fine del secolo XVIII, si è
scelta a causa delle numerose concentrazioni e della conseguente
profonda revisione di confini, che configurarono una nuova fase della
storia delle parrocchie. Le fonti utilizzate sono principalmente due: le visite pastorali dei vescovi, e gli inventari redatti dai rettori delle chiese in occasione delle visite o in altre circostanze. La storia di alcune chiese è stata oggetto nel passato di approfondita ricerca. Vi si è attinto largamente. Altre sono più povere di studi. Queste ultime hanno richiesto un maggiore sforzo di ricerca e di elaborazione. Il lavoro precede per piccole monografie. Di ciascuna chiesa si esamina, dopo qualche cenno sulle origini, la struttura edilizia, la disposizione degli altari e la loro ornamentazione, i benefici o le confraternite annesse. Si accenna, infine, ai confini della cura pastorale, al beneficio e ai libri superstiti. Sui rettori che ne ebbero cura esiste la classica lista del Marchetti, alla quale ci si è limitati ad apportare qualche aggiornamento (1). L'ordine con cui le chiese vengono presentate è quello cronologico della documentazione. Mi sembra che, rispetto a quello geografico, presenti il vantaggio di rispecchiare meglio l'espansione ed il popolamento della città durante il Medioevo (2). Sarà bene premettere, prima di passare a trattare di ciascuna chiesa, qualche nota sulla cura pastorale della città in età antica e medievale in generale. Essa aveva il suo centro nella Cattedrale, cuore, anche geografico, dell'antica città (3). Che essa fosse intitolata al principe degli apostoli San Pietro lo apprendiamo da documenti posteriori al Mille, ma è facile che la dedica risalga all'alto Medioevo. Può darsi però che non coincida esattamente con l'intitolazione primitiva, forse andata perduta. È possibile che il primo ampio edificio basilicale sia stato innalzato nel quinto secolo, in analogia con quanto avveniva nella vicina Ravenna, il centro cristiano più antico della regione. | |||
| ||||
Dello stesso autore in libreria: | ||||
![]() |
![]() | |||
Con ogni diligenza corretto e stampato, di Paolo Campana | ||||
![]() |
Un
viaggio attraverso le storie di vita quotidiana di artigiani che alla
loro arte hanno dedicato la vita intera, la cui sapienza si è trasmessa
fino ai giorni nostri. Un
racconto appassionante e comprensibile, perché la storia vista dal
basso è la storia più bella. Se Faenza giunse ad essere considerata
l’Atene della Romagna lo
dobbiamo anche alle persone che tornano a vivere in queste pagine, alla
loro dedizione, ai loro successi ma anche ai loro fallimenti, alle loro
continue preoccupazioni, spesso al loro coraggio e alla capacità di interpretare l’arte che sovvertì il modo di acquisire e diffondere conoscenze. Un’arte che mutò in maniera irreversibile le sorti dell’Umanità. L’arte della stampa. A partire dal XV secolo, un gran numero di stampatori, librai e cartari scelse Faenza, piccola città di una provincia periferica dello Stato Pontificio, per impiantare torchi, aprire botteghe e costruire mulini da carta. Punto di riferimento per letterati, cantastorie, astrologi, teologi, medici e filosofi ma al tempo stesso risorsa primaria di una comunità che fin dagli albori riconobbe le grandi potenzialità che la stampa avrebbe potuto esprimere, le botteghe fornirono un contributo di notevole rilievo allo sviluppo culturale della città nel corso dei secoli. Frutto di una lunga e approfondita ricerca in archivi storici e in biblioteche italiane ed estere, queste pagine ospitano la narrazione della dedizione dei protagonisti alla loro arte, le vicende che li videro coinvolti, i loro successi e i loro fallimenti, in un arco di tempo compreso tra il 1476 e la metà del XVIII secolo. Il gemito dei torchi, il sommesso mormorio dei librai tra scaffali di volumi appena stampati, il frastuono delle pile al lavoro nella cartiera accompagnano il lettore alla scoperta di un mondo affascinante, quello dell’ars artificialiter scribendi, una delle più straordinarie invenzioni dell’intera storia del genere umano. Paolo Campana, nato a Bologna nel 1965, vive a Faenza dal 1971. Cresciuto professionalmente sulle orme del padre “linotipista errante”, da trentacinque anni svolge la sua attività nel mondo della stampa. Cultore di storia e archeologia locale, ha curato personalmente la trascrizione di un antico manoscritto di cronache camaldolesi dalla quale, in seguito, ha tratto il volume L’antica abbazia dei santi Ippolito e Lorenzo in Faenza (Tip. Faentina Editrice, Faenza). È autore della guida turistica Pirenei (Calderini, Bologna) e coautore di Zavagliando (Moby Dick, Faenza), vocabolario di parole di uso corrente derivate dall’italianizzazione di termini dialettali faentini. | |||
Faenza e l'oltremare, di Alberto Fuschini - Mattia Randi | ||||
![]() |
Faenza
e l’Oltremare è quasi un secondo capitolo di Faenza Coloniale. Se
infatti il testo uscito nel 2018 si chiudeva con i trattati di Addis
Abeba del 1896, lasciava ancora aperti molti interrogativi: che ne è
stato della spinta coloniale italiana? Quali i protagonisti?
A questi e ad altri quesiti vuole dare risposta Faenza e l’Oltremare. Nel testo, introdotto dall’assessore alla cultura e vicesindaco di Faenza Massimo Isola, il primo capitolo, a cura di Alberto Fuschini, racconta tutte le imprese coloniali italiane dalla fine dell’Ottocento al secondo conflitto mondiale. Il punto di partenza è, ovviamente, la partita sospesa in Etiopia, subito però surclassata dalle necessità internazionali: l’Italia corre in aiuto delle potenze europee in Cina. È l’avvio di una nuova stagione, che vede poi colonizzare Libia (negli anni Dieci del Novecento) ed Etiopia (negli anni Trenta). Importanti riflessioni sono dedicate all’incontro con le popolazioni indigene, il primo momento di scambio tra culture. Il secondo capitolo, curato da Mattia Randi, raccoglie invece le voci del dibattito faentino sulle imprese coloniali. Il nascere soprattutto di testate giornalistiche afferenti ai principali partiti nazionali evidenzia posizioni spesso diverse e che mutano o rimangono fisse nel tempo. Da queste parole è quindi possibile rintracciare le radici culturali di alcune credenze che, ancora oggi, si hanno sia sulle guerre coloniali che sull’alterità del mondo colonizzato. Impreziosiscono il volume le foto, gentilmente concesse dalla Biblioteca Manfrediana, di un importante documento iconografico conservato al Museo del Risorgimento di Faenza: si tratta di fotografie scattate alla fine dell’Ottocento e ritraenti luoghi, oggetti e persone dell’Etiopia e dei paesi limitrofi. Una perla etnografica, riscoperta e valorizzata nell'attuale percorso espositivo. | |||
Faenza coloniale - La città, Franceco Carchidio l'Africa, di Mattia Randi | ||||
![]() |
Il Museo del Risorgimento e dell'Eà contemporanea inaugura la
nuova sala dedicata a Francesco Carchidio Malavolti: medaglia d’oro al
valore militate, Capitano nello Squadrone cavalleria coloniale "Penne
di Falco", morto a Cassala (Sudan) il 17 luglio 1894. La sua fama è
legata a due eventi. Anzitutto fu il primo italiano che riconobbe come proprio il figlio illegittimo che aveva avuto da una donna eritrea durante il servizio militate, facendo di lui un cittadino italiano. Questi era Michele Carchidio Malavolti, il primo italo-eritreo, nato nel 1891, nominato erede per testamento nel 1893, futuro tenente colonnello del Regio Esercito Italiano. Della sua crescita ed educazione, essendo morto nel frattempo il padre, si prese cura la zia paterna, la contessa Pazienza Laderchi Pasolini dall'Onda. In secondo luogo divenne noto e parte della cultura popolare italiana della prima metà del XX secolo per essere morto valorosamente nella presa della città Sudanese di Cassala, avvenuta con successo il 17 luglio 1894, grazie alla sconfitta dei dervisci del Mahdi, che qui si erano precedentemente opposti agli attacchi britannici. Con la sala dedicata alle Guerre coloniali, l'ultima riferita all'Ottocento, si giunge a completamento del percorso espositivo riferito al "periodo risorgimentale" che termina, convenzionalmente, con la Grande Guerra del 1915—18. II Museo ha lo scopo di valorizzare e promuovere lo studio e la conoscenza delle sue collezioni e del patrimonio storico culturale della città di Faenza e della Romagna dalla fine del Settecento alla proclamazione della Repubblica; non poteva quindi essere a lungo rinviata l'esposizione al pubblico della collezione di reperti riferiti alle Guerre coloniali italiane: 1882—1936. L'esposizione, in questa prima fase, è limitata solo ad alcuni reperti di fine Ottocento, in attesa del completamento dei lavori di allestimento della sala. Naturalmente si è consapevoli che parlare oggi di Colonialismo è argomento complesso: esso fu un fenomeno storico che va comunque studiato come qualunque altro, verificando se e in quale misura esso rispondesse a una dinamica "naturale" delle società occidentali che lo realizzarono, ovviamente senza mai perdere di vista i costi umani che esso impose, con speciale riguardo alle popolazioni indigene che vi furono coinvolte. Si può quindi dissertare di imperialismo e di capitalismo, di cause ed effetti, di strutture e di evoluzioni, ma questo esulerebbe dai compiti del Museo a cui compete ricordare gli Uomini, le loro motivazioni; l'accento lo vogliamo porre più sugli individui che sui gruppi, ricordando le parole del grande storico Marc Bloch: "Compito del mestiere di Storico è evitare i grandi concetti astratti e cercare la realtà concreta che si cela dietro di essi: l'Uomo." (Aldo Ghetti) | |||
La Torre di Ceparano, di Maurizio Melandri | ||||
![]() |
La torre di Ceparano è più di un luogo fisico; e per gli abitanti della valle del Torrente Marzeno anche uno spazio in qualche modo spirituale, sicuramente simbolico. Essendo elevato e ricco di storia fa parte dell'identità del luogo e di rimando è parte dell'identità degli abitanti della valle. Per la sua posizione di rilievo era un punto di osservazione ottimale. Costruendovi una torre, questa assolveva alla funzione di avvistamento e di guardia, oltre a divenire spazio di aggregazione e centro spirituale per la presenza della pieve che assolveva anche funzioni amministrative. Era già esistente prima dell'anno mille come luogo fortificato e pieve, e sicuramente è stato uno dei cardini delle vicende della storia della vallata e delle signorie che si sono succedute per molto tempo. Nel medioevo si sono gettate le basi di istituzioni come i Comuni, unità amministrative e militari che nel caso di Brisighella, legano la storia dei territori amministrati a luoghi fortificati come Ceparano, uno dei capisaldi della difesa territoriale, oltre che centro spirituale della comunità. La Torre è stata descritta da vari autori, in genere canonici o studiosi di storie patrie e disegnata e raffigurata da più artisti, alcuni poi di particolare talento come lo scenografo Romolo Liverani o il pittore Giordano Severi. La descrizione che segue cerca di raccogliere il materiale sulla torre frammentato in molte pubblicazioni, in una monografia, sicuramente non esaustiva, ma comunque punto di partenza per ricerche successive. Il testo più approfondito che ho potuto consultare è quello scritto da L. Bentini, S. Piastra, M. Sami sullo "Spungone" tra Marzeno e Samoggia. Il mio contributo è stato riprendere e approfondire studi, rileggendo i testi citati in note e bibliografie, trovando spunti originali interessanti. Sicuramente il mio auspicio è che questo monumento torni ad essere simbolo di orgoglio, di appartenenza e d'identità storica. | |||
Fanino Fanini, di Emanuele Casalino | ||||
![]() |
Che
l'Italia del Cinquecento abbia ospitato (abitualmente nelle sue carceri
o nei suoi cimiteri) un buon numero di italiani diventati protestanti
(o "luterani", come allora si diceva) è ormai cosa nota quasi a tutti.
Ma dato che quello è il secolo del Rinascimento, si tende a
mettere in rilievo soprattutto alcuni (anzi molti) grandi intellettuali
che, malvisti e minacciati in patria, hanno saputo contribuire
creativamente alla formazione dell'Europa moderna. Unica eccezione: le comunità valdesi di Calabria, Puglia e Campania, massacrate o "convertite" per volontà del future "san Pio V": un valoroso manipolo di storici meridionali sta ricostruendo la loro storia dal Duecento in poi. A loro vada il nostro cordiale ringraziamento. A dire il vero, c'e anche un'altra eccezione: i valdesi del Piemonte (o per essere più esatti delle valli pinerolesi) hanno fatto presto la loro "scelta calvinista" (Sinodo di Chanforan, 1532), ma quando Emanuele Filiberto Duca di Savoia, ha cercato di imporre loro armata manu la teologia e la disciplina della Controriforma, hanno risposto anche loro combattendo e, forzando il Duca (con 1'aiuto di un cattolico ecumenico) a una soluzione di compromesso: il cosiddetto "Trattato di Cavour". I valdesi erano ormai un "popolo-chiesa" e, come tali, poterono sopravvivere a un paio di massacri di massa (1655 e 1686) e più tardi affrontare le due maggiori "crisi creative" della storia d'Italia (il Risorgimento e la Resistenza); ma non erano (e non sono) un movimento. Invece fin dal Cinquecento in Italia esisteva un movimento evangelico, ispirato al grande insegnamento della Riforma protestante, sia luterana che calvinista: questo movimento aveva un carattere marcatamente popolare. È grande merito di Emanuele Casalino (che non a caso è pastore battista a Ferrara) avere messo in rilievo il carattere popolare del protestantesimo italiano del Cinquecento. Ciò non gli impedisce di dipingere a tinte forti la realtà della Controriforma come si presentava nello Stato della Chiesa, da Roma fino a Ferrara e Faenza. Il fornaio Fanino Fanini, come molti altri popolani del suo tempo, è morto martire della fede cristiana evangelica e questo bel libro ci aiuta a non dimenticarlo. Giorgio Bouchard | |||
Santa Maria Vecchia in Faenza, di Mattia Randi | ||||
![]() |
Accogliere una pubblicazione sulla storia e l'arte della chiesa di S. Maria Vecchia in Faenza è un'iniziativa lodevole che mantiene vivo il legame con l'edificio che ci fa sentire comunità parrocchiale e ci aiuta ad apprezzare le ricchezze artistiche che i nostri padri ci hanno tramandato. Ringrazia per questo Mattia Randi che ha cercato, con pazienza certosina, dati e notizie che ci aiutano a conoscere e a conservare viva memoria della storia degli edifici che sono un po' la casa comune della nostra Parrocchia. L'occasione e data dal restauro della cappella di San Bernardo di Chiaravalle, ad opera del Lioness Club di Faenza. Valerio Contoli ha consolidato il colore e l'oro dell’ intera ancona lignea e, con straordinaria sensibilità, ha ridato vita all'affresco trecentesco con una Madonna allattante in essa inserito. Mantenere i luoghi di culto nel loro splendore è segno di cura e cultura di cui vogliamo essere orgogliosi perché sono testimonianza della nostra civiltà oltre che della nostra Fede. Faenza, 16 ottobre 2017. Mons. Roberto Brunato Amm.re Parrocchiale di S. Pier Damiano | |||
Faenza sotterranea, di Stefano Saviotti | ||||
![]() |
Alla scoperta delle «viscere» della città
di Sandro Bassi Pur senza la fascinosa complessità dei centri urbani più celebri (Napoli, Siena, Orvieto o, per rimanere vicini, Bologna o Santarcangelo), anche Faenza possiede ambienti sotterranei di tutto rispetto. Si tratta di cantine che non sempre coincidono con le proprietà soprastanti di condotte idriche antiche, di ghiacciaie, cripte, pozzi e qualche altro ipogeo arcane più o meno dimenticato. Per render l'idea della suggestione che il mondo infero, anche urbano, ha esercitato sulla fantasia popolare basterebbe citare la leggenda degli improbabili cunicoli che mettevano in comunicazione i conventi maschili con quelli femminili, pieni, manco a dirlo, di feti abortiti, di passaggi segreti per monache di Monza o Cassandre Pavoni assetate di sesso (mentre invece è noto come anche la nostra Cassandra non avesse alcun bisogno di cunicoli, potendo ricevere tranquillamente il suo Galeotto che entrava dalla porta principale). Lo stesso compianto Giuliano Bettoli, che una volta buttò giù un ironico articolo su frati e suore intenti a balletti rosa sotterranei, fu preso sul serio e investito da commenti tipo «io lo sapevo!» e «me l'hanno sempre detto!». A spazzare il campo da leggende e fole, trattenendo invece tutto ciò che è scientificamente provato provvede oggi Stefano Saviotti con questo Faenza sotterranea (114 pagg., Tip. Valgimigli, 12 euro), freschissimo di stampa. Redatto dopo anni di studi, sopralluoghi e confronti e coordinato editorialmente da Renzo Bertaccini, il volume prende le mosse dalla Faventia romana, di cui restano diverse vestigia sotterranee documentate ma non visitabili (uniche eccezioni il resto del probabile Foro scoperto nel 1970 sotto l'albergo Corona, oggi magazzini Ovs, e il basolato in trachite nel locale-caldaia della Banca del Monte); recuperati e trasportati altrove sono poi alcuni lacerti di mosaici del IV-V secolo, di cui uno, quello di via Barilotti, recentemente collocate nell'atrio di Palazzo Mazzolani. Si passa poi alle cantine, argomento complesso perché riguarda almeno sei secoli di edilizia, dal Medioevo in poi, e foriero di leggende. In estrema sintesi basti citare alcuni casi visitabili e documentati da Saviotti: le cantine del Rione Rosso, della Sghisa, dell'Osteria del Mercato, e, mirabili per le volte a vela ribassate, fatte con la stessa tecnica dei forni, della biblioteca Zucchini, ex convento dei Celestini (XIV sec.). | |||
Un breve capitolo sui fondaci della piazza, magazzini ipogei di varie epoche, e si passa alle gallerie «tra leggenda e realtà», coi citati casi «a luci rosse» e altri più seri, di comunicazione sottostradale e anche di ambienti non contigui (in Corso Garibaldi, via Contradino, Diavoletto, Borsieri, Santa Maria dell'Angelo, Ca' Pirota, Tomba e nelle piazze Lanzoni e Molinella). Infine, gli acquedotti: quello del Fonte Pubblico, di cui oggi resta il magnifico vano sotto la Fontana Monumentale, e il Canal Grande di origini antichissime (1184-1194), coperto e dimenticato nel '900 (ultimi interventi nella via omonima e in via Firenze fra 1952 e 1977). Saviotti non si ferma qui. Prende in esame anche fognature e chiaviconi, i resti della Rocca sotto l'Ospedale, i sotterranei delle mura, le ghiacciaie (ancora in piedi sono quella di parco Tassinari e, raffinatissima, la Rossi; meno conosciute quelle di palazzo Cantoni e del torrione di Montecarlo), chiese soppresse e cimiteri, l'oratorio dei Battuti Bianchi (sotto il Duomo) e le straordinarie cripte di Sant'Ippolito e Pieve Corleto. Nel panorama faentino un libro del genere mancava ed è proprio il caso di dire che ci voleva. | ||||
Palazzo Ferniani, di Sandro Bassi - Carlo Conti - Giulia Zoli | ||||
![]() |
Palazzo Ferniani rappresenta,
nel suo insieme architettonico e decorative degli interni, una testirnonianza
notevole di una stagione — quella
barocca — che vede la quasi totale trasformazione della città di Faenza nei
suoi edifici religiosi e civili. La presente guida di Sandro Bassi, Carlo Conti e Giulia Zoli, dal taglio molto agile, permette di compiere un percorso completo dell'edificio nei suoi aspetti esterni e nelle sale e negli ambienti interni, anche i meno accessibili, ed offre, attraverso una pregevole campionatura fotografica, la piena fruibilità di questa storica residenza patrizia. Pietro Lenzini | |||
Faenza nella Grande Guerra, di Enzo Casadio | ||||
![]() |
l primo libro dedicato a Faenza durante la Grande Guerra: racconta le vicende della città e della popolazione in quei difficili anni, quando al dramma dei giovani costretti ad andare al fronte si aggiunse quello delle famiglie, in particolare le meno abbienti, quotidianamente alle prese con la difficile situazione economica. In città erano stati costituiti numerosi comitati sia per sostenere la popolazione civile, sia i soldati al fronte; funzionarono anche alcuni ospedali militari nei quali furono ricoverati oltre 20.000 soldati. A guerra finita furono intraprese varie iniziative per ricordare i caduti e gli eventi legati alla guerra: alcune lapidi, il Viale delle Rimembranze, la Chiesa dei Caduti e la Colonia di Castel Raniero. In appendice sono riportate 771 schede di faentini caduti in combattimento, dispersi o morti per malattia, l’elenco dei decorati al Valore Militare e dei militari non faentini deceduti negli ospedali della città. L’apparato iconografico è costituito da oltre 150 tra fotografie e documenti in gran parte inediti. | |||
Il più antico viale di Faenza, di Giuseppe Dalmonte | ||||
![]() |
Stando alle cronache del tempo, lo Stradone non è nato da un piano
urbanistico preventivamente delineato o da un progetto ben definito, ma
è sorto dall’urgenza di far fronte alla grave miseria che imperversava
in quegli anni a Faenza, in una difficile fase di transizione politica.
Infatti, l’ingegnere distrettuale Guido Corelli, in un rapporto
riservato del marzo 1816 al Podestà Nicola Pasolini, racconta che il 5
marzo furono intrapresi i lavori ‹‹della nuova Strada così detta
Erbosa››, per ‹‹isfamare la popolazione›› e aggiunge che era
impossibile contenere ‹‹il numero dei braccianti che spinti dalla fame,
e dalle assicurazioni di alcuni Deputati, accorrono di buon mattino al
lavoro, e minacciano seriamente quelli che pretendono di escluderli››.
Da una parte l’amministrazione cittadina aveva cercato di mitigare il grave malessere sociale distribuendo agli indigenti migliaia di minestre gratuite o a prezzi modici, dall’altra la nuova strada extra urbana deliberata dal Consiglio Faentino il 26 febbraio 1816, che collegava Porta Montanara al Foro Boario nei pressi di Porta Imolese, offriva un’occasione di lavoro a parecchie centinaia di operai giornalieri in attesa della buona stagione per portare a casa qualche mezzo di sussistenza. | |||
Due faentini nel "servizio segreto" del Re Sole, di Miro Gamberini | ||||
![]() |
Francesco Serantini, nel 1931 nella rivista La Piê, presentando il libro “Azzurini” di Dionigi Zauli-Naldi, scriveva: “La
vita di codesto personaggio [Andrea Azzurini] fu varia per molte
vicende. L’editore sopra la fascietta che stringe il volume gli
attribuisce pensieri di Casanova e di Cagliostro, forse con la
recondita intenzione di paragonarlo a codesti avventurieri di stile.
Evidentemente esagerava: Azzurini fu un uomo del suo tempo; voglio dire
che, come lui allora ce n’erano molti”. La vita di Andrea Azzurini è una sfida continua all’avventura e al lusso sfrenato nel frequentare gli ambienti nobili. Ė avido di gloria e di successo, vuole con ostinazione un incarico al servizio di qualche Cardinale con la funzione di diplomatico. Nei “salotti” aristocratici, si esalta manifestando tutta la sua arroganza fino a commettere errori che gli saranno fatali. Fortunatamente tutto il carteggio degli Azzurini è giunto fino a noi; rinchiuso in quattro contenitori, è oggi conservato nella Biblioteca Comunale di Faenza, nelle carte dell’archivio Zauli-Naldi. Il documento più antico è un istrumento su pergamena del 1141, importanti pure i testamenti di Giacomo Azzurini del 15 agosto 1510 e di Bartolomeo di Lancilotto del 21 luglio 1589. In due volumi manoscritti, identici nel testo, vi è raccontata la storia della famiglia con illustrazione di blasoni gentilizi e alberi genealogici del 1668. Seppure manchino importanti documenti come il passaporto reale rilasciato da Luigi XIV e il diploma di cavaliere dell’Ordine di San Lazzaro di Andrea Azzurini (ma vi sono copie degli stessi), il resto dell’epistolario dal 1600 fino al 1730 è perfettamente conservato e consultabile. Questo carteggio racconta la vita di Andrea, ne svela i lati più segreti di millantatore, mentitore, falsario, truffatore e spia. Personaggio dal fascino malizioso, conduce una vita egocentrica, le donne che conosce e ama sono solo affari di ordinaria amministrazione, atte a soddisfare il suo scopo, quello di rivestire un ruolo importante alla corte del Re Luigi XIV. Dopo tre secoli di oblio, il primo protagonista che incontriamo nelle velate carte dell’archivio Zauli-Naldi è Antonio Azzurini, padre di Andrea, personaggio forte, tenace e risoluto nelle sue decisioni, comandante della Rocca di Faenza per 45 anni, ma anche affettuoso e protettivo con il figlio. É un eccellente e raffinato diplomatico tanto da essere inviato come ambasciatore, con incarichi speciali, nei vari Stati Europei a trattare importanti questioni. Ecco la storia come ci è stata tramandata dalla documentazione che andiamo a leggere. | |||
I misteri di Faenza, di Rosarita Berardi | ||||
![]() |
Faventia, per gli
antichi, oggi Faenza, la città sul Lamone, le cui origini si perdono nella
mitologia, ha una storia lunga millenni. Nei suoi pressi si sono combattute
battaglie delle guerre civili della tarda Repubblica romana, della guerra
greco-gotica. Ha subito l'assedio di Federico II di Svevia e i saccheggi dei
bolognesi e dei bretoni e ha scritto - resistendo per mesi alle forze del
Borgia - una delle pagine più gloriose dell'intera storia di Romagna. È stata,
sotto i Manfredi, una delle capitali dell'Umanesimo romagnolo. Ha visto
camminare per le sue strade il grande Leonardo da Vinci ed è, da sempre, famosa
in tutto il mondo per le sue magnifiche ceramiche. Tutto questo e tanto altro è noto. Questo libro,
attraverso un mosaico di 15 tessere, intende ricostruire la storia di Faenza da
una prospettiva diversa: vicende meno conosciute, misteriose, oscure,
inquietanti e truci, ma anche divertenti e intriganti. Rosarita Berardi,
con lo stile che la contraddistingue, ci offre un percorso curioso e suggestivo
alla scoperta del lato oscuro della città manfrediana. Rosarita Berardi;
(Bologna, 1952), da quasi quarant'anni vive a Faenza. Operatrice culturale
particolarmente sensibile alla promozione della lettura tiene incontri e
conferenze e organizza dibattiti di approfondimento sui rapporti fra generi
letterari e psicologia. Organizza, inoltre, laboratori di scrittura creativa.
Collabora con riviste letterarie e testate locali ed è membro di giuria per
concorsi letterari e poetici. Poetessa e
scrittrice, tra i suoi ultimi libri ricordiamo: C'erano due bimbe in cucina (Mandragora, Imola), e, per i tipi del «Il Ponte Vecchio», Draghi e petunie e
Stagioni (quest'ultimo con Massimo Buldrini), Il colore delle donne, Via del canto e dei rosai, La favola delle parole, Colori sommersi (con Daniela Perozzi
e Cristina Ghetti) e l'audiolibro La cantastorie di Mondo disco. Diamante Torelli difende le mura di Faenza... G. Mattioli, Pinacoteca Comunale Faenza. | |||
![]() | ||||
Granarolo Faentino - Fronte del Senio, di Remo Vassura | ||||
![]() |
Questa pubblicazione si inserisce nel contesto delle manifestazioni per il 70° Anniversario della Liberazione avvenuta, a Granarolo Faentino, il 4 gennaio 1945. La Comunità democratica di questo nostro paese, nelle sue più vive espressioni associative, culturali, religiose, politiche, ricreative e sportive, ha inteso ricordare e celebrare l’Anniversario della sua Liberazione dall'invasore tedesco e nazista, oltre che dalla ventennale sciagurata dittatura fascista. Quel tremendo e spaventoso periodo storico che portò grandi lutti, immani sofferenze e distruzioni alle popolazioni che furono partecipi di quegli avvenimenti, culminato il 9 aprile del 1945 con il definitive assalto alleato alla "Linea del Senio", viene qui ricordato e rappresentato con questa pubblicazione che riguarda per l’appunto la sua "Battaglia del Senio". Queste pagine intendono rendere giustizia ai caduti alleati che a migliaia caddero nei nostri territori romagnoli e, in parte, sepolti nei cimiteri militari di Villanova di Bagnacavallo, Piangipane e Faenza. I cittadini granarolesi, la popolazione romagnola e il popolo italiano nella sua interezza, rendono onore a quegli uomini e soldati straordinari, neozelandesi, canadesi, inglesi, indiani, polacchi, scozzesi, irlandesi, maori, ecc. che, sbarcati in Italia dai paesi più lontani, con immenso sacrificio e abnegazione, si batterono fino alla morte per la nostra libertà. Assieme a questi valorosi ricordiamo i soldati del rinnovato esercito italiano e i patrioti romagnoli della 28a brigata partigiana di Bulow. Nei confronti di questi straordinari ragazzi e uomini, infinita ed eterna riconoscenza. Remo Vassura | |||
Il Cinquecento, a cura di Anna Colombi Ferretti - Claudia Pedrini - Anna Tambini | ||||
![]() |
La
pubblicazione riempie un vuoto nella storiografia dedicata all'arte
faentina: il secolo XVI fino ad ora non è stato tra i periodi più
indagati dagli studiosi, che hanno invece privilegiato altri momenti
come il periodo rinascimentale della Signoria Manfredi o l'età
neoclassica e il periodo del primo Novecento. Non sono in realtà
mancati studi specialistici su singoli artisti o singole opere; ma una
profonda analisi sul percorso storico delle arti a Faenza nel primo
'500 che svelasse la complessità del momento, il ruolo dei pittori
faentini, delle influenze e delle presenze di apporti eterogenei,
secondo un taglio scientifico sorretto da un importante intento
divulgativo. Il volume, pubblicato da Edit Faenza, è attento in modo
particolare all'attività di tredici pittori. Dei pittori che hanno
operato a Faenza agli inizi del secolo ha scritto Anna Colombi Ferretti
che ha esaminato in particolare Marco Palmezzano, Giovanni Battista
Bertucci, Michele Bertucci, Lorenzo Costa e Francesco Zaganelli. Anna Tambini ha analizzato specificatamente altri quattro pittori attivi nella prima metà del Cinquecento: Carlo Mengari, Sebastiano Scaletti, Sigismondo Foschi e Antonio di Domenico detto Antonio da Faenza. Un capitolo è stato dedicato da Anna Colombi Ferretti a Girolamo da Treviso e Francesco Menzocchi, due pittori che hanno lavorato nella Commenda in Borgo e infine Claudia Pedrini ha scritto di Gaspari Sacchi e Innocenzo da Imola, due diversi pittori raffaelleschi per Faenza. Grazie all' autorevole e approfondito apporto delle autrici il volume è nel complesso riuscito molto ricco e articolato, con un completo apparato iconografico che per la prima volta mostra in modo esauriente gli esiti della pittura faentina del primo Cinquecento. Molto interessante a questo proposito è stata anche la ricostruzione della dispersione del patrimonio che ha consentito di recuperare e riunire, almeno in una documentazione cartacea, opere che sono state prodotte e conservate a Faenza per secoli e che ora sono disperse in varie nazioni europee come Austria, Germania, Ungheria, Francia, Irlanda e Inghilterra o anche in altri luoghi più lontani come Honolulu, Boston e Baltimora. Il volume è realizzato dalla sezione di Faenza di Italia Nostra, con il sostegno della Fondazione del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza e della Fondazione della Cassa di Risparmio di Ravenna. | |||
La chiesa di S. Maria in Basiago, di Luisa Renzi Donati | ||||
![]() |
Questo lavoro è nato dall'amore della Comunità di Basiago per la sua chiesa. È stato il desiderio di conoscerne la storia e le opere d'arte che essa conserva a spingere Tonino Panzavolta a contattarmi. Lo ringrazio per la fiducia che mi ha accordata, ed anche perchè mi ha permesso di venire a contatto con tante persone gentili e appassionate, come Milva, Debora, Alexia, Silvana, Alessandro, Giovanni, Massimo, sempre pronte a fornirmi l'aiuto che di volta in volta ho chiesto loro. Perché io Basiago la conoscevo poco più che per nome. Spero di non averle deluse, ed anche che questa pubblicazione possa risultare gradita a tutti i parrocchiani. Nell'esposizione ho cercato di essere semplice e piana, rimandando gli approfondimenti alle note, di facile consultazione perché poste a piè di pagina, e poiché si tratta di un opuscolo che ha scopo divulgativo, ho ritenuto di non "appesantirlo" con la bibliografia e l'indice del nomi in fondo. Ho descritto anche "cose" ritenute tradizionalmente "minori" perché, con don Antonio Savioli, sono convinta "che esse siano importanti nel quadro di una presenza vivente del monumento in mezzo ad una comunità non tanto di esteti quanta di credenti". Luisa Renzi Donati | |||
Faenza l'Osservanza, di Sasco Zanzi | ||||
![]() |
In
questo volume Sasco Zanzi ci mostra la città dei morti così come
l'hanno pensata e realizzata i vivi. Si tratta del cimitero
dell'Osservanza di Faenza (attivo dal 1816), più volte ampliato e
rimaneggiato, ora descritto fotograficamente nei suoi monumenti
artistici e architettonici, colto nella sua gerarchia degli spazi,
nella sua costruzione delle identità cittadine, nei suoi equilibri tra
potere laico e potere religiose. Lapidi, tempietti, croci, pietre
tombali, sentieri, arcate, piazzette, cortili, giardini, cipressi tutto
torna a "ri-vivere" grazie al gusto artistico di Sasco, che non solo
riesce a farci vedere le valenze simboliche e allegoriche, ma anche le
tracce della secolarizzazione, assieme all'inquietudine che la morte
produce da sempre su chi resta. Dunque, una brillante guida a questi
monumenti, alcuni realizzati da noti artisti non solo locali.
Maurizio Tagliaferri
| |||
Galleria dei Cento Pacifici, di Marcella Vitali | ||||
![]() |
Il
restauro della Galleria dei Cento Pacifici come ambiente di prestigio
nell'ambito degli spazi destinati a Ridotto del Teatro deve essere considerato
esempio di recupero e valorizzazione di un patrimonio pubblico di grande valore
ma allo stesso tempo un mezzo per avvicinare questo spazio privilegiato alla
città, grazie al processo di partecipazione di diversi enti ed associazioni che
hanno data il proprio contributo per il buon esito della iniziativa. L'importante
presenza a Faenza di un patrimonio culturale ricchissimo e unico, intrecciato
ad un tessuto urbano di pari valore, testimonia la nostra identità storica
ricordando costantemente ad ognuno di noi di far parte di una storia
collettiva. Questo
il motivo che anima da oltre cinquant'anni le attività della Sezione di Faenza
di Italia Nostra, consapevole dell'importanza della salvaguardia del patrimonio
culturale del territorio e della sua stessa valorizzazione; e poiché il
problema della tutela è indissolubilmente legato alla conoscenza, si ritiene
che il momento del recupero di questi ambienti possa costituire una preziosa
occasione per divulgare ad un più vasto ambito quanto gli studi e le scoperte
ci hanno messo a disposizione. Una
pubblicazione che intende essere strumento di conoscenza, funzionale alla
consapevolezza della necessità di preservare e aver cura di un luogo unico che,
stando alle intenzioni della committenza, avrebbe dovuto assumere il ruolo di
Tempio della Pace, secondo un progetto che rifletteva l'idea di un vero e
proprio programma civile. Italia Nostra - Sezione di Faenza | |||
Le mura di Faenza, di Stefano Saviotti | ||||
![]() |
Questo volume rappresenta il primo studio specifico dedicato alle fortificazioni della città di Faenza: le mura altomedioevali, la Rocca, la cinta manfrediana dalla costruzione sino ad oggi. E inoltre approfondimenti sulle porte, sul Ponte delle Torri (ricostruito in dettaglio sulla base delle antiche perizie) e sui torresini più importanti. La rigorosa narrazione delle vicende storiche si alterna con aneddoti, curiosità, personaggi ed usanze dei tempi passati; il tutto è ampiamente illustrato con disegni di Romolo Liverani, fotografie d’epoca della Fototeca Manfrediana e planimetrie dettagliate che permettono al lettore d’inquadrare con precisione le trasformazioni subite dalla cinta muraria nel corso del tempo.
| |||
La famiglia Caldesi in via Manfredi, di Vittorio Maggi | ||||
![]() |
Il titolo di questo libretto “La famiglia Caldesi in via Manfredi” non è una scelta casuale ma una piccola forzatura determinata dalla incertezza nonché da pareri discordanti nati ultimamente attorno al nome che si sarebbe dovuto assegnare al palazzo in cui i Caldesi hanno abitato. Dalle prime notizie degli antichi storici sostenute fino ai giorni nostri che indicano il palazzo dei Manfredi, alla tradizione più popolare che lo indica come il Palazzo dei Caldesi, alle ultime rivelazioni di Lucio Donati che assegna il fabbricato ai casati Bazzolini-Viarani, in questa assoluta incertezza ho preferito non dare un nome al palazzo, che sarebbe stato comunque irriverente nei confronti di una famiglia o dell’altra, indirizzando il racconto verso una breve storia della famiglia Caldesi che abitò in quel palazzo di via Manfredi. Le date e gli avvenimenti sono stati tratti in massima parte dalla consultazione di documenti e atti notarili conservati presso l’Archivio di Stato di Faenza; di Censimenti delle Anime presso l’Archivio Vescovile e l’Archivio Parrocchiale di S.Agostino e sono riconducibili ai personaggi citati nel testo. Tuttavia durante la ricerca sono stato più volte obbligato a interpretare i documenti consultati concedendo spesso al racconto un po’ di fantasia e quelle considerazioni personali che ricavavo leggendo gli atti. La storia dei Caldesi, per quanto inserita nel contesto della storia del palazzo, si distingue nel testo dalla stampa in grassetto. | |||
2001 Romagna, numero centoquarantatre, dicembre 2014 | ||||
![]() La Rivista è acquistabile nelle librerie e nelle edicole di Faenza oppure contattando: Tipografia Faentina - via Castellani, 25 - 48018 Faenza (RA) Tel. 0546 21111 e mail: info@tipografiafaentina.com Conto corrente postale 2409094 |
Da
quattro anni ormai da rivista trimestrale 2001 Romagna è diventata un
volume di tutto rispetto che esce a S. Pietro e a Natale. La
trasformazione, però, non ne riguarda l'anima, fedele a personaggi,
fatti, foto e racconti della nostra gente e della nostra terra.
Continuano, e sono due anni, le collaborazioni con Brisighella e Castel
Bolognese, oltre quella più annosa con Granarolo, che ci auguriamo vi
risultino interessanti e gradite. Per le fotografie ricordiamo il
prezioso contributo della Fototeca Manfrediana. L’inserto di 48 pagine
di storia faentina dal titolo: "Canali, chiuse, mulini e lavatoi a
Faenza e dintorni", contiene 11 capitoli tra i quali la Chiusa di
Errano, la Cartiera, la Casetta alle Bocche dei Canali, e ben 47
immagini, tra foto, disegni e piante. Qui di seguito le firme e i
titoli degli argomenti trattati in questo numero:
INDICE | |||
| ||||
Il Liceo dipartimentale napoleonico e le altre scuole del distretto di Faenza, di Giuseppe Dalmonte | ||||
![]() |
Nel periodo napoleonico, l'istruzione pubblica fu un tema non secondario della riorganizzazione amministrativa e statuale basata sul modello francese. Solo apparentemente effimera, l'esperienza ha costituito la base del sistema scolastico italiano a partire dall'Unità. A Faenza, che vive in quegli anni uno straordinario fermento culturale, fra archi di trionfo per Napoleone e leggiadre dimore neoclassiche, questa continuità è anche fisica: II Liceo Classico Torricelli ancora oggi ha sede nello stesso edificio dove vide la luce il Liceo dipartimentale, e ne è quindi erede diretto. Grazie a una ricca documentazione d'archivio, Dalmonte fa della Città delle Maioliche un case study, ricostruendo i primi passi della moderna istruzione pubblica aperta a tutti, che rivoluziona un'offerta formativa fino a quel momento ancorata ai modelli della Scuola comunale e del Seminario diocesano. Fra le novità, maggiore attenzione alle discipline scientifiche, libri di testo più moderni e aggiornati, adozione del sistema metrico decimale, mentre lo studio della lingua francese modernizza l'approccio alle discipline umanistiche. Nuove disposizioni per gli insegnanti censurano l'uso delle percosse nella correzione degli allievi e il ricorso al dialetto nelle aule scolastiche. Funzione dei licei dipartimentali era la formazione del candidati alle Università, concentrate nelle sedi di Bologna, Pavia e Padova. Nell'arco di pochi lustri si delineò un modello di istruzione pubblica controllata dallo Stato e ordinata gerarchicamente, dalle scuole primarie all'Università, destinata a rimanere un riferimento per il futuro, aldilà delle contingenze che ne decretarono la precoce chiusura. | |||
Guardando dal campanile di S. Maria Foris Portam in Faenza, di Giuliano Vitali | ||||
![]() |
Ho visto la chiesa di S. Maria foris portam per la prima volta in occasione di una cerimonia, il battesimo di mio nipote Edoardo. Avendo la curiosità di sapere la storia di questo luogo sacro, ho sollecitato Giuliano Vitali a riunire tutte le notizie che si potevano trovare su questo luogo in un libro, che avesse un carattere divulgativo. L'opera racconta ciò che accadde attorno alla chiesa che fu la prima cattedrale in Faenza. Conoscere la storia dei luoghi in cui viviamo, ci arricchisce e stimola la ricerca della nostra radice culturale. Mi auguro che la lettura di questa singolare storia di un luogo della nostra città, possa favorire la ricerca dell'evoluzione faentina nei secoli passati. Patrizia Domenicali | |||
Il principe e il suo sicario, di Gigi Monello | ||||
![]() |
Roma, Settembre 1499, Rodrigo Borgia, in arte Papa Alessandro VI, volendo metter fine al secolare disordine del suo stato, dichiara decaduti tutti i vicari di Romagna; di nome feudatari, di fatto piccoli re. Con l’apparenza della ragion di stato, ma in realtà per libidine di grandezza, dato a suo figlio Cesare il comando delle milizie, lo incarica di recuperare le antiche dipendenze, concedendogli di farne un dominio tutto suo. Uno dopo l’altro, i signori romagnoli ora scappano, ora son travolti, ora patteggiano la deposizione. La sola Faenza si prepara ad opporsi e a difendere strenuamente il governo dei Manfredi. Attaccata nel Novembre 1500, la città resiste sino all’Aprile successivo, quando, ormai sul punto di essere presa con la forza, onde evitare le brutture del sacco, capitola ad onorevoli condizioni. Andato a visitare il vincitore, forse circuito dalla sua affabilità, il giovanissimo Astorre accetta di restare con lui. Compiendo l’atto che lo perderà per sempre. Per un anno prigioniero in Castel Sant’Angelo, una notte il disgraziato scompare. Il 4 giugno 1502 il Tevere ne restituisce il cadavere. Non ha ancora compiuto diciott’anni.
| |||
L'antica strada da Faenza a Firenze, di Lucio Donati | ||||
![]() |
II presente saggio dimostra come i toponimi migliari attestati lungo la strada tra "Faventia" e "Florentia", della quale si ha testimonianza diretta solo nell'Itinerarium Antonini di inizio III secolo, non possono riferirsi al miglio romano (metri 1478 circa), ma ad un quasi sconosciuto "miglio romagnolo" (metri 1700 circa). Negli ultimi decenni lo studio per l'individuazione della rete stradale del passato ha fatto registrare un più accurato utilizzo delle discipline e dei dati utili allo scopo, per cui si è riconosciuto un maggior numero di percorsi e si è visto come l'importanza di alcuni di questi sia mutata nei vari periodi storici e come taluni tratti possano essere addirittura scomparsi; si tenga comunque presente, ad esempio, che l'elemento probante per il riconoscimento della cosiddetta "Flaminia minor", almeno nel versante bolognese, è il dato archivistico, essendo stata denominata "Flamenga" (o varianti) al pari della "Flaminia maior” in territorio marchigiano e umbro: dare eccessiva importanza alla presenza di pievi, monasteri ed ospitali di epoca medievale puo essere fuorviante | |||
| ||||
L'età Neoclassica a Faenza, a cura di
Franco Bertoni e Marcella Vitali | ||||
![]() |
Il volume documenta l’eccezionale momento culturale e artistico che segnò in maniera indelebile la città di Faenza tra il 1780 e il 1820, ovvero il periodo di affermazione di una cultura neoclassica tesa a ribadire il primato dell’antico. Poche città ebbero la fortuna di assistere a una vicenda tanto intensa e ricca: l’eccezionale fioritura di edifici, dipinti, sculture, decorazioni e arredi – in un fervore che coinvolge artisti e botteghe artigiane di alta specializzazione – fu espressione della volontà di un rinnovamento in senso moderno oltreché di ambizioni di prestigio e legittime aspirazioni a un ruolo da protagonista. Dopo il grande successo, non solo locale, delle architetture realizzate da Giuseppe Pistocchi con l’aiuto dello scultore Antonio Trentanove, le grandi famiglie gareggiarono nella sistemazione delle proprie dimore. Si imposero così Giovanni Antonio Antolini e Pietro Tomba in architettura, la bottega dei Ballanti Graziani in scultura, e Felice Giani in pittura. La singolare, perfetta integrazione tra le arti costituisce l’essenza più profonda di questo periodo, contrassegnato da eleganza, equilibrio, misura e buon gusto. Testi: Andrea Emiliani, Franco Bertoni, Marcella Vitali |
Faenza 14 itinerari per scoprire la città
e il suo territorio,
di Sandro Bassi |
|
![]() Copertina del libro
![]() Dettaglio dell'organo
della chiesa del Suffragio, immagine tratta dal libro.
|
La
Faenza che non t'aspetti. La Faenza che continuamente si rinnova e si propone con un volto sempre nuovo agli sguardi di chi I'incontra, di chi la visita, di chi la vive e la vuol vivere. Per la prima e per la millesima volta. La «Città delle ceramiche» nota in tutto il mondo emerge cosi dalle parole di Sandro Bassi e dalle immagini di Fabio Liverani in questo libro che non è soltanto una guida sentimentale di un paesaggio umano ed ambientale affascinante e originale, ma una storia attraverso quattordici itinerari tra i luoghi cittadini e del territorio di Faenza - le strade, le piazze, le chiese, i musei, i parchi, le pievi, le pietre... -, che ne evidenziano identità, peculiarità, originalità - ad esempio, il Palio del Niballo - e curiosità, insieme alle caratteristiche «classiche». E, di conseguenza, fanno emergere il vissuto e I'appartenenza della comunità, di uomini che agiscono nella storia, antica e contemporanea, così come intervengono sul turismo, comunicando la domanda di senso, la rinnovata bellezza, la presenza del meno conosciuto, del «minore», dell'ignoto, del Mistero... Una Faenza di oggi con le sue tracce di ieri, ma anche con i suoi segnali di domani, per dare forza e libertà al presente, per mantenerne viva la memoria, per invitare a stare, a ritornare, comunque ad andare per scoprire in un cammino che si ripete e cambia nello stesso tempo, che matura, così come accade alle persone attente a ciò che fanno, al tessuto urbano che le circonda, alle circostanze che succedono e vanno affrontate. Davvero un percorso nuovo e originale, esaltato dalle immagini, che si rivolge a tanti. A coloro che non hanno mai visitato Faenza e i suoi luoghi più noti - dal Duomo alla Fontana Monumentale, dalla Biblioteca Comunale alla Torre dell'Orologio... -, oppure a coloro che amano la cultura urbanistica e sociale delle chiese - le strutture portanti, i campanili, cosi come i dipinti, le sculture, gli altri elementi dell'iconografia cristiana che ne permea pietre e colonne..., o, ancora, a chi ama la cultura delle memorie - le opere d'arte e i cimeli storici esposti in altrettanti palazzi storici, musei essi stessi: dal Museo Nazionale Neoclassico alla Pinacoteca, dal Museo Internazionale delle Ceramiche e dal «Zauli» al «Diocesano», ma senza dimenticare il «Bendandi» e quello di «Scienze naturali». Ci sono altresi percorsi che meritano un capitolo a se, come quello relativo al Teatro «Masini», o all'«Osservanza», al «Borgo», ma sono i percorsi «fuori porta», quelli «fuori» dalle mete tradizionali dei turisti o dei visitatori classici, che quando si imbattono in queste «occasioni» non possono che dare corpo allo stupore, alla meraviglia, al "che cosa mi sono perso finora", alle risposte a domande lasciate come in sospeso: "Una città cosi verde come Faenza, vuoi che non abbia alberi secolari? Vuoi che non abbia alberi mediterranei?" Certo che li ha, in città e fuori, come testimoniano, ad esempio, I'ltinerario 7 e I'ltinerario 10. "E le chiese? Ci sono soltanto quelle grandi della tradizione, o sono presenti anche quelle delle piccole comunità?" Ci sono anche le «pietre vive» delle campagne, dei secoli antichi, come le pievi, come la «capanna di Sarna», la chiesa duecentesca di Marzeno, (Itinerari 8 e 11) i «ruderi» di Ceparano, la «chiesa dei Lebbrosi», la «tomba di San Barnaba», la cripta romanica di Pieve Corleto (Itinerari 12, 13 e 14) e perfino la quattrocentesca torre di Oriolo dei Fichi (Itinerario 9), che a guardarla da un lato sembra quadrata, da un altro pentagonale, mentre è esagonale, un esagono «inusuale» assolutamente da visitare... Buona lettura e... arrivederci a Faenza! Giovanni Malpezzi
Sindaco di Faenza Massimo Isola Vice Sindaco e Assessore alla Cultura |
Italiani bocciati in geografia (e in cultura generale) di Giuliano Vigini Chissà se gli italiani intervistati anni fa, alla domanda "Che cos'è il Decamerone?" (1.Un libro di novelle 2.Un appartamento di 10 stanze 3.Un vino rosso 4.Un tipo di autobus), oggi risponderebbero ancora per il 36% "Un vino rosso" e per il 29% "Un appartamento di 10 stanze". O alla domanda: "Chi ha scritto Il nome della rosa?" (1.Ernest Hemingway 2.Sean Connery 3.Aldo Busi 4.Umberto Eco), metterebbero ancora al primo posto Sean Connery (47%) e soltanto al terzo posto Eco (18%). Si spera di no, ma non si sa mai, perché, anche se l'istituzione si è alzata, il livello di cultura generale resta basso. E' sufficente che uno segua il programma televisivo l'eredità, dove, ad esempio, le domande di geografia dell'Italia rivelano la non conoscenza che i concorrenti hanno del loro Paese. In queste condizioni, voi capite che la lettura di libri è già un miracolo. |
![]() |
"Il mio unico dovere nei confronti della
storia è di riscriverla", Oscar Wilde. |
![]() |
Entra nel sito della Biblioteca Comunale |
|
Home |
Libri |