L’OSPEDALE CIVILE E LA MADONNA
DEL ROSETO DI PIETRO MELANDRI
Roberto Marocci
A metà del Settecento esistevano a Faenza due
strutture nosocomiali, l’Ospedale di Sant’Antonio Abate e quello di San
Nevolone, entrambi oramai inadeguati e strutturalmente carenti. Le
autorità cittadine decisero di edificare un nuovo e moderno ospedale
che potesse sostituire i due preesistenti. Il promotore dell’iniziativa
fu il Vescovo Antonio Cantoni (1709-1781). Di nobile e facoltosa
famiglia, egli fu mecenate, filantropo ed uomo di grande sensibilità
verso tutti i problemi assistenziali, sia di carattere sanitario che
sussistenziale, riguardanti i bisognosi, nel solco tracciato da San
Carlo Borromeo. La diretta e personale protezione di Papa Benedetto XIV
gli consentì di ottenere, nel 1748, il permesso di abbattere la Rocca Pontificia, oramai in disuso e diroccata, onde poter costruire sul medesimo sito il tanto necessario nuovo ospedale.
Per i dissidi sorti tra il Vescovo e la
Municipalità in merito ad amministrazione e gestione della erigenda
struttura, entrambe destinate all’Ordine di San Giovanni di Dio (i
“Fatebenefratelli”), la costruzione dell’ospedale venne iniziata solo
nel Giugno 1753, dopo che nei tre mesi precedenti fu abbattuta la
Rocca. Il nuovo nosocomio controllato dai “Fatebenefratelli” entrò in
funzione nell’Estate del 1762 col trasferimento degli ammalati dai due
ospedali soppressi, mentre l’annessa chiesa di San Giovanni di Dio
venne inaugurata l’anno dopo. Il progetto ed i lavoro di edificazione
furono curati da Raffaele Campidori che in seguito lasciò
l’elaborazione definitiva al figlio Giovanbattista, architetto. Il
nucleo interno dell’edificio è a croce greca; per l’affaccio sulla Via
di Porta Imolese il Campidori si ispirò a modalità tardobarocche,
realizzando su tre piani un’intelaiatura di piatte lesene e marcapiani
intersecati tra loro. Tutte le finestre vennero ornate da una larga
bordatura sagomata ad andamento mistilineo.

|

|
Foto n° 1.
|
Foto n° 2.
|
L’amministrazione da parte dei
“Fatebenefratelli” cessò nel 1797 con l’arrivo dei Francesi. Nell’arco
dei suoi 250 anni di vita, la fabbrica dell’Ospedale è stata sottoposta
a profondi interventi di rimaneggiamento, ampliamento ed ammodernamento
ma la facciata esterna è rimasta pressoché invariata, salvo che per
un’appendice ottocentesca che prolungò il fronte fino a ridosso delle
mura a monte di Porta Imolese. La foto n° 1, del 1923, ci mostra
l’esteso prospetto dell’Ospedale per gli Infermi con, in primo piano,
il portale della chiesa di San Giovanni di Dio, di recente
splendidamente restaurata al suo interno. Al centro del fronte si
distingue l’ingresso principale e, per ultima, l’entrata delle
farmacia, qui trasferita nel 1854 dalla vecchia sede che era posta
sotto la Loggia della Beneficenza. In fondo si scorge la monumentale
Porta Imolese. La foto n° 2, del 2014, inquadra con identica angolatura
la stessa visuale nella quale, purtroppo, non appare più Porta Imolese.
L’ospedale Civile oltre che luogo di dolore e
di gioia racchiude al suo interno una ricca raccolta di opere d’arte,
conservate nel corso dei secoli. Un pannello di ceramica di Pietro
Melandri raffigurante la Madonna del Roseto per la sua raffigurazione
viene considerata un vero capolavoro della ceramica faentina, ecco la
sua storia.

Pietro Melandri, pannello a ceramica, 1928-29,
Ospedale Civile Faenza.
|
Melandri riceve l’incarico di realizzare un’immagine della Madonna da
collocarsi nell’Ospedale Civile di Faenza. Per l’esecuzione di questo
manufatto egli pensa di sfruttare una serie di acquerelli dipinti nel
1926, dai quali ricava un grande cartone ad uso modello.
Date le
notevoli dimensioni dell’opera, la realizzazione presenta parecchie
difficoltà e pone problemi tecnici considerevoli che, grazie al
decisivo contributo di Angelo Ungania, valente collaboratore del
Maestro, vengono virtuosamente superati.
L’opera, che prenderà il nome di “Madonna del roseto” e verrà portata a
termine nel 1929, consiste in un grande pannello dipinto, maiolicato a
gran fuoco, suddiviso in tessere sagomate irregolarmente e poste in
opera a mosaico. Le dimensioni sono notevoli: 318 x 305 centimetri.
Lo spettacolare manufatto è collocato a fianco della scala che conduce
a quello che allora era il Teatro Operatorio e lì è tuttora visibile.
La raffinatissima composizione riproduce la Madonna seduta ai bordi di
un roseto fiorito e con in braccio il Divino Figliolo; ai suoi piedi,
genuflessa, sta una giovane donna implorante.
L’intera rappresentazione
appare strettamente legata a una fedeltà figurativa riconducibile al
classicismo evocato dal “Ritorno all’Ordine”, il movimento artistico
che negli anni del primo dopoguerra soppianta le avanguardie di inizio
secolo. Il volto della Madre Santa è quello di Dina Cavina, una collaboratrice
di Melandri. Oltre che per la sua sontuosa magnificenza, questa opera
riveste grande importanza nel percorso del Maestro faentino, in quanto
risulta essere il suo primo grande capolavoro a soggetto sacro.
|
|