DA SAN GIORGIO ALLA CHIESA DI SAN BARNABA
Roberto Marocci
Un disegno di Romolo Liverani, circa del 1835, riprende il tratto
di Via Emilia in vista di Porta delle Chiavi (Foto N° 1). Con la
consueta dovizia di particolari egli realizza una suggestiva veduta
panoramica, colta dall’altezza del complesso di San Giorgio sulla Via
Emilia. Al centro dell’inquadratura riconosciamo Porta delle Chiavi,
dietro alla cui sagoma si scorge il campanile della chiesa della
Commenda, quello di Sant’Antonino, il Ponte delle Torri e, più oltre,
il campanile della chiesa dei Servi. Sulla sinistra del quadro si
riconoscono i campanili di Sant’Agostino e di Santa Maria Foris Portam.
A destra, in primo piano, si ergono il muro di cinta ed i pilastri
d’ingresso al complesso dell’Oratorio di San Giorgio, costruito nel
1740 da un tal Giovanni Fanelli. A sua volta il figlio, Canonico
Giulio, nel 1793 lasciò tutta la proprietà ai Padri Trinitari. Nel
1797, con l’arrivo dei Francesi e la soppressione di ordini e conventi,
i Trinitari vennero anch’essi espulsi da quella loro sede e l’intero
complesso passò a privati. La chiesa di San Giorgio è a pianta
circolare, la facciata segue un armonico andamento curvilineo ed è
ornata da un timpano centinato, secondo tipici canoni stilistici
dell’età barocca. A ponente della chiesa sorge una grande villa di
pregevole aspetto.
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Foto 1
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Edificata anch’essa nel Settecento, si distingue per il monumentale
ingresso impreziosito da due colonne doriche a sostegno del soprastante
balcone. Il complesso di San Giorgio comprende un’altra più modesta
costruzione, posta a levante, che risulta essere di più tardo
concepimento. E’ un vero grande peccato che questo pregevolissimo
gioiello dell’architettura barocca faentina venga lasciato andare in
rovina, con il rischio concreto di perderlo irreparabilmente. La 2°
immagine è una foto dell’estate 2014 che inquadra la stessa visuale
ripresa dal Liverani, mentre la 3° ci mostra la facciata della chiesa,
limitatamente a quanto è possibile scorgere dall’esterno.

Foto 2 |

Foto 3
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Un paio di chilometri fuori Porta delle Chiavi, sulla Via Emilia
in direzione Forlì, sorge la chiesetta di San Lazzaro e ciò che rimane
dell’omonima villa. L’architettura della piccola chiesa è tipicamente
romanica e di essa si hanno notizie certe fin dal 1206, quand’era posta
nei pressi di un lazzaretto per lebbrosi. Nel corso dei secoli la
chiesa di San Lazzaro entrò a far parte di una proprietà privata
comprendente un ampio terreno ed un fabbricato adibito ad abitazione
rurale. Quando nei primissimi anni dell’Ottocento l’intera proprietà fu
acquistata dalla famiglia Acquaviva, gli immobili vennero sottoposti ad
una radicale trasformazione, adeguandoli al gusto tardo-neoclassico a
cura di un progettista di cui non si conosce il nome. In
quell’occasione la chiesetta venne inglobata in un’unica costruzione
comprendente anche la villa ed un nuovo ingresso le fu aperto sul
fianco affacciato sulla Via Emilia. La villa, a filo della strada, era
composta da due corpi laterali a due piani e da uno centrale a tre
piani, quasi a guisa di torretta. Sulla parete Sud del corpo verso la
città era visibile una meridiana (4° foto di fine ‘800). Nei primi anni
Venti la famiglia Budellacci, nuova proprietaria del complesso, fece
abbattere gran parte della villa, della quale rimasero un’ala interna
con porticato, un segmento del muro di recinzione ed il corpo
occidentale a due piani, in parte ancora oggi esistenti. La chiesa ne
risultò pertanto staccata ed isolata. |

Foto 4
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Gli eventi bellici del 1944 danneggiarono molto gravemente la piccola
chiesa, come si può ben vedere dalla 5° foto del 1961, anno in cui il
Comune ne divenne proprietario. Nel 1974 San Lazzaro venne consacrata a
“Tempio dei Caduti della Strada”. Nel 1991 un camion, uscito di strada
in quel punto, sfondò e semidistrusse l’abside, poi ripristinato nel
1995. Un ultimo profondo restauro alla chiesetta venne svolto in
occasione del Giubileo del 2000 per merito degli architetti Ennio Nonni
e Silvia Laghi. Il professor Pietro Lenzini ricompose la meridiana
sulla parete esterna del fabbricato superstite (6° foto del 2014),
mentre all’interno dell’antico oratorio, in un riuscito connubio tra
storia e modernità, trovarono posto un Crocifisso ligneo, ancora del
Lenzini, il seggio del celebrante e l’acquasantiera, opere del
ceramista Guido Mariani ed un altare in materiale composito realizzato
dall’imolese Germano Sartelli.
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Foto 5
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Foto 6
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Il colle di Oriolo dei Fichi si erge a 141 metri s.l.m., affacciato in
posizione strategica sulla pianura, ed è dominato da una rocca
quattrocentesca. Su quel colle, nel 1057, l’Arcivescovo di Ravenna
Enrico II fece costruire un castello che per tutto il Medioevo fu
conteso tra Faenza, Forlì e l’Episcopio di Ravenna, suo legittimo
proprietario. Nel 1474 il dominio del Castello di Oriolo passò a Carlo
II Manfredi, il quale provvide a riconvertirlo ad uso militare,
trasformandone la torre in un possente maschio a pianta irregolarmente
esagonale. Nel Novembre del 1500 questa rocca venne conquistata dal
capitano Vitellozzo Vitelli per conto di Cesare Borgia, detto il
“Valentino”. Poco tempo dopo Oriolo e tutta la Romagna passarono sotto
il dominio di Venezia, periodo durante il quale la rocca venne
restaurata ed ammodernata. Ritornata in possesso allo Stato Pontificio,
la fortezza venne poi assegnata definitivamente al Comune di
Faenza ma in seguito, persa ogni importanza militare, andò in un
progressivo stato di abbandono. Nel 1753 il Comune concesse la rocca in
enfiteusi (sorta di locazione a lungo termine) a Marcantonio Orioli,
enfiteusi poi passata, nel 1771, a Vincenzo Caldesi. Nel 1823 Antonio
Caldesi cedette l’ex convento di Santa Maria dei Servi al Comune di
Faenza ed in cambio ebbe la piena proprietà della Rocca di Oriolo. Nel
1944 l’antica fortificazione diede rifugio a un’ottantina di civili, fu
utilizzata dai Tedeschi come efficace postazione d’avvistamento e
grazie al notevole spessore dei suoi muri perimetrali resistette alle
granate alleate. Nel 1985 la famiglia Caldesi donò la rocca alla città,
dopodiché in varie fasi, dal 1986 fino al 2003, vennero svolti
importanti lavori di recupero, restauro e consolidamento. La Rocca di
Oriolo venne finalmente aperta al pubblico il 20 Marzo 2004. Un disegno
di Romolo Liverani, circa del 1830-35, la riproduce riprendendola da
monte (Foto N° 7). Alla sua sinistra si scorgono il campanile della
chiesa parrocchiale di Sant’Apollinare ed il piccolo borgo, mentre
sullo sfondo si apre la pianura nella quale, sulla destra, si riconosce
Forlì. La recente foto N° 8 del 2014 riprende la Rocca di Oriolo e
l’omonimo borgo dal quale la vista, oltre la pianura, giunge fino al
mare.

Foto 7
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Foto 8
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L’insediamento di Oriolo dei Fichi è storicamente attestato
almeno dall’anno 898, momento in cui ne era Signore un tal Aghinolfo.
E’ assai probabile che la chiesa parrocchiale esistesse fin d’allora.
Va ricordato che, dal XIV secolo e fino al 1689, il Borgo di Oriolo fu
Comune Rurale, amministrativamente autonomo ma comunque soggetto al
controllo di chi possedeva la vicina fortezza. Nella 9° foto vediamo la
chiesa di Sant’Apollinare, così com’era tra la fine dell’Ottocento e
l’inizio del Novecento. Nonostante i consistenti rimaneggiamenti, in
particolare quelli svolti nel 1716 e nel 1848, la chiesa conservava
l’antichissimo impianto medioevale, riscontrabile soprattutto
nell’arco ogivale del portale d’ingresso e nei suoi apparati decorativi
di contorno. I bombardamenti del 1944 distrussero quasi completamente
l’antica chiesa. Nel 1945, rimosse le macerie, sullo stesso sito fu
eretta la nuova costruzione su progetto dell’ingegnere Giovanni
Antenore, come illustrato dalla 10° foto del 2015. Le linee
architettoniche della nuova fabbrica vanno ricondotte ad uno stanco e
piatto eclettismo di cui la pentafora, le silenti lesene, gli archi e
le cuspidi del campanile sono modeste testimonianze. L’unico richiamo
al remoto passato è costituito dall’arco a sesto acuto che sovrasta il
portale d’ingresso.

Foto 9
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Foto 10
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Nel corso del Novecento la chiesa di Santa Margherita in Rivalta ha
subito profondi mutamenti, qui illustrati da quattro fotografie.
La 11° foto, della fine del XIX secolo, ci mostra quanto fosse modesto
l’aspetto della chiesa parrocchiale. Essa venne demolita nel 1904, al
suo posto sorse una nuova costruzione, intonata al gusto
neogotico-ecclettico, terminata nel 1906 e riprodotta nella 12° foto.
La nuova chiesa costituì uno dei primi esempi di edifici religiosi
decorati esternamente con inserti ceramici, in questo caso realizzati
dalla prestigiosa “Fabbrica Fratelli Minardi”. Nel 1913, su disegno del
parroco Don Vincenzo Tasselli, venne eretto il campanile, alto ben 33
metri (13° foto del 1913), sulla cui sommità fu aggiunta una cuspide
conica soltanto nell’ultimo dopoguerra (14° foto del 2014). E’ di
assoluto rilievo il fatto la chiesa di Santa Margherita in Rivalta
conservi un’opera d’arte di notevole interesse. Infatti nel 1918 Arturo
Martini, uno tra i più grandi scultori italiani del ‘900, figlio di una
brisighellese e riparato a Faenza dopo la disfatta di Caporetto,
realizzò “in situ” il Fonte Battesimale. Il corpo del Fonte è a pianta
esagonale e le sue facce sono istoriate con bassorilievi in cemento
riproducenti “Mosè che fa sgorgare l’acqua dalla roccia”, un
inquietante volto semisommerso dai flutti mossi dall’Arca di Noè,
immagini legate all’acqua come simbolo della vita e del battesimo ed
elementi vegetali stilizzati.

Foto 11
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Foto 12
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Foto 13 |

Foto 14
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La chiesa parrocchiale di San Barnaba è situata sulla Strada
Provinciale che conduce a Reda. Come si vede nella 15° foto, risalente
circa al 1920, la semplice impaginatura della facciata rispecchia
chiaramente moduli architettonici ottocenteschi, riconducibili ad
un’edilizia ecclesiastica tipicamente rurale e di scarso pregio. Questa
sistemazione, infatti, va fatta risalire ai profondi lavori di restauro
realizzati nel 1869, ai quali seguì la costruzione del campanile nel
1875. La 16° foto, dell’Ottobre 2014, ci mostra la chiesa di San
Barnaba così come si presenta attualmente. La cella campanaria appare
modificata, dopo il ripristino seguito ai danni provocati dagli eventi
bellici del 1944, mentre nuove modanature ornano e ingentiliscono la
parte superiore della facciata. Per il resto le differenze
riscontrabili sono del tutto marginali.

Foto 15
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Foto 16
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