I libri che non potete non aver letto sulla storia di Faenza

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Hit Parade dei libri storici





Di fondamentale importanza per la storia di Faenza sono: le Cronache di Tolosano, Cantinelli e Azzurrini e gli Statuti quattrocenteschi di Faenza che costituiscono il tomo XXVIII (parti I, II, III, e V) dell'edizione novecentesca dei Rerum Italicarum Scriptores, consultabili presso la Biblioteca Manfrediana di Faenza.



Il più gettonato dagli storici:
Messeri Antonio - Calzi Achille., Faenza nella storia e nell'arte, Tipografia Sociale Faentina, Faenza 1909.


     AA.VV., Parliamo della nostra città, Grafica Artigiana, 1977.  
     AA.VV., Politica e società a Faenza tra '800 e '900, Galeati 1977.
     AA.VV., Faenza nell'età dei Manfredi, Faenza Editrice, Faenza 1990.
     AA.VV., Faenza: la città e l'architettura, Edit Faenza 1993.
     AA.VV., Faenza nel Novecento, 3 volumi, Edit Faenza, 2003.
     Archi Antonio - Piccinini Maria Teresa, Faenza come era, Fratelli Lega Editori Faenza,1973.
     Bassi Sandro - Fabio Liverani, Faenza 14 itinerari per scoprire la città e il suo territorio, Tipografia Faentina Editrice, 2013.
     Bertoni Franco - Vitali Marcella, L'età neoclassica a Faenza: dalla rivoluzione giacobina al periodo napoleonico,Silvana Editrice 2013.
     Carrari Vincenzo, Istoria di Romagna, 2 volumi, Libreria Antiquaria Tonini Ravenna, 2007.
     Dal Pozzo Ugo, Storia di Faenza, Editrice Galeati, Imola 1960.
     Fototeca Manfrediana, Faenza 100 anni, Faenza 1979.
     Fototeca Manfrediana, Faenza 1944 - 45, Faenza 1986.  
     Fototeca Manfrediana, Faenza 1860 - 1943, Faenza 1993.
     Golfieri Ennio, L'arte a Faenza dal neoclassicismo ai nostri giorni, 2 volumi, Faenza 1975/1977.
     Golfieri Ennio, Faventia - Faenza: origini e sviluppi edili della città, Faenza 1977.
     Gualdrini Giorgio, Appunti per una urbanistica raccontata ai ragazzi, Faenza Editrice 1990.
     Maggi Vittorio - Nonni Ennio, Faenza 100 anni di edilizia,  2 volumi, Tipografia Faentina Faenza 2006 - 2011.
     Marchetti Antonio, Cronotassi dei parroci della città e borghi di Faenza, L. Cappelli Editore, Bologna 1927.
     Medri Antonio, Un panorama di Faenza del '700, Società Tipografica Faentina, 1928.
     Messeri Antonio - Calzi Achille., Faenza nella storia e nell'arte, Tipografia Sociale Faentina, Faenza 1909.
     Montanari Antonio, Guida storica di Faenza, Faenza 1882, Rist. anastatica Bologna, Atesa, 1978.
     Morri Antonio, Vocabolario Romagnolo - Italiano, Faenza 1840 / '41.
     Righi Bartolomeo, Annali della città di Faenza, Montanari e Marabini Faenza, 1840.
     Savelli Lorenzo, Collana Faenza le case nel tempo (I Rioni), 5 volumi, Lions Club Faenza Host, date varie.
     Saviotti Stefano, Le mura di Faenza, Stefano Casanova Editore Faenza, 2001.
     Tonduzzi Giulio Cesare, Historia di Faenza, Rist. fotomeccanica,  Forni Editore Bologna 1967.
     Zama Pietro, I Manfredi, Fratelli Lega Editori Faenza, 1954.
     Zama Pietro, Addio, vecchia Faenza !, Fratelli Lega Editori, Faenza 1972.
     Zecchini Antonio, Il Cenacolo Marabini (l' Ottocento Faentino), Stab. Grafico F. Lega, Faenza 1952.







 
Il più venduto:
FAENZA "La cava degli assassini"
di
Gabriele Albonetti - Carlo Raggi - Mattia Randi






"Ciò che è detto se ne vola via, ciò che è scritto rimane", Terenzio.
PRESENTIAMO UN LIBRO:
La bella e animosa gioventù faentina del Battaglione Pasi a Vicenza nel 1848 di Giuseppe Dalmonte


Articolo Correlato:
La Battaglia di Vicenza del 20 maggio 1848

Nella nuova pubblicazione del prof. Giuseppe Dalmonte, "La bella e animosa gioventù faentina del battaglione Pasi a Vicenza nel 1848", si racconta in modo efficace e ben documentato, anche con immagini inedite, la marcia o il viaggio dei giovani volontari, guidati dal conte Raffaele Pasi, da Faenza a Vicenza passando per Bologna, ai territori ferraresi e padovani, in un clima di grande esaltazione patriottica che si respirava in quei mesi nelle principali città italiane, tra sventolii tricolori, suoni di fanfare ed entusiasmi per Pio IX, il papa liberale e benevolo. Tra i baldi giovani faentini, inquadrati nelle compagnie della Guardia Civica che sfilano a Bologna davanti al comandante in capo delle truppe pontificie, generale Giovanni Durando, ci sono esponenti di tutti i ceti sociali faentini: dai rampolli borghesi e aristocratici, ai commercianti e artigiani fino ai manovali. I fratelli Caldesi, il giovane Leonida e Vincenzo “Leon di Romagna” che imporrà la resa di Comacchio; il cugino Lodovico, futuro botanico e benefattore, che nelle sue lettere alla madre ci svela particolari curiosi e interessanti nelle varie tappe del viaggio. Il farmacista e primo sindaco di Faenza Gaetano Carboni partecipa all’impresa come cassiere del battaglione. Girolamo, figlio del più illustre letterato Dionigi Strocchi, comanda la compagnia dei fucilieri e ha arruolato nella stessa il cesenate Federico Comandini trapiantato a Faenza per motivi professionali e sentimentali, che svolge funzioni di cronista dell’impresa patriottica.
Si potrebbe continuare nella descrizione dei numerosi soggetti partecipanti come volontari, circa 700, accorsi a combattere in soccorso degli insorti vicentini contro il tedesco oppressore, ma possono bastare i nomi del conte Girolamo Tampieri e del popolano violento Giovanni Pianori detto il Brisighellino e futuro attentatore di Napoleone III.
A corredo dell’impresa oltre le immagini stanno alcune testimonianze tratte dai giornali dell’epoca, le attestazioni e gli elogi del generale Durando, senza dimenticare il sostegno caloroso della popolazione faentina sia nella raccolta delle offerte per la guerra santa d’Italia sia nell’accoglienza festosa al ritorno dei reduci da Vicenza, riportata in rilievo anche dalla Gazzetta di Bologna.
L’opuscolo, stampato in proprio nella collana Historia Faentina, è composto di circa 60 pagine e 40 immagini, con un’appendice inedita di alcuni documenti, compreso l’elenco nominativo dei volontari a Vicenza.

 



Soppressioni napoleoniche a Faenza, di Stefano Saviotti - Monica Naldoni


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Leggi le schede delle
"Soppressioni napoleoniche a Faenza"
inerenti gli edifici non ad uso religioso


La sera del 21 giugno 1802 «si cominciò a illuminare con lampade le vie della città, con soddisfazione de' cittadini, che volentieri ne sostennero la spesa». Questo episodio, ben raccontato da Antonio Messeri nella storia di Faenza pubblicata più di cento anni fa, è particolarmente significativo anche per descrivere i cambiamenti che la città ebbe nel periodo napoleonico, cioè negli anni dal 1796 al 1813. É questo il periodo esaminato nel volume scritto con passione e interesse da Stefano Saviotti e Monica Naldoni, pubblicato dalla Tipografia Valgimigli con il coordinamento editoriale di Renzo Bertaccini, per ricostruire - come dichiarano gli stessi autori - la geografia storico-artistica di Faenza alla vigilia delle trasformazioni seguite all'arrivo delle truppe francesi nel 1797.
Il risultato è una pubblicazione che in realtà rende una visione generale della città in un periodo cruciale, quando le molte tracce della Faenza costruita nei secoli precedenti, tra Medioevo e Seicento, andavano riducendosi con l'affermarsi, prima, del grande cantiere settecentesco portatore delle costruzioni neoclassiche e, poi, delle soppressioni napoleoniche. L'esame delle vicende di 79 edifici ha permesso di ricostruire nel dettaglio tanti singoli aspetti della storia urbanistica e artistica della città, ma ha anche fornito un quadro generale che, seppur centrato solo sulle proprietà ecclesiastiche, rende conto dell'importante patrimonio immobiliare e artistico che la città ha saputo costruire nel tempo. Nelle loro ricerche i due autori si sono basati sulla documentazione d'archivio, con una chiara divisione dei compiti. Stefano Saviotti ha infatti ricostruito le vicende storiche degli edifici di proprietà del clero, sia ad uso religioso che ad uso civile, mentre Monica Naldoni si e dedicata al censimento delle opere d'arte presenti nei singoli luoghi.
In questo modo sono emerse le specifiche caratteristiche di ogni realtà presa in esame, mentre; dalla lettura complessiva dell'architettura e dell'arte; e l'insieme della città che viene descritto con una ricostruzione che sa essere analitica ma in grado, contemporaneamente, di fornire una visione generale.
I due autori hanno saputo affrontare la non facile impresa di raccogliere e presentare tale documentazione nel migliore dei modi e con grande merito, perché solo dalla conoscenza e quindi dalla ricerca può svilupparsi il riconoscimento e la valorizzazione del patrimonio artistico di una città che, in tal modo, diventa bene comune da preservare
Ringrazio perciò gli autori, il coordinatore editoriale, e tutti coloro che con suggerimenti e consigli hanno reso possibile questo prezioso lavoro di ricerca. L'auspicio è che possa incrociare l'interesse non solo di studiosi e appassionati ma di tanti, in nome di quell'interesse collettivo che la comunità faentina ha sempre dimostrato per
la propria storia e cultura.

Giovanni Malpezzi Sindaco di Faenza




Granarolo Comune in epoca Napoleonica, 1804-1816, di Carlo Tanesini - Stefano Tanesini, Remo Vassura


É noto come gli abitanti di Granarolo, la maggiore frazione del Comune di Faenza, siano particolarmente legati alla storia e alle tradizioni del proprio paese. Un sentimento radicato a tal punto da trasformarsi talvolta in orgogliosa rivendicazione di una sorta di diversità rispetto a Faenza e ai faentini.
Si tratta, oggi, di un campanilismo vissuto più che altro con quella buona dose d'ironia tipica delle terre di Romagna e dei romagnoli, ma che in realtà affonda le radici in alcune ragioni storiche ben precise. Innanzitutto Granarolo è stato nei secoli luogo di confine e di contesa, prima fortificato e poi, nel 1317, trasformato in vero e proprio castello per volere di Francesco Manfredi, signore di Faenza, le cui resta murarie sono tutt'oggi visibili lungo via Maddalena Venturi. In secondo luogo proprio per aver ottenuto in epoca napoleonica lo status di Comune, con una sostanziale autonomia amministrativa.
Carlo Tanesini, granarolese, scomparso nel 2007, ha maturato la passione per la storia locale solo dopo il pensionamento, con l'intento di decifrare i segni e le memorie lasciate dal tempo nei luoghi dove ha trascorso l'intera vita. Dalle sue ricerche d'archivio sui dodici anni in cui Granarolo fu Comune all'inizio del XIX sec. emerge un quadro estremamente vivo e vivace capace di far percepire in pieno le grandi novità dell'epoca.
La cronaca minuziosa dei fatti, dei luoghi, delle persone, degli aspetti politici e sociali, si inserisce come un frammento posizionato perfettamente nel quadro più ampio degli eventi storici faentini e romagnoli, aumentando la capacità di comprensione del lettore.
Ringrazio Stefano Tanesini, figlio di Carlo, e Remo Vassura per aver recuperate e riordinato gli appunti manoscritti e tutti coloro che si sono adoperati per la loro pubblicazione.
Oltre a soddisfare la curiosità di chi ne leggerà le pagine, questo lavoro rappresenta un tributo di riconoscenza nei confronti di chi, oltre due secoli fa, ha lottato per il bene comune e contribuito a far progredire la comunità granarolese. Valori sedimentati nel tempo che fanno oggi di Granarolo una realtà coesa e particolarmente attiva.

Il Sindaco Giovanni Malvezzi





Appunti per la storia delle chiese della città di Faenza in età moderna, di Ruggero Benericetti

    In queste note si condensano risultati di ricerche d'archivio riguardanti le vicende storico artistiche delle chiese parrocchiali della città di Faenza in età moderna. Sull'importanza dell'argomento per la storia locale non credo sia necessario spendere molte parole. Ciò che invece occorre giustificare sono i limiti cronologici ed il metodo usato. Innanzitutto questa ricerca non tocca, se non marginalmente, le origini e i primi secoli della storia dei sacri edifici, sui quali ci si limiterà a qualche fugace cenno. La ragione di questa omissione risiede nella difficoltà di reperire le fonti documentarie medievali, di cui molte disperse. A ciò si aggiunge la scarsezza di monumenti risalenti a quel tempo. Come limite superiore, la fine del secolo XVIII, si è scelta a causa delle numerose concentrazioni e della conseguente profonda revisione di confini, che configurarono una nuova fase della storia delle parrocchie.
    Le fonti utilizzate sono principalmente due: le visite pastorali dei vescovi, e gli inventari redatti dai rettori delle chiese in occasione delle visite o in altre circostanze. La storia di alcune chiese è stata oggetto nel passato di approfondita ricerca. Vi si è attinto largamente. Altre sono più povere di studi. Queste ultime hanno richiesto un maggiore sforzo di ricerca e di elaborazione. Il lavoro precede per piccole monografie. Di ciascuna chiesa si esamina, dopo qualche cenno sulle origini, la struttura edilizia, la disposizione degli altari e la loro ornamentazione, i benefici o le confraternite annesse. Si accenna, infine, ai confini della cura pastorale, al beneficio e ai libri superstiti. Sui rettori che ne ebbero cura esiste la classica lista del Marchetti, alla quale ci si è limitati ad apportare qualche aggiornamento (1).
    L'ordine con cui le chiese vengono presentate è quello cronologico della documentazione. Mi sembra che, rispetto a quello geografico, presenti il vantaggio di rispecchiare meglio l'espansione ed il popolamento della città durante il Medioevo (2). Sarà bene premettere, prima di passare a trattare di ciascuna chiesa, qualche nota sulla cura pastorale della città in età antica e medievale in generale.
    Essa aveva il suo centro nella Cattedrale, cuore, anche geografico, dell'antica città (3). Che essa fosse intitolata al principe degli apostoli San Pietro lo apprendiamo da documenti posteriori al Mille, ma è facile che la dedica risalga all'alto Medioevo. Può darsi però che non coincida esattamente con l'intitolazione primitiva, forse andata perduta. È possibile che il primo ampio edificio basilicale sia stato innalzato nel quinto secolo, in analogia con quanto avveniva nella vicina Ravenna, il centro cristiano più antico della regione.


    Fin da subito, tuttavia, dovette avvertirsi l'insufficienza della chiesa episcopale per assolvere a tutti i bisogni della cura delle anime della città. Sorsero allora le parrocchie urbane, sussidiarie della cattedrale, che a Roma sono documentate fin dal secolo IV (dove ricevono il nome di tituli), a Ravenna dal V secolo. Per Faenza non abbiamo documenti che ci consentano di risalire ad età tanto antica, ma il fenomeno, che è generale, deve aver interessato per tempo anche la nostra città (4). Col secolo X avviene una svolta nella organizzazione del culto e della cura delle anime. Appare infatti, accanto alla Cattedrale, la Canonica, sorta di casa comune destinata ad ospitare il clero secolare addetto al suo servizio (5).
    La pieve Faentina, come è indirettamente designata la Cattedrale nell'alto Medioevo, aveva giurisdizione spirituale non solo sulla città e sul suo suburbio, ma anche su una larga porzione di campagna, con tutti i suoi oratori. Che la Canonica sovrastasse per importanza tutte le altre chiese secondarie, lo si rileva, tra 1'altro, dal fatto che il vescovo, al momento della sua istituzione, affido ai Canonici la direzione di alcune chiesette urbane o suburbane e perfino di alcune grandi pievi rurali vicine. Nell'atto di fondazione della Canonica troviamo cosi i primi timidi ricordi delle chiese parrocchiali della città, allora chiamate semplicemente monasteria, ma che quasi contemporaneamente, con terminologia di origine transalpina, verranno dette "cappelle", termine largamente in uso in eta moderna. Nel secolo XI cominciarono a moltiplicarsi, col contributo dei laici, che ne costruirono e dotarono diverse, spesso ricavandole dentro le loro stesse abitazioni, e forse in concomitanza con 1'incremento della popolazione urbana. Ma è specialmente in quel quarantennio che va dal quarto al settimo decennio del secolo XII, in cui appare il Comune cittadino, e in cui nascono tanti nuovi borghi fuori delle porte principali, che le chiese si moltiplicano. In questo tempo giunge quasi a compimento quel reticolo che ritroviamo, quasi intatto, nell'eta moderna.
    Piccole per struttura e sobrie per ornamentazione, le chiese sono i più antichi edifici sacri della città. Quelli annessi a monasteri, conventi, ospedali, confraternite, sorti per lo più a partire dal secolo XIII, andranno ad inserirsi in una maglia già da tempo costituita. Non manca il caso di qualche sovrapposizione o di sostituzione di parrocchia col monastero o col convento.

NOTE
1) Trascuro, per evidenti ragioni, le notizie su arredi e immobili.
2) Nove erano disposte sul decumano o via Maggiore: Santa Maria Maddalena, Sant'Antonino, Santi Filippo e Giacomo, Santo Stefano Vetere, Santa Maria degli Ughi, San Tommaso, Sant'Eutropio, San Vitale, San Savino. Sei sul cardo principale, che va dalla porta Ravegnana a quella Montanara: San Marco, San Biagio, Santa Croce, San Bartolomeo, San Giovanni Evangelista, San Lorenzo. L'altra metà delle chiese era distribuita su cardi secondari. Tre sulla via che va dal Corso della Porta Imolese alla Porta Montanara (vie Zanelli, Castellani): San Niccolò, San Giacomo, Sant'Ilaro; altrettante sulle antiche vie di Santa Caterina e della Ganga (via Cavour e viale Baccarini): San Severo, Sant'Abramo, Sant'Antonio della Ganga; due nella antica via di Santa Chiara (via Naviglio): Sant'Emiliano e San Clemente; due nella regione chiamata Broilo: San Michele e Santa Maria; due presso il Duomo: San Terenzio e San Salvatore; una in via Bondiolo: Santa Margherita; una presso il fiume: Santi Ippolito e Lorenzo. Solo San Savino restava fuori delle mura manfrediane.
3) G. LUCCHESI, L'orientamento della cattedrale premanfrediana di Faenza, in Ravennatensia, I, Cesena 1968, pp. 475-    499; La Cattedrale premanfrediana di Faenza, in Ravennatensia, VI, Cesena 1977, pp. 43-58.
4) I primi documenti risalgono ai secoli IX e X.
5) M. MAZZOTTI, Considerazioni storico - archivistiche sulla parte più antica del fondo pergamenaceo dell'archivio capitolare di Faenza, in Studi Romagnoli, 41 (1990) pp. 113-149. La Canonica venne fondata poco dopo quelle di Bologna e di Ravenna.


Dello stesso autore in libreria:






Con ogni diligenza corretto e stampato, di Paolo Campana

Un viaggio attraverso le storie di vita quotidiana di artigiani che alla loro arte hanno dedicato la vita intera, la cui sapienza si è trasmessa fino ai giorni nostri. Un racconto appassionante e comprensibile, perché la storia vista dal basso è la storia più bella. Se Faenza giunse ad essere considerata l’Atene della Romagna lo dobbiamo anche alle persone che tornano a vivere in queste pagine, alla loro dedizione, ai loro successi ma anche ai loro fallimenti, alle loro continue
preoccupazioni, spesso al loro coraggio e alla capacità di interpretare l’arte che sovvertì il modo di acquisire e diffondere conoscenze. Un’arte che mutò in maniera irreversibile le sorti dell’Umanità. L’arte della stampa.

A partire dal XV secolo, un gran numero di stampatori, librai e cartari scelse Faenza, piccola città di una provincia periferica dello Stato Pontificio, per impiantare torchi, aprire botteghe e costruire mulini da carta. Punto di riferimento per letterati, cantastorie, astrologi, teologi, medici e filosofi ma al tempo stesso risorsa primaria di una comunità che fin dagli albori riconobbe le grandi potenzialità che la stampa avrebbe potuto esprimere, le botteghe fornirono un contributo di notevole rilievo allo sviluppo culturale della città nel corso dei secoli.
Frutto di una lunga e approfondita ricerca in archivi storici e in biblioteche italiane ed estere, queste
pagine ospitano la narrazione della dedizione dei protagonisti alla loro arte, le vicende che li videro
coinvolti, i loro successi e i loro fallimenti, in un arco di tempo compreso tra il 1476 e la metà del XVIII secolo. Il gemito dei torchi, il sommesso mormorio dei librai tra scaffali di volumi appena stampati, il frastuono delle pile al lavoro nella cartiera accompagnano il lettore alla scoperta di un mondo affascinante, quello dell’ars artificialiter scribendi, una delle più straordinarie invenzioni dell’intera storia del genere umano.
Paolo Campana, nato a Bologna nel 1965, vive a Faenza dal 1971. Cresciuto professionalmente sulle orme del padre “linotipista errante”, da trentacinque anni svolge la sua attività nel mondo della stampa. Cultore di storia e archeologia locale, ha curato personalmente la trascrizione di un antico manoscritto di cronache camaldolesi dalla quale, in seguito, ha tratto il volume L’antica abbazia dei santi Ippolito e Lorenzo in Faenza (Tip. Faentina Editrice, Faenza). È autore della guida turistica Pirenei (Calderini, Bologna) e coautore di Zavagliando (Moby Dick, Faenza), vocabolario di parole di uso corrente derivate dall’italianizzazione di termini dialettali faentini.





Faenza e l'oltremare, di Alberto Fuschini - Mattia Randi

Faenza e l’Oltremare è quasi un secondo capitolo di Faenza Coloniale. Se infatti il testo uscito nel 2018 si chiudeva con i trattati di Addis Abeba del 1896, lasciava ancora aperti molti interrogativi: che ne è stato della spinta coloniale italiana? Quali i protagonisti?
A questi e ad altri quesiti vuole dare risposta Faenza e l’Oltremare. Nel testo, introdotto dall’assessore alla cultura e vicesindaco di Faenza Massimo Isola, il primo capitolo, a cura di Alberto Fuschini, racconta tutte le imprese coloniali italiane dalla fine dell’Ottocento al secondo conflitto mondiale.
Il punto di partenza è, ovviamente, la partita sospesa in Etiopia, subito però surclassata dalle necessità internazionali: l’Italia corre in aiuto delle potenze europee in Cina. È l’avvio di una nuova stagione, che vede poi colonizzare Libia (negli anni Dieci del Novecento) ed Etiopia (negli anni Trenta).
Importanti riflessioni sono dedicate all’incontro con le popolazioni indigene, il primo momento di scambio tra culture.
Il secondo capitolo, curato da Mattia Randi, raccoglie invece le voci del dibattito faentino sulle imprese coloniali. Il nascere soprattutto di testate giornalistiche afferenti ai principali partiti nazionali evidenzia posizioni spesso diverse e che mutano o rimangono fisse nel tempo. Da queste parole è quindi possibile rintracciare le radici culturali di alcune credenze che, ancora oggi, si hanno sia sulle guerre coloniali che sull’alterità del mondo colonizzato.
Impreziosiscono il volume le foto, gentilmente concesse dalla Biblioteca Manfrediana, di un importante documento iconografico conservato al Museo del Risorgimento di Faenza: si tratta di fotografie scattate alla fine dell’Ottocento e ritraenti luoghi, oggetti e persone dell’Etiopia e dei paesi limitrofi.
Una perla etnografica, riscoperta e valorizzata nell'attuale percorso espositivo.





Faenza coloniale - La città, Franceco Carchidio l'Africa, di Mattia Randi


Il Museo del Risorgimento e dell'Eà contemporanea inaugura la nuova sala dedicata a Francesco Carchidio Malavolti: medaglia d’oro al valore militate, Capitano nello Squadrone cavalleria coloniale "Penne di Falco", morto a Cassala (Sudan) il 17 luglio 1894. La sua fama è legata a due eventi.
 Anzitutto fu il primo   italiano   che   riconobbe   come   proprio il figlio illegittimo che aveva avuto da una donna eritrea durante il servizio militate, facendo di lui un cittadino italiano. Questi era Michele   Carchidio Malavolti, il primo italo-eritreo, nato nel 1891, nominato   erede per  testamento   nel 1893, futuro tenente colonnello del Regio Esercito Italiano.
Della sua crescita ed educazione, essendo morto nel frattempo il padre, si prese cura la zia paterna, la contessa Pazienza Laderchi Pasolini dall'Onda. In secondo luogo divenne noto e parte della cultura popolare italiana della prima metà del XX secolo per essere morto valorosamente nella presa della città Sudanese di Cassala, avvenuta con successo il 17 luglio 1894, grazie alla sconfitta dei dervisci del Mahdi, che qui si erano precedentemente opposti agli attacchi britannici.
Con la sala dedicata alle Guerre coloniali, l'ultima riferita all'Ottocento, si giunge a completamento del percorso espositivo riferito al "periodo risorgimentale" che termina, convenzionalmente, con la Grande Guerra del 1915—18.
II Museo ha lo scopo di valorizzare e promuovere lo studio e la conoscenza delle sue collezioni e del patrimonio storico culturale della città di Faenza e della Romagna dalla fine del Settecento alla proclamazione della Repubblica; non poteva quindi essere a lungo rinviata l'esposizione al pubblico della collezione di reperti riferiti alle Guerre coloniali italiane: 1882—1936. L'esposizione, in questa prima fase, è limitata solo ad alcuni reperti di fine Ottocento, in attesa del completamento dei lavori di allestimento della sala.
Naturalmente si è consapevoli che parlare oggi di Colonialismo è argomento complesso: esso fu un fenomeno storico che va comunque studiato come qualunque altro, verificando se e in quale misura esso rispondesse a una dinamica "naturale" delle società occidentali che lo realizzarono, ovviamente senza mai perdere di vista i costi umani che esso impose, con speciale riguardo alle popolazioni indigene che vi furono coinvolte. Si può quindi dissertare di imperialismo e di capitalismo, di cause ed effetti, di strutture e di evoluzioni, ma questo esulerebbe dai compiti del Museo a cui compete ricordare gli Uomini, le loro motivazioni; l'accento lo vogliamo porre più sugli individui che sui gruppi, ricordando le parole del grande storico Marc Bloch: "Compito del mestiere di Storico è evitare i grandi concetti astratti e cercare la realtà concreta che si cela dietro di essi: l'Uomo." (Aldo Ghetti)




La Torre di Ceparano, di Maurizio Melandri 



La torre di Ceparano è più di un luogo fisico; e per gli abitanti della valle del Torrente Marzeno anche uno spazio in qualche modo spirituale, sicuramente simbolico.
Essendo elevato e ricco di storia fa parte dell'identità del luogo e di rimando è parte dell'identità degli abitanti della valle. Per la sua posizione di rilievo era un punto di osservazione ottimale. Costruendovi una torre, questa assolveva alla funzione di avvistamento e di guardia, oltre a divenire spazio di aggregazione e centro spirituale per la presenza della pieve che assolveva anche funzioni amministrative.
Era già esistente prima dell'anno mille come luogo fortificato e pieve, e sicuramente è stato uno dei cardini delle vicende della storia della vallata e delle signorie che si sono succedute per molto tempo. Nel medioevo si sono gettate le basi di istituzioni come i Comuni, unità amministrative e militari che nel caso di Brisighella, legano la storia dei territori amministrati a luoghi fortificati come Ceparano, uno dei capisaldi della difesa territoriale, oltre che centro spirituale della comunità.
La Torre è stata descritta da vari autori, in genere canonici o studiosi di storie patrie e disegnata e raffigurata da più artisti, alcuni poi di particolare talento come lo scenografo Romolo Liverani o il pittore Giordano Severi.
La descrizione che segue cerca di raccogliere il materiale sulla torre frammentato in molte pubblicazioni, in una monografia, sicuramente non esaustiva, ma comunque punto di partenza per ricerche successive. Il testo più approfondito che ho potuto consultare è quello scritto da L. Bentini, S. Piastra, M. Sami sullo "Spungone" tra Marzeno e Samoggia. Il mio contributo è stato riprendere e approfondire studi, rileggendo i testi citati in note e bibliografie, trovando spunti originali interessanti. Sicuramente il mio auspicio è che questo monumento torni ad essere simbolo di orgoglio, di appartenenza e d'identità storica.




Fanino Fanini, di Emanuele Casalino


Che l'Italia del Cinquecento abbia ospitato (abitualmente nelle sue carceri o nei suoi cimiteri) un buon numero di italiani diventati protestanti (o "luterani", come allora si diceva) è ormai cosa nota quasi a tutti. Ma dato che quello è il secolo del Rinascimento, si tende  a mettere in rilievo soprattutto alcuni (anzi molti) grandi intellettuali che, malvisti e minacciati in patria, hanno saputo contribuire creativamente alla formazione dell'Europa moderna.
Unica eccezione: le comunità valdesi di Calabria, Puglia e Campania, massacrate o "convertite" per volontà del future "san Pio V": un valoroso manipolo di storici meridionali sta ricostruendo la loro storia dal Duecento in poi. A loro vada il nostro cordiale ringraziamento.
A dire il vero, c'e anche un'altra eccezione: i valdesi del Piemonte (o per essere più esatti delle valli pinerolesi) hanno fatto presto la loro "scelta calvinista" (Sinodo di Chanforan, 1532), ma quando Emanuele Filiberto Duca di Savoia, ha cercato di imporre loro armata manu la teologia e la disciplina della Controriforma, hanno risposto anche loro combattendo e, forzando il Duca (con 1'aiuto di un cattolico ecumenico) a una soluzione di compromesso: il cosiddetto "Trattato di Cavour". I valdesi erano ormai un "popolo-chiesa" e, come tali, poterono sopravvivere a un paio di massacri di massa (1655 e 1686) e più tardi affrontare le due maggiori "crisi creative" della storia d'Italia (il Risorgimento e la Resistenza); ma non erano (e non sono) un movimento.
Invece fin dal Cinquecento in Italia esisteva un movimento evangelico, ispirato al grande insegnamento della Riforma protestante, sia luterana che calvinista: questo movimento aveva un carattere marcatamente popolare.
È grande merito di Emanuele Casalino (che non a caso è pastore battista a Ferrara) avere messo in rilievo il carattere popolare del protestantesimo italiano del Cinquecento.
Ciò non gli impedisce di dipingere a tinte forti la realtà della Controriforma come si presentava nello Stato della Chiesa, da Roma fino a Ferrara e Faenza.
Il fornaio Fanino Fanini, come molti altri popolani del suo tempo, è morto martire della fede cristiana evangelica e questo bel libro ci aiuta a non dimenticarlo.

Giorgio Bouchard




Santa Maria Vecchia in Faenza, di Mattia Randi



Accogliere una pubblicazione sulla storia e l'arte della chiesa di S. Maria Vecchia in Faenza è un'iniziativa lodevole che mantiene vivo il legame con l'edificio che ci fa sentire comunità parrocchiale e ci aiuta ad apprezzare le ricchezze artistiche che i nostri padri ci hanno tramandato. Ringrazia per questo Mattia Randi che ha cercato, con pazienza certosina, dati e notizie che ci aiutano a conoscere e a conservare viva memoria della storia degli edifici che sono un po' la casa comune della nostra Parrocchia.
L'occasione e data dal restauro della cappella di San Bernardo di Chiaravalle, ad opera del Lioness Club di Faenza. Valerio Contoli ha consolidato il colore e l'oro dell’ intera ancona lignea e, con straordinaria sensibilità, ha ridato vita all'affresco trecentesco con una Madonna allattante in essa inserito.
Mantenere i luoghi di culto nel loro splendore è segno di cura e cultura di cui vogliamo essere orgogliosi perché sono testimonianza della nostra civiltà oltre che della nostra Fede.

Faenza, 16 ottobre 2017.

Mons. Roberto Brunato Amm.re Parrocchiale di S. Pier Damiano




  Faenza sotterranea, di Stefano Saviotti

Alla scoperta delle «viscere» della città
di Sandro Bassi

Pur senza la fascinosa complessità dei centri urbani più celebri (Napoli, Siena, Orvieto o, per rimanere vicini, Bologna o Santarcangelo), anche Faenza possiede ambienti sotterranei di tutto rispetto. Si tratta di cantine che non sempre coincidono con le proprietà soprastanti di condotte idriche antiche, di ghiacciaie, cripte, pozzi e qualche altro ipogeo arcane più o meno dimenticato. Per render l'idea della suggestione che il mondo infero, anche urbano, ha esercitato sulla fantasia popolare basterebbe citare la leggenda degli improbabili cunicoli che mettevano in comunicazione i conventi maschili con quelli femminili, pieni, manco a dirlo, di feti abortiti, di passaggi segreti per monache di Monza o Cassandre Pavoni assetate di sesso (mentre invece è noto come anche la nostra Cassandra non avesse alcun bisogno di cunicoli, potendo ricevere tranquillamente il suo Galeotto che entrava dalla porta principale). Lo stesso compianto Giuliano Bettoli, che una volta buttò giù un ironico articolo su frati e suore intenti a balletti rosa sotterranei, fu preso sul serio e investito da commenti tipo «io lo sapevo!» e «me l'hanno sempre detto!».
A spazzare il campo da leggende e fole, trattenendo invece tutto ciò che è scientificamente provato provvede oggi Stefano Saviotti con questo Faenza sotterranea (114 pagg., Tip. Valgimigli, 12 euro), freschissimo di stampa. Redatto dopo anni di studi, sopralluoghi e confronti e coordinato editorialmente da Renzo Bertaccini, il volume prende le mosse dalla Faventia romana, di cui restano diverse vestigia sotterranee documentate ma non visitabili (uniche eccezioni il resto del probabile Foro scoperto nel 1970 sotto l'albergo Corona, oggi magazzini Ovs, e il basolato in trachite nel locale-caldaia della Banca del Monte); recuperati e trasportati altrove sono poi alcuni lacerti di mosaici del IV-V secolo, di cui uno, quello di via Barilotti, recentemente collocate nell'atrio di Palazzo Mazzolani. Si passa poi alle cantine, argomento complesso perché riguarda almeno sei secoli di edilizia, dal Medioevo in poi, e foriero di leggende. In estrema sintesi basti citare alcuni casi visitabili e documentati da Saviotti: le cantine del Rione Rosso, della Sghisa, dell'Osteria del Mercato, e, mirabili per le volte a vela ribassate, fatte con la stessa tecnica dei forni, della biblioteca Zucchini, ex convento dei Celestini (XIV sec.).

Un breve capitolo sui fondaci della piazza, magazzini ipogei di varie epoche, e si passa alle gallerie «tra leggenda e realtà», coi citati casi «a luci rosse» e altri più seri, di comunicazione sottostradale e anche di ambienti non contigui (in Corso Garibaldi, via Contradino, Diavoletto, Borsieri, Santa Maria dell'Angelo, Ca' Pirota, Tomba e nelle piazze Lanzoni e Molinella). Infine, gli acquedotti: quello del Fonte Pubblico, di cui oggi resta il magnifico vano sotto la Fontana Monumentale, e il Canal Grande di origini antichissime (1184-1194), coperto e dimenticato nel '900 (ultimi interventi nella via omonima e in via Firenze fra 1952 e 1977). Saviotti non si ferma qui. Prende in esame anche fognature e chiaviconi, i resti della Rocca sotto l'Ospedale, i sotterranei delle mura, le ghiacciaie (ancora in piedi sono quella di parco Tassinari e, raffinatissima, la Rossi; meno conosciute quelle di palazzo Cantoni e del torrione di Montecarlo), chiese soppresse e cimiteri, l'oratorio dei Battuti Bianchi (sotto il Duomo) e le straordinarie cripte di Sant'Ippolito e Pieve Corleto. Nel panorama faentino un libro del genere mancava ed è proprio il caso di dire che ci voleva.





Palazzo Ferniani, di Sandro Bassi - Carlo Conti - Giulia Zoli  



Palazzo Ferniani rappresenta, nel suo insieme architettonico e decorative degli interni, una testirnonianza notevole di una stagione —  quella barocca — che vede la quasi totale trasformazione della città di Faenza nei suoi edifici religiosi e civili.
II vasto complesso sei-settecentesco della nobile famiglia dei Ferniani, trapiantatasi dalla terra del Frignano, è l'espressione del prestigio acquisito in città dal XVII secolo, anche per il contributo che l'illustre famiglia ha dato alla plurisecolare storia della ceramica faentina.
I Ferniani hanno sempre guardato oltre i limiti territoriali locali e ciò lo si attesta dalle scelte artistiche, soprattutto in direzione bolognese; lo stesso disegno dell'ala settecentesca della loro dimora — quella più imponente — si deve ad un prestigioso architetto, Alfonso Torreggiani, che rappresentava in Bologna uno dei protagonisti del rinnovamento architettonico della città, ma bolognesi sono anche gli scultori che eseguono la bellissima statua dell'Immacolata nella smussatura angolare esterna e parimenti di cultura prospettica bolognese sono le quadrature pittoriche del salone delle feste.

La presente guida di Sandro Bassi, Carlo Conti e Giulia Zoli, dal taglio molto agile, permette di compiere un percorso completo dell'edificio nei suoi aspetti esterni e nelle sale e negli ambienti interni, anche i meno accessibili, ed offre, attraverso una pregevole campionatura fotografica, la piena fruibilità di questa storica residenza patrizia.

Pietro Lenzini





Faenza nella Grande Guerra, di Enzo Casadio



l primo libro dedicato a Faenza durante la Grande Guerra: racconta le vicende della città e della popolazione in quei difficili anni, quando al dramma dei giovani costretti ad andare al fronte si aggiunse quello delle famiglie, in particolare le meno abbienti, quotidianamente alle prese con la difficile situazione economica. In città erano stati costituiti numerosi comitati sia per sostenere la popolazione civile, sia i soldati al fronte; funzionarono anche alcuni ospedali militari nei quali furono ricoverati oltre 20.000 soldati. A guerra finita furono intraprese varie iniziative per ricordare i caduti e gli eventi legati alla guerra: alcune lapidi, il Viale delle Rimembranze, la Chiesa dei Caduti e la Colonia di Castel Raniero.
In appendice sono riportate 771 schede di faentini caduti in combattimento, dispersi o morti per malattia, l’elenco dei decorati al Valore Militare e dei militari non faentini deceduti negli ospedali della città.
L’apparato iconografico è costituito da oltre 150 tra fotografie e documenti in gran parte inediti.













Il più antico viale di Faenza, di Giuseppe Dalmonte



     Stando alle cronache del tempo, lo Stradone non è nato da un piano urbanistico preventivamente delineato o da un progetto ben definito, ma è sorto dall’urgenza di far fronte alla grave miseria che imperversava in quegli anni a Faenza, in una difficile fase di transizione politica. Infatti, l’ingegnere distrettuale Guido Corelli, in un rapporto riservato del marzo 1816 al Podestà Nicola Pasolini, racconta che il 5 marzo furono intrapresi i lavori ‹‹della nuova Strada così detta Erbosa››, per ‹‹isfamare la popolazione›› e aggiunge che era impossibile contenere ‹‹il numero dei braccianti che spinti dalla fame, e dalle assicurazioni di alcuni Deputati, accorrono di buon mattino al lavoro, e minacciano seriamente quelli che pretendono di escluderli››.
Da una parte l’amministrazione cittadina aveva cercato di mitigare il grave malessere sociale distribuendo agli indigenti migliaia di minestre gratuite o a prezzi modici, dall’altra la nuova strada extra urbana deliberata dal Consiglio Faentino il 26 febbraio 1816, che collegava Porta Montanara al Foro Boario nei pressi di Porta Imolese, offriva un’occasione di lavoro a parecchie centinaia di operai giornalieri in attesa della buona stagione per portare a casa qualche mezzo di sussistenza.




Due faentini nel "servizio segreto" del Re Sole, di Miro Gamberini


     Francesco Serantini, nel 1931 nella rivista La Piê, presentando il libro “Azzurini” di Dionigi Zauli-Naldi, scriveva: “La vita di codesto personaggio [Andrea Azzurini] fu varia per molte vicende. L’editore sopra la fascietta che stringe il volume gli attribuisce pensieri di Casanova e di Cagliostro, forse con la recondita intenzione di paragonarlo a codesti avventurieri di stile. Evidentemente esagerava: Azzurini fu un uomo del suo tempo; voglio dire che, come lui allora ce n’erano molti”.
La vita di Andrea Azzurini è una sfida continua all’avventura e al lusso sfrenato nel frequentare gli ambienti nobili. Ė avido di gloria e di successo, vuole con ostinazione un incarico al servizio di qualche Cardinale con la funzione di diplomatico.
Nei “salotti” aristocratici, si esalta manifestando tutta la sua arroganza fino a commettere errori che  gli saranno fatali.
Fortunatamente tutto il carteggio degli Azzurini è giunto fino a noi; rinchiuso in quattro contenitori, è oggi conservato nella Biblioteca Comunale di Faenza, nelle carte dell’archivio Zauli-Naldi.
Il documento più antico è un istrumento su pergamena del 1141, importanti pure i testamenti di Giacomo Azzurini del 15 agosto 1510 e di Bartolomeo di Lancilotto del 21 luglio 1589. In due volumi manoscritti, identici nel testo, vi è raccontata la storia della famiglia con illustrazione di blasoni gentilizi e alberi genealogici del 1668. Seppure manchino importanti documenti come il passaporto reale rilasciato da Luigi XIV e il diploma di cavaliere dell’Ordine di San Lazzaro di Andrea Azzurini (ma vi sono copie degli stessi),  il resto dell’epistolario dal 1600 fino al 1730 è perfettamente conservato e consultabile.
Questo carteggio racconta la vita di Andrea, ne svela i lati più segreti di millantatore, mentitore, falsario, truffatore e spia. Personaggio dal fascino malizioso, conduce una vita egocentrica, le donne che conosce e ama sono solo affari di ordinaria amministrazione, atte a soddisfare il suo scopo, quello di rivestire un ruolo importante alla corte del Re Luigi XIV.
Dopo tre secoli di oblio, il primo protagonista che incontriamo nelle velate carte dell’archivio Zauli-Naldi è Antonio Azzurini, padre di Andrea, personaggio forte, tenace e risoluto nelle sue decisioni, comandante della Rocca di Faenza per 45 anni,  ma anche affettuoso e protettivo con il figlio.
É un eccellente e raffinato diplomatico  tanto da essere inviato come ambasciatore, con incarichi speciali, nei vari Stati Europei a trattare importanti questioni.
Ecco la storia come ci è stata tramandata dalla documentazione che andiamo a leggere.





I misteri di Faenza, di Rosarita Berardi


 Faventia, per gli antichi, oggi Faenza, la città sul Lamone, le cui origini si perdono nella mitologia, ha una storia lunga millenni. Nei suoi pressi si sono combattute battaglie delle guerre civili della tarda Repubblica romana, della guerra greco-gotica. Ha subito l'assedio di Federico II di Svevia e i saccheggi dei bolognesi e dei bretoni e ha scritto - resistendo per mesi alle forze del Borgia - una delle pagine più gloriose dell'intera storia di Romagna. È stata, sotto i Manfredi, una delle capitali dell'Umanesimo romagnolo. Ha visto camminare per le sue strade il grande Leonardo da Vinci ed è, da sempre, famosa in tutto il mondo per le sue magnifiche ceramiche. Tutto questo e tanto altro è noto. Questo libro, attraverso un mosaico di 15 tessere, intende ricostruire la storia di Faenza da una prospettiva diversa: vicende meno conosciute, misteriose, oscure, inquietanti e truci, ma anche divertenti e intriganti. Rosarita Berardi, con lo stile che la contraddistingue, ci offre un percorso curioso e suggestivo alla scoperta del lato oscuro della città manfrediana.

Rosarita Berardi; (Bologna, 1952), da quasi quarant'anni vive a Faenza. Operatrice culturale particolarmente sensibile alla promozione della lettura tiene incontri e conferenze e organizza dibattiti di approfondimento sui rapporti fra generi letterari e psicologia. Organizza, inoltre, laboratori di scrittura creativa. Collabora con riviste letterarie e testate locali ed è membro di giuria per concorsi letterari e poetici.

Poetessa e scrittrice, tra i suoi ultimi libri ricordiamo: C'erano due bimbe in cucina  (Mandragora, Imola), e, per i tipi del «Il Ponte Vecchio», Draghi e petunie e Stagioni (quest'ultimo con Massimo Buldrini), Il colore delle donne, Via del canto e dei rosai, La favola delle parole, Colori sommersi (con Daniela Perozzi e Cristina Ghetti) e l'audiolibro La cantastorie di Mondo disco.

 

In copertina,
Diamante Torelli difende le mura di Faenza...
G. Mattioli, Pinacoteca Comunale Faenza.






Granarolo Faentino - Fronte del Senio, di Remo Vassura



Questa pubblicazione si inserisce nel contesto delle manifestazioni
per il 70° Anniversario della Liberazione avvenuta, a Granarolo Faentino, il 4 gennaio 1945. La Comunità democratica di questo nostro paese, nelle sue più vive espressioni associative, culturali,    religiose, politiche, ricreative e sportive, ha inteso ricordare e celebrare l’Anniversario della sua Liberazione dall'invasore tedesco e nazista, oltre che dalla ventennale sciagurata dittatura fascista.
Quel tremendo e spaventoso periodo storico che portò grandi lutti, immani sofferenze e  distruzioni alle popolazioni che furono partecipi di quegli avvenimenti, culminato il 9 aprile del 1945 con il definitive assalto alleato alla "Linea del Senio", viene qui ricordato e rappresentato con questa pubblicazione che riguarda per l’appunto la sua "Battaglia del Senio". Queste pagine intendono rendere giustizia ai caduti alleati che a migliaia caddero nei nostri territori romagnoli e, in parte, sepolti nei cimiteri militari di Villanova di Bagnacavallo, Piangipane e Faenza.
I cittadini granarolesi, la popolazione romagnola e il popolo italiano nella sua interezza, rendono onore a quegli uomini e soldati straordinari, neozelandesi, canadesi, inglesi,   indiani, polacchi, scozzesi, irlandesi, maori, ecc. che, sbarcati in Italia dai paesi più lontani,  con  immenso sacrificio e abnegazione, si batterono fino alla morte per la nostra libertà. Assieme a questi valorosi ricordiamo i soldati del rinnovato esercito italiano e i patrioti romagnoli della 28a brigata partigiana di Bulow.
Nei confronti di questi straordinari ragazzi e uomini, infinita ed eterna riconoscenza.

Remo Vassura




Il Cinquecento, a cura di Anna Colombi Ferretti - Claudia Pedrini - Anna Tambini


La pubblicazione riempie un vuoto nella storiografia dedicata all'arte faentina: il secolo XVI fino ad ora non è stato tra i periodi più indagati dagli studiosi, che hanno invece privilegiato altri momenti come il periodo rinascimentale della Signoria Manfredi o l'età neoclassica e il periodo del primo Novecento. Non sono in realtà mancati studi specialistici su singoli artisti o singole opere; ma una profonda analisi sul percorso storico delle arti a Faenza nel primo '500 che svelasse la complessità del momento, il ruolo dei pittori faentini, delle influenze e delle presenze di apporti eterogenei, secondo un taglio scientifico sorretto da un importante intento divulgativo. Il volume, pubblicato da Edit Faenza, è attento in modo particolare all'attività di tredici pittori. Dei pittori che hanno operato a Faenza agli inizi del secolo ha scritto Anna Colombi Ferretti che ha esaminato in particolare Marco Palmezzano, Giovanni Battista Bertucci, Michele Bertucci, Lorenzo Costa e Francesco Zaganelli. 
Anna Tambini ha analizzato specificatamente altri quattro pittori attivi nella prima metà del Cinquecento: Carlo Mengari, Sebastiano Scaletti, Sigismondo Foschi e Antonio di Domenico detto Antonio da Faenza. Un capitolo è stato dedicato da Anna Colombi Ferretti a Girolamo da Treviso e Francesco Menzocchi, due pittori che hanno lavorato nella Commenda in Borgo e infine Claudia Pedrini ha scritto di Gaspari Sacchi e Innocenzo da Imola, due diversi pittori raffaelleschi per Faenza. Grazie all' autorevole e approfondito apporto delle autrici il volume è nel complesso riuscito molto ricco e articolato, con un completo apparato iconografico che per la prima volta mostra in modo esauriente gli esiti della pittura faentina del primo Cinquecento. Molto interessante a questo proposito è stata anche la ricostruzione della dispersione del patrimonio che ha consentito di recuperare e riunire, almeno in una documentazione cartacea, opere che sono state prodotte e conservate a Faenza per secoli e che ora sono disperse in varie nazioni europee come Austria, Germania, Ungheria, Francia, Irlanda e Inghilterra o anche in altri luoghi più lontani come Honolulu, Boston e Baltimora.
Il volume è realizzato dalla sezione di Faenza di Italia Nostra, con il sostegno della Fondazione del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza e della Fondazione della Cassa di Risparmio di Ravenna.




La chiesa di S. Maria in Basiago, di Luisa Renzi Donati




Questo lavoro è nato dall'amore della Comunità di Basiago per la sua chiesa. È stato il desiderio di conoscerne la storia e le opere d'arte che essa conserva a spingere Tonino Panzavolta a contattarmi. Lo ringrazio per la fiducia che mi ha accordata, ed anche perchè mi ha permesso di venire a contatto con tante persone gentili e appassionate, come Milva, Debora, Alexia, Silvana, Alessandro, Giovanni, Massimo, sempre pronte a fornirmi l'aiuto che di volta in volta ho chiesto loro. Perché io Basiago la conoscevo poco più che per nome.

Spero di non averle deluse, ed anche che questa pubblicazione possa risultare gradita a tutti i parrocchiani.
Nell'esposizione ho cercato di essere semplice e piana, rimandando gli approfondimenti alle note, di facile consultazione perché poste a piè di pagina, e poiché si tratta di un opuscolo che ha scopo divulgativo, ho ritenuto di non "appesantirlo" con la bibliografia e l'indice del nomi in fondo.
Ho descritto anche "cose" ritenute tradizionalmente "minori" perché, con don Antonio Savioli, sono convinta "che esse siano importanti nel quadro di una presenza vivente del monumento in mezzo ad una comunità non tanto di esteti quanta di credenti".


Luisa Renzi Donati





Faenza l'Osservanza, di Sasco Zanzi






In questo volume Sasco Zanzi ci mostra la città dei morti così come l'hanno pensata e realizzata i vivi. Si tratta del cimitero dell'Osservanza di Faenza (attivo dal 1816), più volte ampliato e rimaneggiato, ora descritto fotograficamente nei suoi monumenti artistici e architettonici, colto nella sua gerarchia degli spazi, nella sua costruzione delle identità cittadine, nei suoi equilibri tra potere laico e potere religiose. Lapidi, tempietti, croci, pietre tombali, sentieri, arcate, piazzette, cortili, giardini, cipressi tutto torna a "ri-vivere" grazie al gusto artistico di Sasco, che non solo riesce a farci vedere le valenze simboliche e allegoriche, ma anche le tracce della secolarizzazione, assieme all'inquietudine che la morte produce da sempre su chi resta. Dunque, una brillante guida a questi monumenti, alcuni realizzati da noti artisti non solo locali.

Maurizio Tagliaferri




Galleria dei Cento Pacifici, di Marcella Vitali



Il restauro della Galleria dei Cento Pacifici come ambiente di prestigio nell'ambito degli spazi destinati a Ridotto del Teatro deve essere considerato esempio di recupero e valorizzazione di un patrimonio pubblico di grande valore ma allo stesso tempo un mezzo per avvicinare questo spazio privilegiato alla città, grazie al processo di partecipazione di diversi enti ed associazioni che hanno data il proprio contributo per il buon esito della iniziativa. L'importante presenza a Faenza di un patrimonio culturale ricchissimo e unico, intrecciato ad un tessuto urbano di pari valore, testimonia la nostra identità storica ricordando costantemente ad ognuno di noi di far parte di una storia collettiva. Questo il motivo che anima da oltre cinquant'anni le attività della Sezione di Faenza di Italia Nostra, consapevole dell'importanza della salvaguardia del patrimonio culturale del territorio e della sua stessa valorizzazione; e poiché il problema della tutela è indissolubilmente legato alla conoscenza, si ritiene che il momento del recupero di questi ambienti possa costituire una preziosa occasione per divulgare ad un più vasto ambito quanto gli studi e le scoperte ci hanno messo a disposizione. 

Una pubblicazione che intende essere strumento di conoscenza, funzionale alla consapevolezza della necessità di preservare e aver cura di un luogo unico che, stando alle intenzioni della committenza, avrebbe dovuto assumere il ruolo di Tempio della Pace, secondo un progetto che rifletteva l'idea di un vero e proprio programma civile.

II Consiglio Direttivo
Italia Nostra - Sezione di Faenza




Le mura di Faenza, di Stefano Saviotti





Questo volume rappresenta il primo studio specifico dedicato alle fortificazioni della città di Faenza: le mura altomedioevali, la Rocca, la cinta manfrediana dalla costruzione sino ad oggi. E inoltre approfondimenti sulle porte, sul Ponte delle Torri (ricostruito in dettaglio sulla base delle antiche perizie) e sui torresini più importanti.

La rigorosa narrazione delle vicende storiche si alterna con aneddoti, curiosità, personaggi ed usanze dei tempi passati; il tutto è ampiamente illustrato con disegni di Romolo Liverani, fotografie d’epoca della Fototeca Manfrediana e planimetrie dettagliate che permettono al lettore d’inquadrare con precisione le trasformazioni subite dalla cinta muraria nel corso del tempo.






La famiglia Caldesi in via Manfredi, di Vittorio Maggi





Il titolo di questo libretto “La famiglia Caldesi in via Manfredi” non è una scelta casuale ma una piccola forzatura determinata dalla incertezza nonché da pareri discordanti nati ultimamente attorno al nome che si sarebbe dovuto assegnare al palazzo in cui i Caldesi hanno abitato. Dalle prime notizie degli antichi storici sostenute fino ai giorni nostri che indicano il palazzo dei Manfredi, alla tradizione più popolare che lo indica come il Palazzo  dei Caldesi, alle ultime rivelazioni di Lucio Donati che assegna il fabbricato ai casati Bazzolini-Viarani, in questa assoluta incertezza ho preferito non dare un nome al palazzo, che sarebbe stato comunque irriverente nei confronti di una famiglia o dell’altra, indirizzando il racconto verso una breve storia della famiglia Caldesi che abitò in quel palazzo di via Manfredi.

   Le date e gli avvenimenti sono stati tratti in massima parte dalla consultazione di documenti e atti notarili conservati presso l’Archivio di Stato di Faenza; di Censimenti delle Anime presso  l’Archivio Vescovile e l’Archivio Parrocchiale di S.Agostino e sono riconducibili ai personaggi citati nel testo. Tuttavia durante la ricerca sono stato più volte obbligato a interpretare i documenti consultati concedendo spesso al racconto un po’ di fantasia e quelle considerazioni personali che ricavavo leggendo gli atti. La storia dei Caldesi, per quanto inserita nel contesto della storia del palazzo, si distingue nel testo dalla stampa in grassetto.   




2001 Romagna, numero centoquarantatre, dicembre 2014




La Rivista
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Da quattro anni ormai da rivista trimestrale 2001 Romagna è diventata un volume di tutto rispetto che esce a S. Pietro e a Natale. La trasformazione, però, non ne riguarda l'anima, fedele a personaggi, fatti, foto e racconti della nostra gente e della nostra terra. Continuano, e sono due anni, le collaborazioni con Brisighella e Castel Bolognese, oltre quella più annosa con Granarolo, che ci auguriamo vi risultino interessanti e gradite. Per le fotografie ricordiamo il prezioso contributo della Fototeca Manfrediana. L’inserto di 48 pagine di storia faentina dal titolo: "Canali, chiuse, mulini e lavatoi a Faenza e dintorni", contiene 11 capitoli tra i quali la Chiusa di Errano, la Cartiera, la Casetta alle Bocche dei Canali, e ben 47 immagini, tra foto, disegni e piante. Qui di seguito le firme e i titoli degli argomenti trattati in questo numero:

INDICE
Ugo Piazza: E pasa e front
G. Bettoli : Chiara Dal Borgo: da Faenza a ballare nel teatro di Lucerna
M. Gurioli: Mauro Platani e La Bānda de' Grel 
S. Cortesi: In ricordo di Giuseppe Tampieri grande artista faentino
V. Rava: Giuseppe Tampieri litografo
Fototeca Manfrediana: La piazza del Popolo di Faenza   
M. Pini: Casa Magnana
S. Bassi: I pini del faentino. Un patrimonio storico e paesaggistico da tutelare
E. Casadio, M. Valli: La sirena di allarme
V. Casadio Strozzi: Una classe di artisti
A. Cornacchia: I sogni piccoli
Suor Stefania Monti: Una domanda attuale
C. Missiroli: Paolē dla Roca l'ultimo castellano
V. Donati: Le antiche confraternite di Castel Bolognese
Gli amici della Commenda: Cinquecento anni fa Fra Sabba da Castiglione alla Commenda
R. Vassura: Lo zuccherificio di Granarolo Faentino
G. Bettoli: Questa faccia non e la faccia di Dino Campana! E la faccia di FilippoTramonti!!!
R. Bertani, S. Marchi, M. Montevecchi: Un patrimonio ancora in parte sconosciuto: la fototeca della nostra biblioteca
G. Bettoli: Quando a Faenza fecero il "Mangelli"
G.Bettoli, E. Casadio, M. Valli: 70 anni fa: dicembre '44 Faenza è libera
M. Gamberini: La battaglia di Santa Lucia 17giugno 1145
E. Foschi: Appesi al Ramo della Conoscenza: ma chi ha mangiato il frutto proibito dell'Albero dell'Eden...?
V. Castellari - A. Rabiti: Le ricette della Cencia

M. Gamberini - S. Saviotti: Canali, chiuse, mulini e lavatoi a Faenza e dintorni (inserto)        




Il Liceo dipartimentale napoleonico e le altre scuole del distretto di Faenza, di Giuseppe Dalmonte



   Nel periodo napoleonico, l'istruzione pubblica fu un tema non secondario della riorganizzazione amministrativa e statuale basata sul modello francese. Solo apparentemente effimera, l'esperienza ha costituito la base del sistema scolastico italiano a partire dall'Unità. A Faenza, che vive in quegli anni uno straordinario fermento culturale, fra archi di trionfo per Napoleone e leggiadre dimore neoclassiche, questa continuità è anche fisica: II Liceo Classico Torricelli ancora oggi ha sede nello stesso edificio dove vide la luce il Liceo dipartimentale, e ne è quindi erede diretto.
Grazie a una ricca documentazione d'archivio, Dalmonte fa della Città delle Maioliche un case study, ricostruendo i primi passi della moderna istruzione pubblica aperta a tutti, che rivoluziona un'offerta formativa fino a quel momento ancorata ai modelli della Scuola comunale e del Seminario diocesano. Fra le novità, maggiore attenzione alle discipline scientifiche, libri di testo più moderni e aggiornati, adozione del sistema metrico decimale, mentre lo studio della lingua francese modernizza l'approccio alle discipline umanistiche. Nuove disposizioni per gli insegnanti censurano l'uso delle percosse nella correzione degli allievi e il ricorso al dialetto nelle aule scolastiche. Funzione dei licei dipartimentali era la formazione del candidati alle Università, concentrate nelle sedi di Bologna, Pavia e Padova. Nell'arco di pochi lustri si delineò un modello di istruzione pubblica controllata dallo Stato e ordinata gerarchicamente, dalle scuole primarie all'Università, destinata a rimanere un riferimento per il futuro, aldilà delle contingenze che ne decretarono la precoce chiusura.




Guardando dal campanile di S. Maria Foris Portam in Faenza, di Giuliano Vitali







Ho visto la chiesa di S. Maria foris portam per la prima volta in occasione di una cerimonia, il battesimo di mio nipote Edoardo. Avendo la curiosità di sapere la storia di questo luogo sacro, ho sollecitato Giuliano Vitali a riunire tutte le notizie che si potevano trovare su questo luogo in un libro, che avesse un carattere divulgativo. L'opera racconta ciò che accadde attorno alla chiesa che fu la prima cattedrale in Faenza.

Conoscere la storia dei luoghi in cui viviamo, ci arricchisce e stimola la ricerca della nostra radice culturale.
Mi auguro che la lettura di questa singolare storia di un luogo della nostra città, possa favorire la ricerca dell'evoluzione faentina nei secoli passati.

Patrizia Domenicali






Il principe e il suo sicario, di Gigi Monello



Roma, Settembre 1499, Rodrigo Borgia, in arte Papa Alessandro VI, volendo metter fine al secolare disordine del suo stato, dichiara decaduti tutti i vicari di Romagna; di nome feudatari, di fatto piccoli re. Con l’apparenza della ragion di stato, ma in realtà per libidine di grandezza, dato a suo figlio Cesare il comando delle milizie, lo incarica di recuperare le antiche dipendenze, concedendogli di farne un dominio tutto suo. Uno dopo l’altro, i signori romagnoli ora scappano, ora son travolti, ora patteggiano la deposizione. La sola Faenza si prepara ad opporsi e a difendere strenuamente il governo dei Manfredi. Attaccata nel Novembre 1500, la città resiste sino all’Aprile successivo, quando, ormai sul punto di essere presa con la forza, onde evitare le brutture del sacco, capitola ad onorevoli condizioni. Andato a visitare il vincitore, forse circuito dalla sua affabilità, il giovanissimo Astorre accetta di restare con lui. Compiendo l’atto che lo perderà per sempre. Per un anno prigioniero in Castel Sant’Angelo, una notte il disgraziato scompare. Il 4 giugno 1502 il Tevere ne restituisce il cadavere. Non ha ancora compiuto diciott’anni.

 
Gigi Monello (Cagliari, 1953) insegna filosofia e storia in un liceo Cagliaritano. Tra i suoi scritti, “Le conchiglie a Monte Mario” (Firenze, 1995), “Accadde a Famagosta, l’assedio turco ad una fortezza veneziana” (Cagliari, 2006), “L luce nel fosso, tre racconti su Leopardi e Napoli” (Cagliari, 2007), “Ombre e Viaggi” (Cagliari, 1999), “Voci e Viaggi” (Cagliari, 2003), “Sonni & Viaggi” (Cagliari, 2011).




L'antica strada da Faenza a Firenze, di Lucio Donati


II presente saggio dimostra come i toponimi migliari attestati lungo la strada tra "Faventia" e "Florentia", della quale si ha testimonianza diretta solo nell'Itinerarium Antonini di inizio III secolo, non possono riferirsi al miglio romano (metri 1478 circa), ma ad un quasi sconosciuto "miglio romagnolo" (metri 1700 circa).
Negli ultimi decenni lo studio per l'individuazione della rete stradale del passato ha fatto registrare un più accurato utilizzo delle discipline e dei dati utili allo scopo, per cui si è riconosciuto un maggior numero di percorsi e si è visto come l'importanza di alcuni di questi sia mutata nei vari periodi storici e come taluni tratti possano essere addirittura scomparsi; si tenga comunque presente, ad esempio, che l'elemento probante per il riconoscimento della cosiddetta "Flaminia minor", almeno nel versante bolognese, è il dato archivistico, essendo stata denominata "Flamenga" (o varianti) al pari della "Flaminia maior” in territorio marchigiano e umbro: dare eccessiva importanza alla presenza di pievi, monasteri ed ospitali di epoca medievale puo essere fuorviante



L'età Neoclassica a Faenza, a cura di Franco Bertoni e Marcella Vitali



   

Il volume documenta l’eccezionale momento culturale e artistico che segnò in maniera indelebile la città di Faenza tra il 1780 e il 1820, ovvero il periodo di affermazione di una cultura neoclassica tesa a ribadire il primato dell’antico. Poche città ebbero la fortuna di assistere a una vicenda tanto intensa e ricca: l’eccezionale fioritura di edifici, dipinti, sculture, decorazioni e arredi – in un fervore che coinvolge artisti e botteghe artigiane di alta specializzazione – fu espressione della volontà di un rinnovamento in senso moderno oltreché di ambizioni di prestigio e legittime aspirazioni a un ruolo da protagonista.
Dopo il grande successo, non solo locale, delle architetture realizzate da Giuseppe Pistocchi con l’aiuto dello scultore Antonio Trentanove, le grandi famiglie gareggiarono nella sistemazione delle proprie dimore. Si imposero così Giovanni Antonio Antolini e Pietro Tomba in architettura, la bottega dei Ballanti Graziani in scultura, e Felice Giani in pittura. La singolare, perfetta integrazione tra le arti costituisce l’essenza più profonda di questo periodo, contrassegnato da eleganza, equilibrio, misura e buon gusto.

Testi: Andrea Emiliani, Franco Bertoni, Marcella Vitali





Faenza 14 itinerari per scoprire la città e il suo territorio, di Sandro Bassi

Copertina del libro


Dettaglio dell'organo della chiesa del Suffragio, immagine tratta dal libro.
La Faenza che non t'aspetti.
La Faenza che continuamente si rinnova e si propone con un volto sempre nuovo agli sguardi di chi I'incontra, di chi la visita, di chi la vive e la vuol vivere. Per la prima e per la millesima volta.
La «Città delle ceramiche» nota in tutto il mondo emerge cosi dalle parole di Sandro Bassi e dalle immagini di Fabio Liverani in questo libro che non è soltanto una guida sentimentale di un paesaggio umano ed ambientale affascinante e originale, ma una storia attraverso quattordici itinerari tra i luoghi cittadini e del territorio di Faenza - le strade, le piazze, le chiese, i musei, i parchi, le pievi, le pietre... -, che ne evidenziano identità, peculiarità, originalità - ad esempio, il Palio del Niballo - e curiosità, insieme alle caratteristiche «classiche». E, di conseguenza, fanno emergere il vissuto e I'appartenenza della comunità, di uomini che agiscono nella storia, antica e contemporanea, così come intervengono sul turismo, comunicando la domanda di senso, la rinnovata bellezza, la presenza del meno conosciuto, del «minore», dell'ignoto, del Mistero... Una Faenza di oggi con le sue tracce di ieri, ma anche con i suoi segnali di domani, per dare forza e libertà al presente, per mantenerne viva la memoria, per invitare a stare, a ritornare, comunque ad andare per scoprire in un cammino che si ripete e cambia nello stesso tempo, che matura, così come accade alle persone attente a ciò che fanno, al tessuto urbano che le circonda, alle circostanze che succedono e vanno affrontate.
Davvero un percorso nuovo e originale, esaltato dalle immagini, che si rivolge a tanti. A coloro che non hanno mai visitato Faenza e i suoi luoghi più noti - dal Duomo alla Fontana Monumentale, dalla Biblioteca Comunale alla Torre dell'Orologio... -, oppure a coloro che amano la cultura urbanistica e sociale delle chiese - le strutture portanti, i campanili, cosi come i dipinti, le sculture, gli altri elementi dell'iconografia cristiana che ne permea pietre e colonne..., o, ancora, a chi ama la cultura delle memorie - le opere d'arte e i cimeli storici esposti in altrettanti palazzi storici, musei essi stessi: dal Museo Nazionale Neoclassico alla Pinacoteca, dal Museo Internazionale delle Ceramiche e dal «Zauli» al «Diocesano», ma senza dimenticare il «Bendandi» e quello di «Scienze naturali».
Ci sono altresi percorsi che meritano un capitolo a se, come quello relativo al Teatro «Masini», o all'«Osservanza», al «Borgo», ma sono i percorsi «fuori porta», quelli «fuori» dalle mete tradizionali dei turisti o dei visitatori classici, che quando si imbattono in queste «occasioni» non possono che dare corpo allo stupore, alla meraviglia, al "che cosa mi sono perso finora", alle risposte a domande lasciate come in sospeso: "Una città cosi verde come Faenza, vuoi che non abbia alberi secolari? Vuoi che non abbia alberi mediterranei?" Certo che li ha, in città e fuori, come testimoniano, ad esempio, I'ltinerario 7 e I'ltinerario 10. "E le chiese? Ci sono soltanto quelle grandi della tradizione, o sono presenti anche quelle delle piccole comunità?" Ci sono anche le «pietre vive» delle campagne, dei secoli antichi, come le pievi, come la
«capanna di Sarna», la chiesa duecentesca di Marzeno, (Itinerari 8 e 11) i «ruderi» di Ceparano, la «chiesa dei Lebbrosi», la «tomba di San Barnaba», la cripta romanica di Pieve Corleto (Itinerari 12, 13 e 14) e perfino la quattrocentesca torre di Oriolo dei Fichi (Itinerario 9), che a guardarla da un lato sembra quadrata, da un altro pentagonale, mentre è esagonale, un esagono «inusuale» assolutamente da visitare... Buona lettura e... arrivederci a Faenza!

Giovanni Malpezzi
 Sindaco di Faenza

Massimo Isola
 Vice Sindaco e Assessore alla Cultura


Italiani bocciati in geografia (e in cultura generale)
di Giuliano Vigini

Chissà se gli italiani intervistati anni fa, alla domanda "Che cos'è il
Decamerone?" (1.Un libro di novelle 2.Un appartamento di 10 stanze 3.Un vino rosso 4.Un tipo di autobus), oggi risponderebbero ancora per il 36% "Un vino rosso" e per il 29% "Un appartamento di 10 stanze". O alla domanda: "Chi ha scritto Il nome della rosa?" (1.Ernest Hemingway 2.Sean Connery 3.Aldo Busi 4.Umberto Eco), metterebbero ancora al primo posto Sean Connery (47%) e soltanto al terzo posto Eco (18%). Si spera di no, ma non si sa mai, perché, anche se l'istituzione si è alzata, il livello di cultura generale resta basso. E' sufficente che uno segua il programma televisivo l'eredità, dove, ad esempio, le domande di geografia dell'Italia rivelano la non conoscenza che i concorrenti hanno del loro Paese. In queste condizioni, voi capite che la lettura di libri è già un miracolo.


Da: Il Corriere della Sera, domenica 18 maggio 2014.

"Il mio unico dovere nei confronti della storia è di riscriverla", Oscar Wilde.



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