La Pieve di S. Stefano in Corleto
di Santa Cortesi
Il nome
A 5 km
da Faenza, lungo il tratto di via Emilia tra Faenza e Forlì, dopo la borgata di
Cosina, sulla sinistra a oltre 1 km della via secondaria, via Corleto, sorge la
Pieve di S. Stefano in Corleto, ricostruita nella sua forma settecentesca nel
1778 e con orientamento variato, sopra un altipiano con un piccolo piazzale
antistante, protetta da alcuni paracarri in sasso provenienti dalla gradinata
del 1812 del Duomo di Faenza, rinnovata nel 1886. L'ubicazione è a nord della
via Emilia, sul cardine Cosina-Corleto, all'incontro con il decumano, nella
fascia confinaria con Forum Livii, Forlì, all'interno della centuriazione, come
le pievi di S. Pietro in Silvis e di S. Giovanni Battista in Axiata o in
Cesato.
Si tratta in realtà di una località dalla storia antichissima, come del
resto antica è la Pieve e antico il nome stesso di Corleto. Oltre all'accezione
Coryletum che significherebbe boschetto di noccioli, la prima citazione della
Pieve di S. Stefano compare nel documento più antico che risale all'11 giugno
896, il cui testo è il seguente: Desideria Abbadessa del Monastero di S. Maria
ad Cereseo concede per livello a Giovanni Console figlio di Wandilone Console, sei
once di campi, prati e pascoli nel territorio di Faenza, Pieve di S. Stefano in
Coloritula. (1) La versione documentata del nome antico è quindi Coloritula, diminutivo di
colorita, trasformazione del latino medievale di colorata presente nel latino
classico. Si può verosimilmente ipotizzare che l'aggettivo femminile, allusivo
a una tonalità di colore della vegetazione, fosse associata a silva, arbor,
folia, rispettivamente bosco, albero, foglia. Nel tempo poi, dimenticato il
sostantivo femminile sottinteso, si pensò a un sottinteso nome maschile locus e
anche nell'aggettivo prevalse una terminazione maschile che compare per la
prima volta nella forma definitiva Corleto in un documento del 1168.
Pieve Corleto, la chiesa.
|
|
| Pergamena del giugno 896.
|
La chiesa originaria
Sin dalle origini, forse nel VII-VIII secolo, la
Pieve era intitolata a S. Stefano Protomartire, il culto del quale era diffuso
in epoca bizantina e particolarmente nel ravennate durante l'esarcato, dopo il
ritrovamento del corpo del santo avvenuto nel 415. Una bolla pontificia di
Celestino II del 7 dicembre 1143 attesta infatti che fra le 22 pievi esistenti
e citate della diocesi faentina, ben 5 erano intitolate a S. Stefano, mentre
fra le 240 chiese più recenti menzionate nella Ratio Decimarum soltanto 2,
quelle di Zerfognano e di Varano, sono a lui dedicate. (2)
Le Pievi sono le chiese più antiche che si andavano costruendo già dal sec.V
nel territorio lontano dalle rispettive sedi episcopali di appartenenza, quindi
rurali, ma si conoscono anche esempi di pievi urbane. Pieve, dal latino plebs, indica
dapprima una comunità di fedeli, in seguito a partire dall'VIII sec. anche il
tempio in cui tale comunità, il popolo di Dio, si raccoglie in preghiera nel
suo territorio, unito al suo pastore. II termine latino plebs può indicate
anche il territorio della pieve, cioè il plebato equivalente alla
circoscrizione dei vicariati foranei o congregazioni in cui è suddivisa la
diocesi. La diocesi di Faenza è molto antica e documentata già in età
costantiniana. Al plebatus di Corleto si fa sempre riferimento nei documenti
storici ogni volta che si menziona una località fra il rio Cosina-fiume Montone
e la Cerchia di Faenza-fiume Lamone, che ne delimitano i confini
rispettivamente a est e a ovest. A sud e a nord il plebato è delimitato dalle
parrocchie di S. Biagio e di Prada. Sino all'inizio del marzo 1911 per
parrocchia di S. Biagio deve intendersi S. Biagio in Collina o Collonada o di
Oriolo o della Cosena (ove è ora il ristorante detto di "San Biagio
Antico").
Nel
1899 all'ingresso del nuovo parroco, don Giuseppe Bagnolini, la vecchia chiesa
versava in cattive condizioni. Allora il vescovo Gioachino Cantagalli e il suo
segretario don Domenico Pasi avviarono le pratiche per lo spostamento della
sede parrocchiale, gradito a quella parte di popolazione abitante a destra
della via Emilia a km 6 da Faenza verso Forlì. I confini furono stabiliti per
decreto vescovile nel gennaio 1910 e la nuova parrocchia tolse aree a Pieve
Corleto (zona via Emilia e via Carbonara), a S. Mamante, a Basiago, a S. Lucia
e alla Commenda di Faenza. Il 18 gennaio venne data l'autorizzazione dal Re
Vittorio Emanuele III a condizione che la Chiesa si costruisse entro un anno.
II parroco dovette assumersi un grande onere finanziario. I lavori iniziati il
5 marzo 1911 si conclusero con l'inaugurazione il 10 novembre dello stesso
anno. Autore il valente capomastro faentino Giuseppe Magnani, che già aveva
edificato la chiesa di Pergola e di Alfonsine, e che si ispirò a un disegno del
Morelli. La spesa totale fu di L. 32.060,02 rispetto al preventivo di L.
23.000. II vicariato foraneo o plebato di Corleto comprende 7 parrocchie: S.
Stefano in Corleto che aveva sotto la propria cura spirituale le altre 6; S.
Martino in Reda fondata nella Silva Fantina intorno al 1300; S. Lorenzo in
Saldino chiamata un tempo S. Lorenzo in Filipago in Silva Fantina, ricordata
nel sec. XI; S. Salvatore in Albereto menzionata in un documento del 977; S.
Giovannino che ha la sua prima memoria intorno al 1100; S. Maria in Basiago
nominata in uno scritto del 972; S. Barnaba in Quartoregi menzionata in un
documento del sec. XIII, mentre la località Massa Quartoregi è già ricordata
dall'873. Le sei parrocchie sopra citate dopo S. Stefano in Corleto
riconoscevano come chiesa principale la Pieve, chiesa madre. Al parroco della Pieve
spetta il titolo di Arciprete e soltanto la Pieve fino alla Pentecoste del 1918
aveva il Fonte Battesimale, perciò i nuovi nati dovevano essere portati a
ricevere il battesimo alla chiesa madre. Altro privilegio della Pieve è quello
di celebrare la festività del Corpus Domini nel giorno proprio. Storicamente
infatti quando la comunità della pieve ha assunto una sua consistenza, la pieve
costituisce la chiesa principale di un territorio, e in un certo senso una
piccola cattedrale rurale. I sacerdoti delle cappelle sorte in seguito vivono
con l'arciprete nella canonica, appunto casa del clero, alla pieve. Le pievi
erano spesso intitolate agli apostoli o ai martiri. La Pieve intitolata a S.
Stefano Protomartire è situata nelle vicinanze di un incrocio fra due assi
della centuriazione romana, cioè via Bianzarda, ossia il decumano, e via
Corleto, il cardine.
Nel crocevia sorgeva una croce in pietra di epoca altomedievale, travolta
purtroppo da un camion uscito di strada a causa del ghiaccio nell''inverno 1985.
I frammenti recuperati dall'arciprete don Domenico Sgubbi sono conservati nella
cripta. L'ubicazione della Pieve nei pressi di un crocevia centuriale è
testimonianza indiretta dell'antichità della costruzione che, come le altre
pievi del faentino, si può far risalire ai secoli VII-VIII.(3) Le pievi della
provincia di Ravenna si trovavano in gran parte infatti vicino a strade
antiche, come nel nostro caso la via Emilia, spesso vicino al cardine massimo
della centuriazione o a cardini, presso fiumi, per la nostra pieve il Montone e
il rio Cosina, presso centri fortificati e non fortificati o castra o castelli,
come per noi il castello di Cosina - Castel S. Pietro, in situazioni di
confine, tra Faenza e Forlì, lungo tappe viarie (in ottavo, in decimo).
La cripta
Spesso
le antiche pievi nel tempo si arricchivano di cripte e anche la Pieve di S.
Stefano in Corleto ha una sua millenaria cripta seminterrata di grande
interesse storico artistico. Essa è tutto quel che resta della chiesa antica,
anche se la sua costruzione è di molto posteriore alla nascita della Pieve. Nel
ravennate infatti soltanto nella seconda metà del sec. IX si cominciarono a
costruire cripte dalla tipologia a oratorio, come a Corleto. Per la cronologia
delle cripte si impone grande cautela e proprio in rapporto alla tipologia a
oratorio si propone il X-XI secolo, periodo della sua diffusione. La cripta
della Pieve molto probabilmente svolgeva una funzione liturgica e vi si
veneravano reliquie importanti; era dotata infatti di due accessi opposti
adeguati a ingresso e uscita dei fedeli,
senza disturbo delle funzioni in area absidale. Quanto alle fonti documentarie,
soltanto nel 1675 lo storico faentino Giulio Cesare Tonduzzi rompe il silenzio
dei cronisti faentini, perdurante ormai dal '200, con una memoria scritta
relativa alla cripta, ridotta ai suoi tempi a uso di cantina. Le due uscite
nord e sud, forse proprio allora, furono ridotte la prima a finestrella per
dare luce e aria, la seconda a nicchia, e venne aperto un nuovo ingresso più ampio
per far passare le botti e altri utensili da cantina. La cripta non è collegata
alla chiesa, ma vi si accede dalla canonica.
|
Pieve Corleto, il frammento dell'iscrizione.
| Pieve Corleto, la cripta.
|
|
Su una
parete dell'ingresso alla canonica fu murato un frammento di epigrafe romana
PAL.
Scrive
Tonduzzi:
Nella
Pieve di S. Stefano in Corleto, dove si hà, fosse anticamente un castello, si
conserva un antichissimo tempio, e per tale si conosce dalla forma, che hà di
uno delli tempietti della Gentilità. Quivi sino a' nostri giorni ( me lo
affermò D. Pirro Severoli prossimo Arciprete di quel luogo) si è conservato un
busto, e Capo della dea Pallade, per quanto dichiarano alcune parole, che vi
erano scolpite sotto in questa forma. TEMPLUM. ET. ALTARE/ DEAE. PALADI Hoggi
di, per essere affatto sotterra sepolto, serve per grotta da conservarvi il
vino; ne altro è rimasto per attestato che veramente fosse consacrato alla Dea
Pallade, se non qualche fragmento di marmo adattato sparsamente ad altr'opere,
in uno de' quali si legge interamente PALAS, in un altro PAL (4).
Tonduzzi
cade evidentemente in errore pensando che la cripta fosse un tempietto pagano
dedicato a Pallade. Uno dei due frammenti da lui citati PALAS o è perduto o
forse non è visibile perché interrato. Quanto al frammento tuttora visibile,
PAL, Valeria Righini (5) ritiene fosse
parte di un'iscrizione non di Corleto, bensì rinvenuta nella parrocchia di
Basiago, il cui testo è il seguente:
L. PAL.SECVNDI. L.
L. PAL. PHILOGEN
PAL. CLADI. LIB.
Giovanni
Zaratino Castellini, scrittore faentino del '600, testimonia il rinvenimento in
questi termini: extra Faventiam in villa quae dicitur la Basiaga in via
Carbonara, tabula marmorea semifracta reperta in fundo D. Annibalis Manelli.
In
italiano: Fuori di Faenza in una residenza rurale detta la Basiaga in via
Carbonara nel podere del signor Annibale Manelli fu rinvenuta una tavola di
marmo spezzata.(6)
|
| Pieve Corleto, la pigna.
| Pieve Corleto, la croce viaria.
|
Nel 1778, in occasione della ricostruzione della
chiesa, anche alla cripta furono apportate notevoli modifiche in conseguenza
dell'avanzamento della facciata della chiesa verso la strada. Nella cripta è
ora conservato, oltre alla pigna di sasso, sottratta dai forlivesi e poi
restituita nel 1224, dispersa per secoli e ritrovata da pochi decenni, anche un
piccolo capitello in marmo greco, purtroppo spezzato in due, del tipo a lira
(che costituisce una delle più tarde trasformazioni del corinzio), databile ai
primi decenni del VI sec., che era posto a base della croce in cima al tetto
della chiesa. La cripta è un ambiente di grande interesse storico artistico, un
bel monumento di arte cristiana altomedievale ed è una delle poche esistenti in
territorio faentino insieme a quella della chiesa di S. Ippolito a Faenza e
della Pieve di S. Giovanni in Ottavo o del Tho nei pressi di Brisighella. Con
quest'ultima, e con quelle di S. Pietro in Silvis e di S. Pietro in Trento, la
cripta di Corleto è una delle quattro romaniche ancora in essere della
provincia di Ravenna. Pur nelle sue modeste dimensioni, m. 7 x 5 x 2,20 circa,
ha forma di basilichetta a tre navate scandite da 4 colonnine marmoree con
capitelli cubici. Su queste, e sulle corrispondenti lesene a muro, ricadono le
crociere di volta. Le voltine hanno archi ribassati di collegamento. L'abside
occupa tutta la larghezza delle 3 navatelle. La tipologia a oratorio, che ne fa
quasi una piccola basilica sotterranea, è presente già dal IX sec. ma si
diffonde soprattutto nel X-XI. Originariamente c'erano due passaggi opposti di
entrata e uscita. Caratteristiche tutte che fanno rilevare diversi elementi di
somiglianza con la cripta di S. Francesco a Ravenna. E' una cripta molto
semplice, come si riscontra negli esemplari dell'Italia settentrionale. In
relazione alla sua importanza, per la rarità tipologica della struttura e per
la sua probabile funzione di luogo di culto di rilevanti reliquie, è stata
finora oggetto di pochi studi ed è citata in una bibliografia assai scarsa,
mentre merita indubbiamente maggior considerazione.
Il Sito
Antichissima è pure la storia della località,
abitata da migliaia di anni, in epoca preistorica, come attestano i reperti
ritrovati nei primi anni Settanta (mascelle e corna di cervo, punteruoli,
pugnali, punte di frecce, lame, spilloni) a nord-est della ferrovia nel fondo
detto Ca’ Nova. Nel 1976 si è scoperto un insediamento della tarda età del
bronzo.(7) La stessa via Corleto è di epoca romana, fu costruita
contemporaneamente alla via Emilia da Rimini a Piacenza per ordine del console
Marco Emilio Lepido nel 187 a.C. Per la realizzazione della rete viaria furono
abbattute le grandi selve che sorgevano nella zona ed ebbe così inizio la
coltivazione dei terreni. La centuriazione romana tenne conto delle
caratteristiche naturali del terreno, in modo che i cardini minori (le vie
nord-sud perpendicolari ai decumani, vie est-ovest) seguissero la pendenza del
suolo per favorire il naturale drenaggio del terreno. II reticolato realizzato,
strade, sentieri, canali, linee di confine, costituì quindi una vera e propria
opera di bonifica, un'infrastruttura viaria e idrica e una divisione del
territorio che ancora oggi esiste e risponde a reali esigenze del suolo. La via
Emilia era il decumano massimo, via Corleto e via Basiago erano due cardini. Le
campagne quindi in epoca romana erano fiorenti e ben tenute, ma necessitavano
di una costante opera di drenaggio e di disboscamento che venne a mancare con
l'arrivo dei barbari, quando le colture vennero abbandonate, la vegetazione
crebbe liberamente e si riformarono selve e paludi. Il rio Cosina e il fiume
Montone non furono più curati e il territorio fu perciò soggetto a molte inondazioni.
La storia di Corleto è molto legata a questo fiume, specialmente al tempo delle
lotte comunali. Come spesso accadeva, anche i comuni di Faenza e di Forlì erano
in lotta fra loro.
Vicende storiche di Corleto e della sua Pieve
La distruzione della chiesa antica
La chiesa primitiva citata, come si è visto,
dall'anno 896 e in seguito in varie memorie negli anni 977, 1014, 1081, 1168,
(8) fu distrutta nel XII e XIII secolo e precisamente il campanile nel 1145 e
la chiesa nel 1220. Infatti nel giugno 1145 i ravennati e i forlivesi, alleati
contro Faenza, si accamparono presso Pieve Corleto e ne distrussero il
campanile. Nel 1217 quando è menzionato un castrum Corleti la Pieve è già
fortificata, come affermato nel lavoro di Torricelli del 1989. Nel 1220, il 15
ottobre, Federico II, di passaggio per Faenza, concesse provvisoriamente ai
Faentini il possesso di terre contese con i forlivesi e riconobbe la
legittimità del castello di Cosina, costruito una prima volta dai Faentini nel
1199 per difendersi dalla minaccia forlivese della rocca di Castel Leone
edificata vicino a Corleto e al rio Cosina ai tempi del Barbarossa, e che i
Faentini avevano assediato insieme a imolesi, bolognesi, alle milizie del conte
Guido Guerra e dell'Abate di Galeata. Riusciti vincitori, abbatterono Castel
Leone prima che il Podestà di Bologna, investito dell'arbitrato, sentenziasse,
ma il podestà pretese che anche il castello di Cosina fosse raso al suolo. Ma
facciamo per un momento un passo indietro. Siccome i forlivesi nel 1218 avevano
allagato il territorio faentino e quindi anche Corleto, deviando il corso del
Montone, i Faentini avevano risposto all'affronto con scorrerie e con la
ricostruzione del castello di Cosina chiamato Castel S. Pietro e con la
costruzione a valle di Corleto, di un fortilizio a Prada nel fondo Monacheria.
Ma il 16 ottobre 1220 l'imperatore Federico II, non appena si trovò in
territorio forlivese, autorizzò e aiutò i forlivesi a demolire il castello
faentino. Fu quella l'occasione in cui distrussero anche la chiesa di Corleto.
Presero inoltre come trofeo un sasso a forma di pigna che si trovava sopra
"la treuna [cupola], della chiesa". Nella notte stessa grandine e
vento scardinarono le tende costringendo Federico II a fuggire con l'esercito verso
Forlì. Soltanto nel 1223 i Faentini poterono bonificare la zona allagata dai
forlivesi cinque anni prima, riscavarono il letto del rio Cosina e vi
incanalarono il Montone com'è ancora oggi. Nel 1224 quando stavano per
riprendere le ostilità, si giunse invece a un trattato di pace dopo che il
podestà di Forlì ebbe riconsegnato al Consiglio di Faenza la pigna di sasso
sottratta e la somma di 200 lire destinata al Vescovo per ricostruire la Pieve
distrutta.(9) Della pigna di nuovo scomparsa nulla più si seppe per secoli
finché alcuni decenni fa, durante l'aratura di un campo della zona fu trovato
un sasso scolpito a pigna, collocato poi nella cripta. Con tutta probabilità
deve trattarsi della famosa pigna, perché non sembra credibile che un'altra
pigna uguale sia stata rinvenuta nella stessa località.
La chiesa medievale romanica
La chiesa fu ricostruita in forme romaniche nel
1224 con la somma offerta dai forlivesi, reimpiegando molto del materiale della
pieve antica. Ancora oggi dalla soffitta della canonica sono visibili tre
finestre romaniche, ora chiuse, che costituiscono l'unico vestigio rimasto
della costruzione romanica, oltre a blocchi di pietra spungone nella muratura
romanica. Fu mantenuto l'orientamento dell'abside verso oriente, secondo le
norme vigenti della Chiesa e quindi i muri nuovi furono innalzati in gran parte
su quelli della cripta. Stefano Saviotti (10) in base all'esame del rilievo
metrico e degli inventari precedenti il 1778 dà le misure della chiesa
duecentesca: m. 23,50 di lunghezza, m.7,50 di larghezza, ed un'altezza in
gronda di m. 8,80 dai piano terra dell'attuale canonica.
Trasformazioni del sec. XVI
Lo studioso faentino Stefano Saviotti, in assenza
di fonti dirette relative a una ristrutturazione di età assai più tarda, avanza
l'ipotesi che durante il sec. XVI, venuto meno l'obbligo dell'orientamento a
est e considerato che il muro che divide l'antica abside dal resto della cripta
è più antico, la facciata della chiesa fosse portata verso la strada di Corleto
e fosse abbattuta l'abside fin quasi al piano della cripta e fosse alzato il
nuovo muro di facciata lungo la linea di innesto delle navatelle nell'abside
della cripta, che si ridusse a vano rettangolare con 4 colonnine. Così infatti
la descrivono gli inventari anteriori al 1778. Fa pensare a un intervento
cinquecentesco anche la presenza di due finestroni a mezzaluna menzionati
nell'inventario del 1752, poi demoliti nella ricostruzione del 1778. Sul lato
sud, allineata con la nuova facciata, venne costruita anche la canonica prima del
1573, anno della visita Marchesini, quando all'arciprete don Cesare Casella,
canonico della Cattedrale di Faenza, fu comunicato l'obbligo di residenza a
Corleto nella canonica che, ovviamente, doveva già esistere.
La Chiesa settecentesca
II
Settecento vide abbellimenti e modifiche alla chiesa, la totale ricostruzione
della sacrestia fra il 1697 e il 1727 per opera dell'arciprete Giuseppe Toli,
il rinnovamento del Battistero, il rifacimento della porta maggiore, la
collocazione di due cornucopie bianche e dorate ai lati del presbiterio.
All'esterno lo stesso arciprete fece costruire un portico grande per mettere al
riparo due carri, due birocci e altri attrezzi, un capanno per maiali e pecore
e un pozzo. Questi interventi sono documentati dall'inventario del 14 dicembre
1727. Un successivo inventario del 1752 aggiunge altri dettagli sugli altari
della Beata Vergine del Rosario e di S. Carlo Borromeo, su quattro nuove
cornucopie minori poste sugli altari laterali, su sedici nuove panche,
quattordici costruite a spese dei parrocchiani, due dell'arciprete. L'anno 1778
vide la ricostruzione quasi totale della chiesa, forse perché di nuovo labente,
voluta dall'arciprete don Francesco Antonio Baraldini su progetto
dell'architetto Giovan Battista Campidori. Furono mantenute soltanto le pareti
sud e ovest che erano in comune con la canonica, fu aumentata l'altezza della
costruzione secondo gli indirizzi stilistici del periodo, allargata la navata
di circa 2 m., e ciò comportò la ricostruzione della sacrestia; la facciata
della chiesa fu spostata verso la strada di 2 m circa nell'area dell'antica
abside del '200; fu anche eretto l'attuale campanile a torre, ed edificato un
nuovo corpo di fabbrica a nord, sede oggi del teatro, per ragioni di simmetria.
La facciata, con l'aggiunta di un sobrio timpano triangolare, ricorda il
prospetto della chiesa di S. Giovanni di Dio, cioè dell'Ospedale di Faenza,
opera precedente del Campidori del 1753, nella scalinata, nelle lesene, nel
portale e nel finestrone, senza il marcapiano intermedio, mentre i due raccordi
obliqui fra chiesa e corpi laterali si ispirano in versione semplificata alla
chiesa di S. Ippolito del 1774. L'interno propone un'architettura molto ricca
per una chiesa di campagna, con motivi già sviluppati dal Campidori per esempio
nell'Oratorio faentino di S. Pietro in Vincoli: gli originali capitelli e il
cornicione interrotto vicino ai finestroni sopra le cantorie. Anche il tema
delle colonne libere per reggere l'arco del presbiterio con semicolonne sul
muro di fondo del coro era già presente nella chiesa dell'Ospedale. L'interno è
completato da ricchi altari laterali in scagliola a finto marmo.
|
| Al centro tela della Beata Vergine del Rosario. Sportello ligneo diviso in 15
riquadri raffiguranti i misteri del Rosario dipinti a olio. Autore ignoto.
Secondo altare di sinistra (h. m. 1,60 - largh. m. 0,90). Si attribuisce al sec.
XVIII.
Forse è stato eseguito contemporaneamente alla tela
della B.V. del
Rosario (a. 1708). (Foto Capucci
Faenza). | Crocefisso ligneo proveniente dalla Chiesa dei Servi
di Faenza, (sec. XIV), dopo la distruzione bellica del 1944.
(Foto Capucci Faenza). |
La chiesa negli inventari ottocenteschi
Un inventario del 1833 descrive la chiesa quasi nel
suo aspetto attuale, salvo l'inversione rispetto a oggi degli altari del
Crocifisso, che era di fronte al Battistero, e di S. Carlo Borromeo.
L'inventario del 1873 annota i lavori e gli acquisti realizzati dall'arciprete
don Pietro Monti: l'inversione dei due altari menzionati, l'acquisto della
statua di S. Luigi del Ballanti, una statuetta in terracotta dell'Addolorata
procurata dall'ex cappellano don Camillo Timoncini, attribuibile al bolognese
Filippo Scandellari, l'organo collocato in una cantoria realizzata
appositamente sul lato destro del presbiterio, il rifacimento in legno di olmo
di balaustra e panche, la sostituzione della Croce sull'altare del Crocefisso e
di quello a lato del pulpito, un nuovo confessionale, il portone di ingresso e
la bussola di legno, la ritinteggiatura completa, l'elenco di otto quadri
allora esistenti. Dopo il 1886 furono collocati sul sagrato antistante la
chiesa i paracarri in sasso rimossi dalla gradinata del Duomo di Faenza
risalente al 1812 e rifatta appunto nel 1886. L'inventario del 1892 compilato dall'arciprete
don Federico Salvaggiani documenta la costruzione dell'altra cantoria sul lato
sinistro del presbiterio e precisa la nuova collocazione dell'Addolorata ai
piedi del Crocefisso, ed informa sullo spostamento in soffitta del quadro
di S. Antonio Abate, rovinato tanto da rendere irriconoscibile il soggetto
raffigurato. A S. Antonio fu poi ridedicato il primo altare a destra di chi
entra, e questo culto popolare dominante nelle campagne sostituì quello a S.
Carlo Borromeo. Documenta il mutamento avvenuto l'inventario di don Luigi
Modanesi del 1919. E con l'800 si conclude questa rassegna, ma anche gli
arcipreti del '900 hanno effettuato altri lavori e modifiche.
Note
(1)
Fantuzzi M., Monumenti Ravennati de' secoli di mezzo, Venezia, 1801, vol. I,
p.II, n. VI. Mazzotti M., Le Pievi Ravennati, Ravenna, 1975, p. 94.
(2)
Lucchesi G., Festa di S. Stefano e chiese a lui dedicate nell'antica diocesi di
Faenza in Terzo Centenario dell'attuale Chiesa di S. Stefano in Faenza, Imola,
1977, pp. 71-79.
(3)
Savelli L., L'assetto centuriale dell'Agro Faentino in Parliamo della nostra
città, Atti del convegno ottobre 1975, a cura di Bertoni E, Faenza, 1977, p.75.
(4)
Tonduzzi G.C., Historie di Faenza, Faenza, 1675, p. 109.
(5)
Righini Cantelli V., Un Museo Archeologico per Faenza. Repertorio e progetto,
Bologna 1980, pp. 59,167-168.
(6)
Panciera S., Giovanni Zaratino Castellini e I'epigrafia faentina, in Studi
faentini in memoria di Mons. G. Rossini, Faenza, 1966, pp. 227-241.
(7)
I reperti sono conservati al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza.
(8)
Fantuzzi M., Monumenti Ravennati cit., vol. I.
(9)
Tonduzzi G.C., Historie cit. p. 256.
(10)
Saviotti S., Pieve di S. Stefano in Corleto (Faenza) Relazione storica, 1996,
p. 3, inedito.
(11) Si veda in questo volume, pp. 11 - 75
Tratto da: Santa Cortesi "Il Novecento a Pieve Corleto" , Faenza 2006
|