La Pieve di S. Stefano in Corleto

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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La Pieve di S. Stefano in Corleto
di Santa Cortesi

Il nome

A 5 km da Faenza, lungo il tratto di via Emilia tra Faenza e Forlì, dopo la borgata di Cosina, sulla sinistra a oltre 1 km della via secondaria, via Corleto, sorge la Pieve di S. Stefano in Corleto, ricostruita nella sua forma settecentesca nel 1778 e con orientamento variato, sopra un altipiano con un piccolo piazzale antistante, protetta da alcuni paracarri in sasso provenienti dalla gradinata del 1812 del Duomo di Faenza, rinnovata nel 1886. L'ubicazione è a nord della via Emilia, sul cardine Cosina-Corleto, all'incontro con il decumano, nella fascia confinaria con Forum Livii, Forlì, all'interno della centuriazione, come le pievi di S. Pietro in Silvis e di S. Giovanni Battista in Axiata o in Cesato.

Si tratta in realtà di una località dalla storia antichissima, come del resto antica è la Pieve e antico il nome stesso di Corleto. Oltre all'accezione Coryletum che significherebbe boschetto di noccioli, la prima citazione della Pieve di S. Stefano compare nel documento più antico che risale all'11 giugno 896, il cui testo è il seguente: Desideria Abbadessa del Monastero di S. Maria ad Cereseo concede per livello a Giovanni Console figlio di Wandilone Console, sei once di campi, prati e pascoli nel territorio di Faenza, Pieve di S. Stefano in Coloritula. (1) La versione documentata del nome antico è quindi Coloritula, diminutivo di colorita, trasformazione del latino medievale di colorata presente nel latino classico. Si può verosimilmente ipotizzare che l'aggettivo femminile, allusivo a una tonalità di colore della vegetazione, fosse associata a silva, arbor, folia, rispettivamente bosco, albero, foglia. Nel tempo poi, dimenticato il sostantivo femminile sottinteso, si pensò a un sottinteso nome maschile locus e anche nell'aggettivo prevalse una terminazione maschile che compare per la prima volta nella forma definitiva Corleto in un documento del 1168.



Pieve Corleto, la chiesa.


Pergamena del giugno 896.

La chiesa originaria


Sin dalle origini, forse nel VII-VIII secolo, la Pieve era intitolata a S. Stefano Protomartire, il culto del quale era diffuso in epoca bizantina e particolarmente nel ravennate durante l'esarcato, dopo il ritrovamento del corpo del santo avvenuto nel 415. Una bolla pontificia di Celestino II del 7 dicembre 1143 attesta infatti che fra le 22 pievi esistenti e citate della diocesi faentina, ben 5 erano intitolate a S. Stefano, mentre fra le 240 chiese più recenti menzionate nella Ratio Decimarum soltanto 2, quelle di Zerfognano e di Varano, sono a lui dedicate. (2)
Le Pievi sono le chiese più antiche che si andavano costruendo già dal sec.V nel territorio lontano dalle rispettive sedi episcopali di appartenenza, quindi rurali, ma si conoscono anche esempi di pievi urbane. Pieve, dal latino plebs, indica dapprima una comunità di fedeli, in seguito a partire dall'VIII sec. anche il tempio in cui tale comunità, il popolo di Dio, si raccoglie in preghiera nel suo territorio, unito al suo pastore. II termine latino plebs può indicate anche il territorio della pieve, cioè il plebato equivalente alla circoscrizione dei vicariati foranei o congregazioni in cui è suddivisa la diocesi. La diocesi di Faenza è molto antica e documentata già in età costantiniana. Al plebatus di Corleto si fa sempre riferimento nei documenti storici ogni volta che si menziona una località fra il rio Cosina-fiume Montone e la Cerchia di Faenza-fiume Lamone, che ne delimitano i confini rispettivamente a est e a ovest. A sud e a nord il plebato è delimitato dalle parrocchie di S. Biagio e di Prada. Sino all'inizio del marzo 1911 per parrocchia di S. Biagio deve intendersi S. Biagio in Collina o Collonada o di Oriolo o della Cosena (ove è ora il ristorante detto di "San Biagio Antico").

Nel 1899 all'ingresso del nuovo parroco, don Giuseppe Bagnolini, la vecchia chiesa versava in cattive condizioni. Allora il vescovo Gioachino Cantagalli e il suo segretario don Domenico Pasi avviarono le pratiche per lo spostamento della sede parrocchiale, gradito a quella parte di popolazione abitante a destra della via Emilia a km 6 da Faenza verso Forlì. I confini furono stabiliti per decreto vescovile nel gennaio 1910 e la nuova parrocchia tolse aree a Pieve Corleto (zona via Emilia e via Carbonara), a S. Mamante, a Basiago, a S. Lucia e alla Commenda di Faenza. Il 18 gennaio venne data l'autorizzazione dal Re Vittorio Emanuele III a condizione che la Chiesa si costruisse entro un anno. II parroco dovette assumersi un grande onere finanziario. I lavori iniziati il 5 marzo 1911 si conclusero con l'inaugurazione il 10 novembre dello stesso anno. Autore il valente capomastro faentino Giuseppe Magnani, che già aveva edificato la chiesa di Pergola e di Alfonsine, e che si ispirò a un disegno del Morelli. La spesa totale fu di L. 32.060,02 rispetto al preventivo di L. 23.000. II vicariato foraneo o plebato di Corleto comprende 7 parrocchie: S. Stefano in Corleto che aveva sotto la propria cura spirituale le altre 6; S. Martino in Reda fondata nella Silva Fantina intorno al 1300; S. Lorenzo in Saldino chiamata un tempo S. Lorenzo in Filipago in Silva Fantina, ricordata nel sec. XI; S. Salvatore in Albereto menzionata in un documento del 977; S. Giovannino che ha la sua prima memoria intorno al 1100; S. Maria in Basiago nominata in uno scritto del 972; S. Barnaba in Quartoregi menzionata in un documento del sec. XIII, mentre la località Massa Quartoregi è già ricordata dall'873. Le sei parrocchie sopra citate dopo S. Stefano in Corleto riconoscevano come chiesa principale la Pieve, chiesa madre. Al parroco della Pieve spetta il titolo di Arciprete e soltanto la Pieve fino alla Pentecoste del 1918 aveva il Fonte Battesimale, perciò i nuovi nati dovevano essere portati a ricevere il battesimo alla chiesa madre. Altro privilegio della Pieve è quello di celebrare la festività del Corpus Domini nel giorno proprio. Storicamente infatti quando la comunità della pieve ha assunto una sua consistenza, la pieve costituisce la chiesa principale di un territorio, e in un certo senso una piccola cattedrale rurale. I sacerdoti delle cappelle sorte in seguito vivono con l'arciprete nella canonica, appunto casa del clero, alla pieve. Le pievi erano spesso intitolate agli apostoli o ai martiri. La Pieve intitolata a S. Stefano Protomartire è situata nelle vicinanze di un incrocio fra due assi della centuriazione romana, cioè via Bianzarda, ossia il decumano, e via Corleto, il cardine.
Nel crocevia sorgeva una croce in pietra di epoca altomedievale, travolta purtroppo da un camion uscito di strada a causa del ghiaccio nell''inverno 1985. I frammenti recuperati dall'arciprete don Domenico Sgubbi sono conservati nella cripta. L'ubicazione della Pieve nei pressi di un crocevia centuriale è testimonianza indiretta dell'antichità della costruzione che, come le altre pievi del faentino, si può far risalire ai secoli VII-VIII.(3) Le pievi della provincia di Ravenna si trovavano in gran parte infatti vicino a strade antiche, come nel nostro caso la via Emilia, spesso vicino al cardine massimo della centuriazione o a cardini, presso fiumi, per la nostra pieve il Montone e il rio Cosina, presso centri fortificati e non fortificati o castra o castelli, come per noi il castello di Cosina - Castel S. Pietro, in situazioni di confine, tra Faenza e Forlì, lungo tappe viarie (in ottavo, in decimo).

La cripta

Spesso le antiche pievi nel tempo si arricchivano di cripte e anche la Pieve di S. Stefano in Corleto ha una sua millenaria cripta seminterrata di grande interesse storico artistico. Essa è tutto quel che resta della chiesa antica, anche se la sua costruzione è di molto posteriore alla nascita della Pieve. Nel ravennate infatti soltanto nella seconda metà del sec. IX si cominciarono a costruire cripte dalla tipologia a oratorio, come a Corleto. Per la cronologia delle cripte si impone grande cautela e proprio in rapporto alla tipologia a oratorio si propone il X-XI secolo, periodo della sua diffusione. La cripta della Pieve molto probabilmente svolgeva una funzione liturgica e vi si veneravano reliquie importanti; era dotata infatti di due accessi opposti adeguati  a ingresso e uscita dei fedeli, senza disturbo delle funzioni in area absidale. Quanto alle fonti documentarie, soltanto nel 1675 lo storico faentino Giulio Cesare Tonduzzi rompe il silenzio dei cronisti faentini, perdurante ormai dal '200, con una memoria scritta relativa alla cripta, ridotta ai suoi tempi a uso di cantina. Le due uscite nord e sud, forse proprio allora, furono ridotte la prima a finestrella per dare luce e aria, la seconda a nicchia, e venne aperto un nuovo ingresso più ampio per far passare le botti e altri utensili da cantina. La cripta non è collegata alla chiesa, ma vi si accede dalla canonica.




Pieve Corleto, il frammento dell'iscrizione.
Pieve Corleto, la cripta.

Su una parete dell'ingresso alla canonica fu murato un frammento di epigrafe romana PAL.
Scrive Tonduzzi:
Nella Pieve di S. Stefano in Corleto, dove si hà, fosse anticamente un castello, si conserva un antichissimo tempio, e per tale si conosce dalla forma, che hà di uno delli tempietti della Gentilità. Quivi sino a' nostri giorni ( me lo affermò D. Pirro Severoli prossimo Arciprete di quel luogo) si è conservato un busto, e Capo della dea Pallade, per quanto dichiarano alcune parole, che vi erano scolpite sotto in questa forma. TEMPLUM. ET. ALTARE/ DEAE. PALADI Hoggi di, per essere affatto sotterra sepolto, serve per grotta da conservarvi il vino; ne altro è rimasto per attestato che veramente fosse consacrato alla Dea Pallade, se non qualche fragmento di marmo adattato sparsamente ad altr'opere, in uno de' quali si legge interamente PALAS, in un altro PAL (4). 
Tonduzzi cade evidentemente in errore pensando che la cripta fosse un tempietto pagano dedicato a Pallade. Uno dei due frammenti da lui citati PALAS o è perduto o forse non è visibile perché interrato. Quanto al frammento tuttora visibile, PAL,  Valeria Righini (5) ritiene fosse parte di un'iscrizione non di Corleto, bensì rinvenuta nella parrocchia di Basiago, il cui testo è il seguente:

L. PAL.SECVNDI. L.
L. PAL. PHILOGEN
PAL. CLADI. LIB.

Giovanni Zaratino Castellini, scrittore faentino del '600, testimonia il rinvenimento in questi termini: extra Faventiam in villa quae dicitur la Basiaga in via Carbonara, tabula marmorea semifracta reperta in fundo D. Annibalis Manelli.
In italiano: Fuori di Faenza in una residenza rurale detta la Basiaga in via Carbonara nel podere del signor Annibale Manelli fu rinvenuta una tavola di marmo spezzata.(6)



Pieve Corleto, la pigna.
Pieve Corleto, la croce viaria.
Nel 1778, in occasione della ricostruzione della chiesa, anche alla cripta furono apportate notevoli modifiche in conseguenza dell'avanzamento della facciata della chiesa verso la strada. Nella cripta è ora conservato, oltre alla pigna di sasso, sottratta dai forlivesi e poi restituita nel 1224, dispersa per secoli e ritrovata da pochi decenni, anche un piccolo capitello in marmo greco, purtroppo spezzato in due, del tipo a lira (che costituisce una delle più tarde trasformazioni del corinzio), databile ai primi decenni del VI sec., che era posto a base della croce in cima al tetto della chiesa. La cripta è un ambiente di grande interesse storico artistico, un bel monumento di arte cristiana altomedievale ed è una delle poche esistenti in territorio faentino insieme a quella della chiesa di S. Ippolito a Faenza e della Pieve di S. Giovanni in Ottavo o del Tho nei pressi di Brisighella. Con quest'ultima, e con quelle di S. Pietro in Silvis e di S. Pietro in Trento, la cripta di Corleto è una delle quattro romaniche ancora in essere della provincia di Ravenna. Pur nelle sue modeste dimensioni, m. 7 x 5 x 2,20 circa, ha forma di basilichetta a tre navate scandite da 4 colonnine marmoree con capitelli cubici. Su queste, e sulle corrispondenti lesene a muro, ricadono le crociere di volta. Le voltine hanno archi ribassati di collegamento. L'abside occupa tutta la larghezza delle 3 navatelle. La tipologia a oratorio, che ne fa quasi una piccola basilica sotterranea, è presente già dal IX sec. ma si diffonde soprattutto nel X-XI. Originariamente c'erano due passaggi opposti di entrata e uscita. Caratteristiche tutte che fanno rilevare diversi elementi di somiglianza con la cripta di S. Francesco a Ravenna. E' una cripta molto semplice, come si riscontra negli esemplari dell'Italia settentrionale. In relazione alla sua importanza, per la rarità tipologica della struttura e per la sua probabile funzione di luogo di culto di rilevanti reliquie, è stata finora oggetto di pochi studi ed è citata in una bibliografia assai scarsa, mentre merita indubbiamente maggior considerazione.

Il Sito

Antichissima è pure la storia della località, abitata da migliaia di anni, in epoca preistorica, come attestano i reperti ritrovati nei primi anni Settanta (mascelle e corna di cervo, punteruoli, pugnali, punte di frecce, lame, spilloni) a nord-est della ferrovia nel fondo detto Ca’ Nova. Nel 1976 si è scoperto un insediamento della tarda età del bronzo.(7) La stessa via Corleto è di epoca romana, fu costruita contemporaneamente alla via Emilia da Rimini a Piacenza per ordine del console Marco Emilio Lepido nel 187 a.C. Per la realizzazione della rete viaria furono abbattute le grandi selve che sorgevano nella zona ed ebbe così inizio la coltivazione dei terreni. La centuriazione romana tenne conto delle caratteristiche naturali del terreno, in modo che i cardini minori (le vie nord-sud perpendicolari ai decumani, vie est-ovest) seguissero la pendenza del suolo per favorire il naturale drenaggio del terreno. II reticolato realizzato, strade, sentieri, canali, linee di confine, costituì quindi una vera e propria opera di bonifica, un'infrastruttura viaria e idrica e una divisione del territorio che ancora oggi esiste e risponde a reali esigenze del suolo. La via Emilia era il decumano massimo, via Corleto e via Basiago erano due cardini. Le campagne quindi in epoca romana erano fiorenti e ben tenute, ma necessitavano di una costante opera di drenaggio e di disboscamento che venne a mancare con l'arrivo dei barbari, quando le colture vennero abbandonate, la vegetazione crebbe liberamente e si riformarono selve e paludi. Il rio Cosina e il fiume Montone non furono più curati e il territorio fu perciò soggetto a molte inondazioni. La storia di Corleto è molto legata a questo fiume, specialmente al tempo delle lotte comunali. Come spesso accadeva, anche i comuni di Faenza e di Forlì erano in lotta fra loro.

Vicende storiche di Corleto e della sua Pieve
La distruzione della chiesa antica

 La chiesa primitiva citata, come si è visto, dall'anno 896 e in seguito in varie memorie negli anni 977, 1014, 1081, 1168, (8) fu distrutta nel XII e XIII secolo e precisamente il campanile nel 1145 e la chiesa nel 1220. Infatti nel giugno 1145 i ravennati e i forlivesi, alleati contro Faenza, si accamparono presso Pieve Corleto e ne distrussero il campanile. Nel 1217 quando è menzionato un castrum Corleti la Pieve è già fortificata, come affermato nel lavoro di Torricelli del 1989. Nel 1220, il 15 ottobre, Federico II, di passaggio per Faenza, concesse provvisoriamente ai Faentini il possesso di terre contese con i forlivesi e riconobbe la legittimità del castello di Cosina, costruito una prima volta dai Faentini nel 1199 per difendersi dalla minaccia forlivese della rocca di Castel Leone edificata vicino a Corleto e al rio Cosina ai tempi del Barbarossa, e che i Faentini avevano assediato insieme a imolesi, bolognesi, alle milizie del conte Guido Guerra e dell'Abate di Galeata. Riusciti vincitori, abbatterono Castel Leone prima che il Podestà di Bologna, investito dell'arbitrato, sentenziasse, ma il podestà pretese che anche il castello di Cosina fosse raso al suolo. Ma facciamo per un momento un passo indietro. Siccome i forlivesi nel 1218 avevano allagato il territorio faentino e quindi anche Corleto, deviando il corso del Montone, i Faentini avevano risposto all'affronto con scorrerie e con la ricostruzione del castello di Cosina chiamato Castel S. Pietro e con la costruzione a valle di Corleto, di un fortilizio a Prada nel fondo Monacheria. Ma il 16 ottobre 1220 l'imperatore Federico II, non appena si trovò in territorio forlivese, autorizzò e aiutò i forlivesi a demolire il castello faentino. Fu quella l'occasione in cui distrussero anche la chiesa di Corleto. Presero inoltre come trofeo un sasso a forma di pigna che si trovava sopra "la treuna [cupola], della chiesa". Nella notte stessa grandine e vento scardinarono le tende costringendo Federico II a fuggire con l'esercito verso Forlì. Soltanto nel 1223 i Faentini poterono bonificare la zona allagata dai forlivesi cinque anni prima, riscavarono il letto del rio Cosina e vi incanalarono il Montone com'è ancora oggi. Nel 1224 quando stavano per riprendere le ostilità, si giunse invece a un trattato di pace dopo che il podestà di Forlì ebbe riconsegnato al Consiglio di Faenza la pigna di sasso sottratta e la somma di 200 lire destinata al Vescovo per ricostruire la Pieve distrutta.(9) Della pigna di nuovo scomparsa nulla più si seppe per secoli finché alcuni decenni fa, durante l'aratura di un campo della zona fu trovato un sasso scolpito a pigna, collocato poi nella cripta. Con tutta probabilità deve trattarsi della famosa pigna, perché non sembra credibile che un'altra pigna uguale sia stata rinvenuta nella stessa località.

La chiesa medievale romanica

La chiesa fu ricostruita in forme romaniche nel 1224 con la somma offerta dai forlivesi, reimpiegando molto del materiale della pieve antica. Ancora oggi dalla soffitta della canonica sono visibili tre finestre romaniche, ora chiuse, che costituiscono l'unico vestigio rimasto della costruzione romanica, oltre a blocchi di pietra spungone nella muratura romanica. Fu mantenuto l'orientamento dell'abside verso oriente, secondo le norme vigenti della Chiesa e quindi i muri nuovi furono innalzati in gran parte su quelli della cripta. Stefano Saviotti (10) in base all'esame del rilievo metrico e degli inventari precedenti il 1778 dà le misure della chiesa duecentesca: m. 23,50 di lunghezza, m.7,50 di larghezza,  ed un'altezza in gronda di m. 8,80 dai piano terra dell'attuale canonica.

Trasformazioni del sec. XVI

Lo studioso faentino Stefano Saviotti, in assenza di fonti dirette relative a una ristrutturazione di età assai più tarda, avanza l'ipotesi che durante il sec. XVI, venuto meno l'obbligo dell'orientamento a est e considerato che il muro che divide l'antica abside dal resto della cripta è più antico, la facciata della chiesa fosse portata verso la strada di Corleto e fosse abbattuta l'abside fin quasi al piano della cripta e fosse alzato il nuovo muro di facciata lungo la linea di innesto delle navatelle nell'abside della cripta, che si ridusse a vano rettangolare con 4 colonnine. Così infatti la descrivono gli inventari anteriori al 1778. Fa pensare a un intervento cinquecentesco anche la presenza di due finestroni a mezzaluna menzionati nell'inventario del 1752, poi demoliti nella ricostruzione del 1778. Sul lato sud, allineata con la nuova facciata, venne costruita anche la canonica prima del 1573, anno della visita Marchesini, quando all'arciprete don Cesare Casella, canonico della Cattedrale di Faenza, fu comunicato l'obbligo di residenza a Corleto nella canonica che, ovviamente, doveva già esistere.

La Chiesa settecentesca

II Settecento vide abbellimenti e modifiche alla chiesa, la totale ricostruzione della sacrestia fra il 1697 e il 1727 per opera dell'arciprete Giuseppe Toli, il rinnovamento del Battistero, il rifacimento della porta maggiore, la collocazione di due cornucopie bianche e dorate ai lati del presbiterio. All'esterno lo stesso arciprete fece costruire un portico grande per mettere al riparo due carri, due birocci e altri attrezzi, un capanno per maiali e pecore e un pozzo. Questi interventi sono documentati dall'inventario del 14 dicembre 1727. Un successivo inventario del 1752 aggiunge altri dettagli sugli altari della Beata Vergine del Rosario e di S. Carlo Borromeo, su quattro nuove cornucopie minori poste sugli altari laterali, su sedici nuove panche, quattordici costruite a spese dei parrocchiani, due dell'arciprete. L'anno 1778 vide la ricostruzione quasi totale della chiesa, forse perché di nuovo labente, voluta dall'arciprete don Francesco Antonio Baraldini su progetto dell'architetto Giovan Battista Campidori. Furono mantenute soltanto le pareti sud e ovest che erano in comune con la canonica, fu aumentata l'altezza della costruzione secondo gli indirizzi stilistici del periodo, allargata la navata di circa 2 m., e ciò comportò la ricostruzione della sacrestia; la facciata della chiesa fu spostata verso la strada di 2 m circa nell'area dell'antica abside del '200; fu anche eretto l'attuale campanile a torre, ed edificato un nuovo corpo di fabbrica a nord, sede oggi del teatro, per ragioni di simmetria. La facciata, con l'aggiunta di un sobrio timpano triangolare, ricorda il  prospetto della chiesa di S. Giovanni di Dio, cioè dell'Ospedale di Faenza, opera precedente del Campidori del 1753, nella scalinata, nelle lesene, nel portale e nel finestrone, senza il marcapiano intermedio, mentre i due raccordi obliqui fra chiesa e corpi laterali si ispirano in versione semplificata alla chiesa di S. Ippolito del 1774. L'interno propone un'architettura molto ricca per una chiesa di campagna, con motivi già sviluppati dal Campidori per esempio nell'Oratorio faentino di S. Pietro in Vincoli: gli originali capitelli e il cornicione interrotto vicino ai finestroni sopra le cantorie. Anche il tema delle colonne libere per reggere l'arco del presbiterio con semicolonne sul muro di fondo del coro era già presente nella chiesa dell'Ospedale. L'interno è completato da ricchi altari laterali in scagliola a finto marmo.



Al centro tela della Beata Vergine del Rosario. Sportello ligneo diviso in 15
riquadri raffiguranti i misteri del Rosario dipinti a olio. Autore ignoto.
Secondo altare di sinistra (h. m. 1,60 - largh. m. 0,90). Si attribuisce al sec. XVIII.
Forse è stato eseguito contemporaneamente alla tela
della B.V. del Rosario (a. 1708). (
Foto Capucci Faenza).
Crocefisso ligneo proveniente dalla Chiesa dei Servi
di Faenza, (sec. XIV), dopo  la distruzione bellica del 1944.
(
Foto Capucci Faenza).

La chiesa negli inventari ottocenteschi

Un inventario del 1833 descrive la chiesa quasi nel suo aspetto attuale, salvo l'inversione rispetto a oggi degli altari del Crocifisso, che era di fronte al Battistero, e di S. Carlo Borromeo. L'inventario del 1873 annota i lavori e gli acquisti realizzati dall'arciprete don Pietro Monti: l'inversione dei due altari menzionati, l'acquisto della statua di S. Luigi del Ballanti, una statuetta in terracotta dell'Addolorata procurata dall'ex cappellano don Camillo Timoncini, attribuibile al bolognese Filippo Scandellari, l'organo collocato in una cantoria realizzata appositamente sul lato destro del presbiterio, il rifacimento in legno di olmo di balaustra e panche, la sostituzione della Croce sull'altare del Crocefisso e di quello a lato del pulpito, un nuovo confessionale, il portone di ingresso e la bussola di legno, la ritinteggiatura completa, l'elenco di otto quadri allora esistenti. Dopo il 1886 furono collocati sul sagrato antistante la chiesa i paracarri in sasso rimossi dalla gradinata del Duomo di Faenza risalente al 1812 e rifatta appunto nel 1886. L'inventario del 1892 compilato dall'arciprete don Federico Salvaggiani documenta la costruzione dell'altra cantoria sul lato sinistro del presbiterio e precisa la nuova collocazione dell'Addolorata ai piedi del Crocefisso,  ed informa sullo spostamento in soffitta del quadro di S. Antonio Abate, rovinato tanto da rendere irriconoscibile il soggetto raffigurato. A S. Antonio fu poi ridedicato il primo altare a destra di chi entra, e questo culto popolare dominante nelle campagne sostituì quello a S. Carlo Borromeo. Documenta il mutamento avvenuto l'inventario di don Luigi Modanesi del 1919. E con l'800 si conclude questa rassegna, ma anche gli arcipreti del '900 hanno effettuato altri lavori e modifiche. 

   
Note

(1) Fantuzzi M., Monumenti Ravennati de' secoli di mezzo, Venezia, 1801, vol. I, p.II, n. VI. Mazzotti M., Le Pievi Ravennati, Ravenna, 1975, p. 94.

(2) Lucchesi G., Festa di S. Stefano e chiese a lui dedicate nell'antica diocesi di Faenza in Terzo Centenario dell'attuale Chiesa di S. Stefano in Faenza, Imola, 1977, pp. 71-79.

(3) Savelli L., L'assetto centuriale dell'Agro Faentino in Parliamo della nostra città, Atti del convegno ottobre 1975, a cura di Bertoni E, Faenza, 1977, p.75.

(4) Tonduzzi G.C., Historie di Faenza, Faenza, 1675, p. 109.

(5) Righini Cantelli V., Un Museo Archeologico per Faenza. Repertorio e progetto, Bologna 1980, pp. 59,167-168.

(6) Panciera S., Giovanni Zaratino Castellini e I'epigrafia faentina, in Studi faentini in memoria di Mons. G. Rossini, Faenza, 1966, pp. 227-241.

(7) I reperti sono conservati al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza.

(8) Fantuzzi M., Monumenti Ravennati cit., vol. I.

(9) Tonduzzi G.C., Historie cit. p. 256.

(10) Saviotti S., Pieve di S. Stefano in Corleto (Faenza) Relazione storica, 1996, p. 3, inedito.

(11) Si veda in questo volume, pp. 11 - 75

 
Tratto da: Santa Cortesi "Il Novecento a Pieve Corleto" , Faenza 2006
  

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