Sarna, storia di una Pieve di campagna

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Sarna, storia di una Pieve di campagna

di Antonio Savioli


Sulle origini di Sarna, località fra il torrente Marzeno e il fiume Lamone a sud di Faenza, non esistono studi; ma, trovamenti di terracotta da scavi davanti alla chiesa nel 1935 e, più recentemente, nei fondi Casetto di Sotto, Compagnoni (strada Croce di Ferro) e fondo Chiesa Poggio, permettono di supporre un insediamento agricolo fino dall'antichità romana. Certo, l'attuale pieve è tra gli edifici di culto più antichi dell'area faentina con la chiesa urbana di S. Maria Vecchia e le pievi del Ponte, di Bagnacavallo, di Cesato e del Tho. Nell'epoca altomedioevale, a cominciare dagli inizi del sec. X, Sarna è ricordata in atti legali per operazioni di compravendita di terreni agricoli, e molte pergamene di contratti sono note ai ricercatori d'archivio. Alcuni nomi di antichi fondi sono ancora correnti: ad es. il fondo denominato latinamente Galigatula di sopra, nella pergamena del 13 settembre 909, primo documento che riguarda Sarna fino ad ora, sopravvive nel nome dialettale di Calghé. L'edificio della pieve è certamente più antico della data ricordata; non abbiamo oggi le prove di documenti, ma il monumento stesso parla abbastanza chiaramente agli studiosi. Per capire e gustare la visita alla pieve si tenga presente che un edificio di culto è come un organismo vivente: si forma e si trasforma a seconda delle esigenze senza perdere le sue caratteristiche fondamentali, fino a quando non muoia vittima del tempo implacabile. La nostra pieve è tuttora viva, ma a un certo momento, precisamente nel secolo XVIII, era talmente malata, da richiedere una cura radicale delle strutture alcune delle quali furono lasciate a vista, altre, specialmente nell'interno, furono coperte con sovrapposizioni.
 

Pieve di Sarna. (Foto di Iglise Rambelli).

L'osservazione che a nessuno può sfuggire riguarda la diversa conformazione delle due fiancate. La supposizione che la fiancata sud possa essere più antica si sostiene in base allo studio delle forme dell’ architettura ravennate; la datazione sarebbe intorno alla metà del sec. VIII. Gli studiosi indicano nella chiesa di S.Giovanni Evangelista in Ravenna il modello al quale, più tardi, si sarebbe ispirato il gruppo faentino ritenuto omogeneo come tempo e come stile: S.Maria Vecchia, S.Giovanni Battista in Cesato, S. Maria in Sarna. Elementi di confronto fra questi monumenti sono offerti principalmente dalla tipologia del sistema lesene-arcate-finestre, ma anche dai materiali da costruzione e dal loro impiego. Sembra possibile, inoltre, qualche raffronto con le rimaneggiate fiancate della navata principale di S. Agata Maggiore, sempre in Ravenna. Appartiene a quest' epoca antica della pieve anche l'abside, della quale è ispezionabile soltanto il muro esterno coperto dal campanile. La forma è pentagonale, e sulle facce 2- 4 vi sono due fenestrelle a strombo, mentre in alto si vede ancora qualche frammento di cornice ottenuta con l'aggetto di due filari di mattoni di sezione cm. 7. II grosso spessore di calce bianca tra un filare e l'altro di mattoni è toccato dalla cazzuola in alto e in basso con modesta angolatura, e l’ intonaco è del tipo detto a mestola. All'interno, il muro absidale conserva la sua curva rettificata nel tratto centrale quando, nel settecento, vi fu murata l'ancona.

La pianta (fig. 3) è l’ attuale. L'orientamento è l'antico, fronte a ovest. Lo spazio interno sembra modificato soltanto nella campata davanti all'altare principale, con l'introduzione dei due colonnati. Le tre campate dell'aula sono originali, anche se travestite. Singolare, a nostro avviso, è il modulo di campata, vicinissimo al rapporto 1/2; cioè si tratta di due quadrati accostati (il lato lungo nella direzione longitudinale è misurato sull'interasse). La soluzione sa di pratica tardomedioevale. Le campatine laterali sono soltanto prossime al quadrato modulare. II campanile fu eretto durante il governo pastorale di Antonio Fantini, quindi fra il 1686-1721, articolato su un lato dell'antica abside e risolto con rustica eleganza; è stato attribuito all'arcbitetto faentino Carlo Cesare Scaletti.
Le opere di trasformazione interna furono promosse e, in massima parte, eseguite dall'arciprete Tomaso Violani che governò la pieve fra il 1741 - 1785. II lotto principale di lavori sembra risalire agli anni fra il 1752 (la Visita Cantoni non ricorda novità nella pieve) e il 1768 quando il vescovo De Buoi trovò la chiesa trasformata. Scrive soddisfatto il Violani nel suo inventario: "e rifatta tutta di nuovo, e rimessa a volto nella navata di mezzo, con stucchi, corniciamenti elliganti e moderni... con spesa ormai di poco meno di scudi mille... Si è rimessa la cappella in miglior forma con stucchi e lavorieri alla chinese e vi ho fatto fare un quadro nuovo in Venezia, opera del signor Nicola Valletti Greco, che prima stette molti anni in Faenza... La navata laterale è pur rifatta tutta di nuovo con muro nuovo sino da fondamenti ed è quella che rimane in cornu epistole". Un decennio più tardi era compiuto anche il rimanente con l'altra navatina e il battistero. Autore del progetto di trasformazione, ricordato la prima volta nell'Inventario Marchetti, del 1818, sarebbe l’architetto Giovanni Battista Campidori, noto a Faenza in opere giudicate di buon livello. II risultato di questo interno appare oggi modificato da manipolazioni recenti, specialmente dorature e tinteggiature; tuttavia, una lettura critica è ancora possibile (fig. 4). L'opera è frutto di cultura eclettica che accosta con disinvoltura elementi classici (trabeazione e capitelli) (fig. 5) a temi barocchi (lunette a bocca di leone) deducendo poi dal vecchio Serlio la soluzione per la campata dell'altare principale a trifora arcuata-architravata. L'archivio tace il nonie dell'autore degli "stucchi e lavorieri alla chinese"; l'indicazione è per Carlo Sarli "statuario in Rimini", che il Thieme-Becker dà morto nel 1771, mentre i libri di Sarna ricordano il pagamento a lui di una statua della Madonna del Rosario nel 1773. Sembra che I'antica facciata della chiesa, fin verso la fine del settecento, sia rimasta Integra fino a quando l'arciprete Marchetti, successore del Violani, la restaurasse: "la facciata era in cattivo stato; fu da me assicurata con tre chiavi di ferro, e fu rimesso uno sperone nel mezzo dalla parte destra, fu stretta, stuccata tutta, e stabilita e imbiancata". L'opera dovrebbe risalire all'ultimo decennio del settecento. Lo stesso Marchetti costruì "il granaio sopra la navata" a sud. Le più recenti riparazioni alla facciata, del 1921, sono dell'ingegnere faentino Ercole Alberghi coadiuvato dal perito Baruzzi. Nel computo di questo "rifacimento" sono comprese: quattro pilastrate, due lesene del portale, due porte laterali aperte ex-novo e due siepi, quelle che ancora fanno da quinte verdi alla chiesa; e inoltre i muri laterali della chiesa. La gradinata attuale è del 1954.


Storia di una Pieve di campagna
 di Gilberto Casadio


I lavori di ristrutturazione avvenuti dal 18° secolo in poi hanno pesantemente snaturato le strutture originarie della pieve di Santa Maria in Sarna una delle più antiche del nostro territorio. In quel periodo l'interno fù rifatto in stile tardo barocco ed anche la facciata venne modificata; i muri perimetrali furono intonacati nascondendo le strutture murarie originali e l'abside pentagonale fu in parte coperta dal campanile, opera attribuita all'architetto faentino Carlo Cesare Scaletti e risalente al periodo fra la fine del XVII secolo e l'inizio del successivo. E’ da notare però che, diversamente da quello che successe con altre chiese come la Pieve di Cesato, durante i rifacimenti non venne rovesciato l'orientamento primitivo, per cui l'abside è tuttora rivolta ad est come nella primitiva costruzione. A fronte di queste pesanti modifiche, le carte d'archivio e soprattutto le indagini degli studiosi, hanno però consentito di ricostruire almeno in parte la storia della nostra pieve e del suo territorio. Sarna è nome di località molto antico, ma di significato non chiaro. Secondo alcuni sarebbe da collegare ad un termine di origine prelatina dal significato di 'luogo ghiaioso, alluvionale', secondo altri potrebbe essere il nome dell'antico proprietario romano di quei " terreni (Sarnus), secondo altri ancora la finale in -na può fare pensare ad una origine etrusca: come per Ravenna, Cesena, Còsina.

II primo ricordo della Pieve nei documenti notarili risale alla fine del IX secolo, ma l'edificio è di certo molto precedente a quella; data. Anche se gli studiosi non sono tutti concordi, le strutture più antiche della chiesa potrebbero risalire addirittura al VII secolo ed essere quindi contemporanee a quelle delle prime chiese del faentino come Santa Maria Foris Portam e la Pieve di Cesato. La chiesa possedeva, ed in parte tuttora conserva, alcune interessanti opere d'arte. Nel secondo pilastro a sinistra dell'ingresso c'e un  affresco, opera di un pittore locale, che rappresenta Sant'Antonio Abate datato 1430, anche se attualmente la data non è più leggibile. Notevoli, fra l'altro, il fonte battesimale in sasso sopra al quale è murato un interessante tabernacolo anch'esso in pietra ed un secondo tabernacolo utilizzato per la custodia dell'Olio santo per gli infermi. Sono due opere che si richiamano a modelli toscani dell’ultimo Quattrocento.


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