La statua dimenticata |
"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici. |
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La statua dimenticata
di Andrè Maurel Il 4 gennaio 1914 il settimanale faentino Il Piccolo pubblica su suggerimento di un “assiduo lettore” il seguente articolo preceduto da una breve lettera
Dopo un secolo lo riproponiamo noi di Historia Faentina “E’ graziosa Faenza. Ma perché una città è graziosa? Da che passeggio in Italia ne ho visto un centinaio. E ogni volta mi sono chiesto, senza mai trovare una risposta precisa ed esauriente, quali siano i segni evidenti e incontestabili che spiegano il fascino di una città. Forse i fogliami che ci accolgono all’arrivo; la prima impressione agisce fortemente ed esercita la sua influenza durante tutta la visita.Forse anche una certa apertura di strade, la pulizia delle case, l’eleganza degli abitanti. Ma, sopratutto, credo, la disposizione del momento, la città che avete visitato per ultima e che non vi è piaciuta e, perché no, la sorpresa di non urtare alle medesime contrarietà e, chissà, l’ora della visita, prima o dopo il pranzo, la fatica sofferta o il riposo goduto, la speranza di un buon alloggio o il fatto di averlo trovato. Una città è graziosa per mille piccoli particolari indefinibili… l’aspetto generale delle strade l’imprevisto della distribuzione degli edifici e del loro insieme, mille cose vaghe e che piacciono. Faenza mi è sembrata, almeno nell’ora del mio arrivo, e nelle condizioni morali e fisiche in cui mi trovavo nell’entrarvi graziosa. Subito, uscendo dalla stazione, ho sorriso agli alberi del bel passeggio dalla strada ferrata alla città e sotto ai quali mi riposerò in attesa del treno. Banchine che invitano a sedervisi, benché poca cosa, rendono quel passeggio più gradevole. E poi ho provato una piccola soddisfazione. Anche questo è un elemento di piacere… ho scoperto un pittore; anzi due. E cioè di quel pittore, se non sconosciuto, nulla dicono le raccolte speciali. Burckhardt fra gli altri, ed è strano, non ne parla! Sorprende Burckhardt in fallo ! Qualchevolta si sbaglia, ma non dimentica nulla. Questa volta l’ho colto in fallo e me ne vanto.
Questo pittore, questi pittori si chiamano Bertucci, Gianbattista e Giacomo, quest’ultimo chiamato anche Jacopone da Faenza, mediocre, declamatore senza vigore, volgare senza accento; pittura industriale. Ma l’altro, Gianbattista, è un maestro! La sua Adorazione dei magi è uno dei quadri più impressionanti che abbia visto, per la potenza del disegno, per l’arditezza armoniosa del colore. Risente il Perugino, ma nelle qualità buone; tutti i suoi pregi, senza difetti di languore.Una sala interna del Museo di Faenza è piena di quadri dei Bertucci. La gioia di scoprire quadri così belli, perduti in fondo a una piccola città abbandonata, è un sollievo in viaggi minuziosi, tanto spesso deprimenti. Vi dà un nuovo vigore, vi incoraggia a nuove fermate che avevate voglia di dire superflue, a risparmio di fatica. La sala Bertucci del Museo di Faenza è un raggio di sole in questo viaggio in Romagna: sento che un giorno dovrò tornarvi per riscaldarmi di nuovo.L’intiero museo del resto merita di essere visitato. Un interessante Gesù sotto la croce del Palmezzano che vedrò a Forlì; un Luca Giordano saporito, una Sacra Famiglia vellutata e di una delicatezza squisita, che mi riconcilia con questo napoletano, che, del resto, avevo distinto dalla banda di malfattori attaccati alle calcagna del Domenicanino; in una sala una raccolta di maioliche, le celebri maioliche di Faenza, che si distinguono dalle altre di Romagna, per il loro bleu di una tenerezza meravigliosa, di una tinta così fine; povere maioliche in pezzi, pietosamente raccolti; e finalmente due Donatelli, un San Girolamo e un San Giovanni Battista. Non basta questo per fermarsi un istante e per dire Faenza una città graziosa?
Quando Cesare tornò nell’Aprile del 1501 il tempo non aveva composto nulla. L’assedio fu posto di nuovo e Faenza si mostrò così valorosa che strappò un grido di ammirazione a tutta Italia, di cui Isabella d’Este, duchessa di Mantova, riassunse la gioia con la celebre frase: “i faentini hanno salvato l’onore d’Italia”. Salvarono l’onore, ma erano allo stremo di tutto. La città moriva di fame: Cesare lo seppe da disertori che fece impiccare per la réclame e aspettò. Dopo avere consultato gli Anziani, Astorgio nella notte dal 21 al 22 aprile si presentò al campo di Cesare e propose la pace, Cesare fu magnanimo. Giurò di non recare nessuna offesa alla città, da cui sperava fedeltà e sussidi, contentandosi di occupare la rocca. Ad Astorgio, l’idolo dei faentini, lasciò la vita, libero di recarsi ove più gli piaceva. Il condottiero Paolo Orsini, agli stipendi di Cesare, si rese garante di tanta mansuetudine. Ma che può fare un condottiero quando la guerra è terminata, se non andarsene? Orsini partì e Astorgio, che Cesare carezzava, il giovane e ingenuo ragazzo sedotto dalla benevolenza di Cesare rimase. Le cortesie si moltiplicarono e Astorgio non finiva dal lodare la magnimità del Borgia; l’avrebbe seguito in capo al mondo. Cesare si contentò di condurlo a Roma. E spinse i riguardi fino a dargli un alloggio in Castel S. Angelo, quello stesso in cui Caterina Sforza sarebbe morta se Yves d’Allégre non avesse imposto la sua liberazione. Astorgio resistè un anno intiero e siccome non mostrava nessuna disposizione a morire da solo, il 9 giugno 1502 Cesare lo fece gettare nel Tevere. Nel passato, sulla spiaggia d’Anzio e nel Mercato di Napoli, vidi soccombere e morire un bravo giovanetto che scontava gli errori degli antenati e le ingordigie scatenate contro di lui. Corradino rimase una delle più commoventi immagini della storia e della leggenda. Il bello e amabile Astorgio merita di essere collocato presso Corradino. Non è morto come lui davanti al suo popolo al quale non ha potuto gettare un guanto che venisse raccolto e portato al suo vendicatore. La sua morte oscura è una nuova ingiustizia alla quale non dobbiamo associarci. Senza dubbioparla in favore di Corradino e d’Astorgio solo la loro giovinezza. Che avrebbero fatto se fossero vissuti? Non si può dir male di loro supposizione. Astorgio, il bello adolescente, intrepido e fiducioso, renderà sempre Faenza oggetto della nostra commozione. Napoli ha eretto una statua a Corradino. Come mi parrebbe ancora più graziosa Faenza se nella sua piazza fosse eretta la statua di Astorgio MAUREL, André. - Scrittore francese, (Parigi 1863 - Parigi 1943). Critico d'arte ottiene un'enorme successo con la pubblicazione di libri in cui descrive le sue impressioni di viaggiatore nelle città italiane, pieni di annotazioni storiche con descrizione dettagliata dei monumenti. Con ardente simpatia e con vivacità pittorica il Maurel ha scritto sulle Petites villes d'Italie (4 serie, 1906-1911); Un mois à Rome (1909); La Sicile (1910); Quinze jours à Naples (1912); Paysages d'Italie (1912-1932); La jeune Italie (1918); L'art de voyager en Italie (1920); Un mois en Italie (1921); Les délices du pays des doges (1929), ecc. Ha scritto inoltre; Souvenirs d'un écrivain, 1883-1914 (1925); La duchesse du Maine (1928); La marquise du Châtelet, amie de Voltaire (1930), ecc. |
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