Il monumento funebre di Giovanni Battista Bosi
di Giuliano Bettoli - Miro Gamberini
Quando
andate in Duomo, ci avete mai guardato bene a quella faccia tosta del
cav. Bosi? Ma sì, venendo dentro dalla scalinata, lui, il cav. Bosi, è
quel bel tipo che sta sulle sue e che, steso e “stogolato” su un
sarcòfago, vi guarda, duro, da un muro della prima cappella di mano
destra. Ed è lì che vi guarda da ben 473 anni.Tiene la faccia
appoggiata alla mano sinistra e con la destra tiene un libro. Per
dirci: “Badate bene che io ero uno che sapevo di lettera!” È un po’
difficile andarci dentro a quella cappella lì - si chiama la Cappella
della Madonna della Neve - perché c’è sempre il cancello chiuso (non si
sa mai, i ladri siamo tanti...). Però, il cav. Bosi, lo vedete bene lo
stesso anche dal di fuori dal cancello.Intanto ve lo facciamo vedere
anche qui in questa fotografia di Raffaele Tassinari. Che muso duro che
era il cav. Bosi, vero? Adesso vi raccontiamo tutta la storia della
statua col monumento che ci à attorno e anche la storia della grande
tavola dipinta che è sull’altare della cappella: sono due storie
proprio curiose.
Il monumento funebre di Giovan Battista Bosi.
Faenza, Basilica Cattedrale, Cappella Madonna della Neve.
Foto Raffaele Tassinari.
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Un momento. Vi vogliamo dire in italiano quello che dice - in latino - la lapide sotto il sarcòfago.
Dice: “Giovanni Battista Bosi, cavaliere e dottore in diritto civile ed
ecclesiastico, quando aveva 68 anni e dopo essere tornato in patria da
Bologna doveva aveva occupato molte cariche, intanto che stava bene di
salute, sapendo che avrebbe cambiato la vita con la morte e pensando
che gli altri [dopo la sua morte] non avrebbero fatto quello che lui
non aveva fatto [quand’ era in vita] come fanno per abitudine quasi
tutti gli altri eredi, dopo aver eretto questa cappella, dotandola con
la grande tavola in memoria della Beatissima Vergine per cancellare i
propri peccati, e volendo far riposare le proprie ossa in perpetuo,
ordinò che si realizzasse questo sepolcro nel 1542”. Più sotto dice:
“Lo scolpì Pietro Barilotti faentino”.
Oh, adesso vi raccontiamo tutto da cima a fondo.
Dunque questo Giovanni Battista Bosi era nato a Russi attorno al 1474,
poi era venuto a Faenza. Difatti lui ci tiene a dirsi “cittadino
faentino”. È un“patrizio”, un “cavaliere”, un “giureconsulto”: un pezzo
grosso, insomma. Si era sposato con una donna di alto rango, la
ferrarese Isabella di Agostino da Albereto (un “Albereto” - badate -
che non è e’ nòstar Baréda). I due mettono insieme 6 figli: 4 maschi -
Pier Francesco, Domenico, Paolo e Jacopo - e 2 femmine: Aura, che
diventerà la badessa delle Suore della SS.ma Trinità in Borgo e
Camilla, che invece si sposa col sig. Vincenzo Dapporto di Ravenna.
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Giovanni Battista Bosi ha anche di suo una cappella del Duomo. E
siccome lì ci vuol lasciare un ricordo eterno di sé, incarica un
celebre pittore, il ferrarese Dosso Dossi, di dipingere una grande
tavola da mettere lì sopra l’altare. Rappresenta Gesù Bambino tra i
dottori nel tempio. Quel quadro, a detta di tutti, è un capolavoro
(dopo, però, sentirete il... resto). Più
avanti il cav. Bosi, pensa anche alla sua tomba e il 16 dicembre
del 1538 affida l’opera al grande scultore faentino Pietro Barilotti,
accordandosi su una spesa di 487 lire e 10 soldi. Il complesso,
scolpito in pietra d’Istria, deve essere pronto entro 4 anni, a partire
dalla festa di San Cassiano. Cioè dal 13 agosto del 1539. Badate bene
che il cav. Bosi una parte della paga a Barilotti gliela dà
in natura: un carro di pertiche di salice, un migliaio di fascine
d’olmo e un maiale di 200 libre per ciascuno dei quattro anni. E il
nostro cavaliere ha la fortuna di vedere, da vivo, la sua tomba
monumentale già pronta. È una bella soddisfazione. Perché, per far fare
il grande quadro e il grande sepolcro, aveva addirittura diseredato tre
dei suoi figli e cioè Domenico, Paolo e Jacopo che erano, si vede,
delle mezze teste, per paura che gli finissero i soldi.
Quello che rimane del quadro commissionato da
Giovan Battista Bosi a Dosso Dossi sono questi due ritratti,
ora depositati presso la Pinacoteca Comunale di Faenza.
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Disputa di Gesù tra i dottori di Vincenzo Biancoli, copia del quadro di Dosso Dossi.
Cappella della Madonna della Neve. Faenza, Basilica Cattedrale.
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E la storia della tavola di Dosso Dossi?
Passano due secoli. La cappella della Madonna della Neve non è più
della famiglia Bosi, ma è dei Cantoni. Uno dei Cantoni è Antonio, il
vescovo di Faenza, quello che ha costruito il nostro ospedale. Lui si
accorge che la grande tavola di Dosso Dossi è quasi rovinata e ne dà la
colpa ai canonici del Duomo. Dicono su un po’ poi si mettono d’accordo
in questo modo. Cioè ne fanno fare una copia da un pittore di
Cotignola: Vincenzo Biancoli. È il quadro che vedete adesso lì.
E la famosa tavola originale, il capolavoro di Dosso Dossi?
State poi da sentire. I Cantoni che sono sei o sette, si mettono a discutere. Non so se tra
di loro c’è anche il Vescovo.
Non si mettono d’accordo su come
spartirsela. Cosa fanno questi delinquenti? Segano la famosa tavola in
tanti pezzi e se ne prendono uno ciascuno. Due pezzetti - ci sono due
teste - oggi sono in Pinacoteca.
Quando quei disgraziati di Cantoni segarono la tavola di Dosso Dossi
che lui, il cav. Giovanni Battista Bosi l’aveva pagata, ve l’immaginate
che “scarvizio” avrà provato, lui, lì, steso sul suo sarcòfago? Hanno
avuto fortuna i Cantoni che lui era di pietra d’Istria.
Quandinò sarebbe calato giù e ai Cantoni - Vescovo compreso - ci
avrebbe dato tante di quelle botte che non se le sarebbero portate a
casa neanche con la trèggia! E avrebbe fatto bene.
Proprio una manica di disgraziati, quei Cantoni lì.
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