Il pino di Oriolo dei Fichi
di Sandro Bassi
II
pretesto per quest'articolo, altrimenti del tutto descrittivo, è un
fatto di cronaca recente: nell'agosto 2014 è stato abbattuto il
"decano" dei pini, ma forse degli alberi in assoluto, dell'intero
territorio faentino. Si tratta - si trattava - del pino di Oriolo del
Fichi, il più vecchio e il più grande (e, va da se, il più importante
se non il più bello) di un gruppo di quattro Pinus pinea vegetanti ai
piedi del torrione e costituenti una cornice ambientale inscindibile da
esso. L'albero era giunto ad una sorta di capolinea, sia per ragioni
biologiche (la specie è longeva, d'accordo, ma non piùdi tanto), sia
per improvvidi interventi umani, il più nefasto dei quali nel 1986
quando, per il cantiere di restauro alla Torre, venne aperta una strada
che passava letteralmente a ridosso del tronco. La pianta riportò gravi
danni alla base, su una bella fetta di fusto (al punto che poi sulla
ferita venne appiccicata una "toppa" in cemento su cui venne incisa una
scritta commemorativa dei restauri stessi), ma soprattutto
sull'apparato radicale che, come ben noto, in Pinus pinea è molto
superficiale e altrettanto delicato. Difficile valutare in quale misura
abbia influito l'errore umano, o meglio: è certo sia stato pesante
perché le parti aeree corrispondenti alle radici danneggiate si
seccarono poco dopo l'intervento, ovviamente senza rimedio, e questo
portò ad un progressive, pericoloso sbilanciamento della chioma, al
punto che il Servizio Comunale Giardini, responsabile dell'area verde
(di proprietà, appunto, municipale), è stato costretto, dopo dolorose
valutazioni, all'abbattimento. Dolorose anche perché la pianta era
protetta ai sensi della legge regionale n. 2/'77 in quanto riconosciuta
come "esemplare monumentale, di pregio paesaggistico e storico, oltre
che naturale".
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La Torre di Oriolo in tre disegni di Romolo Liverani.
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A
sinistra la Torre di Oriolo in un disegno di Pio Rossi del 1913, al
centro disegno di Tommaso Dalpozzo, a destra la Torre di Oriolo e il
Pinus pinea in una foto degli anni '70.
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Impossibile
dire se al capolinea biologico si sarebbe arrivati comunque, anche
senza errori umani, perché in effetti l'esemplare era molto vecchio:
compare gia grande in un disegno di Romolo Liverani databile attorno al
1840 e per tradizione (non documentata, ma verosimile) era ritenuto la
prima pianta messa a dimora dai Caldesi dopo aver ottenuto la Rocca in
enfiteusi, nel 1771 ( Stefano Saviotti, Oriolo. La storia “minore” di
una comunità rurale e della sua torre, Tip. Faentina editrice, 1990).
Oggi restano gli altri tre pini, certamente importanti e magnifici
anch'essi, un poco più giovani - Saviotti (cit.) li ritiene piantati
nel corso dell'Ottocento, quando i Caldesi usarono la Torre come
residenza estiva - e anch'essi vincolati, anzi, vincolati assieme al
gigante scomparso poiché formavano con lui un insieme unitario.
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