VILLA ROTONDA, FRAGILE UTOPIA
Sandro Bassi
La
«Rotonda» di via Castel Raniero, oltre ai suoi evidentI pregi
paesaggistici, presenta motivi di interesse che la rendono peculiare,
se non unica, nel repertorio delle ville faentine. Come messo in
evidenza da tutti gli autori che se ne sono occupati, è quella che
maggiormente contiene riferimenti alle convinzioni politico-ideologiche
che accomunarono il committente, Achille Laderchi, faentino, con
l’architetto progettista, Giovanni Antonio Antolini di Castel
Bolognese. Attribuita un tempo a Pietro Tomba, la Rotonda venne
«restituita alla sua paternità antoliniana» da Ennio Golfieri nel 1968
e successivamente da Franco Bertoni che ebbe modo di consultare una
notevole mole di documenti (pubblicati poi su Architettura in
Emilia-Romagna dall'Illuminismo alla Restaurazione, del 1977 e su Ville
Faentine, 1980).
Bertoni fa notare efficacemente quelli che costituiscono una sorta di
firma del progettista: i motivi architettonici, simbolici, celebrativi
e decorativi di chiara derivazione massonica, addirittura esoterici,
con forme geometriche circolari e ottagonali alludenti ai concetti di
fraternità e uguaglianza filo-francesi da poco - meno di un anno -
sbarcati anche Faenza (siamo nel 1798). Il motivo che per primo balza
all'occhio di chi sale per via Castel Raniero o di chi guarda la villa
dal fondovalle della Cartiera è appunto la sua «rotondità», espressa
con un corpo circolare porticato che si affaccia su un prato anch'esso
semicircolare, affacciato verso Faenza.
Villa Rotonda. Foto Marco Cavina.
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Questo corpo circolare, come scrive Bertoni, manifesta uno scarso
valore funzionale, del tutto subordinato a quello estetico e
allegorico; il tutto era ancor più percepibile in origine, prima degli
ampliamenti del 1835-40 che interessarono le parti laterali (le ali)
attenuando quell'«asprezza dell'incastro fra cilindro e parallelepipedo
che non tendevano a fondersi ma denunciavano la rispettiva autonomia».
Riferimenti ideologici si ritrovano anche nei due tempietti laterali,
oggi piuttosto trasformati ma in cui è riconoscibile la pianta ad
ottagono (altra forma geometrica prediletta da Antolini e da lui usata
in molte creazioni, prime fra tutte la Villa Il Prato ed il grande
atrio di Palazzo Milzetti) ed un disegno pavimentale in cocciopesto con
linea rossa formante una Stella ad otto punte che circoscrive quattro
quadrati neri intrecciati ad altrettanti bianchi, noto emblema della
fratellanza massonica.
Sappiamo del resto che intenzione iniziale di Laderchi era di dar vita
anche nel giardino a realizzazioni alludenti al suo credo ideologico:
tre ottagoni di oppi (aceri campestri) sorreggenti viti bianche e
rosse, ed un «luogo de Sepolcri», con una piramide avente funzione di
«tomba del uomo da bene» e per il «riposo delli eroi morti per la
patria», probabilmente i soldati francesi caduti nella battaglia del
Senio; il tutto contornato da spalliere di cipressi e «boschetti di
piante lugubri». |
E veniamo all'oggi, dove, nonostante la mancata
attuazione di una parte dei sogni di Laderchi e le trasformazioni
successive, permane l'idea di una villa che reca «la concreta
testimonianza di un periodo in cui l'architettura era ancora tutta
ideologia». L'ultimo volume ad occuparsene, Giardini e campagne di
Romagna (ed. Compositori 2008) pubblica belle foto insieme ai disegni,
già editi, di Antolini e di Romolo Liverani, aggiungendo di
quest'ultimo due vedute di cui non si capisce la pertinenza, al di la
della visionarietà di questo artista che manipolava mirabilmente il
vero a favore di effetti scenografici o romantici. É possibile
raffigurino qualche angolo scomparso del giardino, forse nella parte a
bosco immediatamente a monte (oggetto di una recente, drastica
operazione di pulizia) dove in effetti sopravvivono le tracce di un
laghetto, di un tumulo con rovine come voleva la moda neoclassica con i
suoi «aneliti archeologici» e di vialetti - con specie sempreverdi
scelte fra il mondo mediterraneo (leccio, alloro, laurotino) e
fortemente esotico (sequoia) - che formavano, guarda caso, motivi
circolari.
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L'iscrizione relativa a questo disegno lo descrive come Veduta della
Rotonda Villeggiatura di casa Laderchi. Fuori di Porta Montanara dalle
Bocche dei Canali, Faenza. Antecedente e fonte d'ispirazione per il
lavoro scenografico di Liverani, è la pittura di paesaggio, divenuta a
Faenza con Pietro Piani un genere elegiaco ed intimista. Siamo di
fronte ad un acquerello a più colori, grazie ai quali viene
sottolineata la semplictà dell'impianto, unica veduta centrale ed ombre
oblique e radenti.
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Romolo Liverani, Villa Rotonda, Biblioteca Comunale Faenza.
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La prima carta dell'album originale reca il seguente testo ms
autografo: "Vol. 1. Raccolta di n. 270 vedute della Città di Faenza,
Subborghi ed alcune Villeggiature appartenenti a detta Città. Queste
vedute furono incominciate sin dal anno 1823 è [sic] in più volte
seguite è lasciate, avendole fatte sempre in quel tempo che rimanevano
d'agio ho di spasso. Sono, dette vedute, state poste a termine la
mattina del 14 settembre 1842, giorno fatale per la memorabile piena
delle acque condotte nel fiume, di modoche era la fiumana superiore
alle archate da 3 Metri e per due ore il ponte stesso chiuso, poi non
potendo più regere allo urto del acqua, sulle 10 e 3/4 della mattina
cadde, rovinado [sic] la pilla dalla parte della città, poscia per
consenso mancando lapoggio del Arco di Mezzo la Torre che sorregevasi
sul altra pila tardò un quattro minuti e rovinò anch'essa ed ebbe morte
e tomba in un punto stesso e la stessa mattina io acquerelando la
penultima veduta di questa raccolta. Romolo Pittore negli anni 33 di
mia vita." Il disegno in origine apparteneva ad un album; tale album,
però, durante l'ultimo restauro, ha subito il distacco della coperta e
della legatura, ed ora i disegni sono conservati sciolti in una
scatola, indicata come album n. 7. L'iscrizione sul verso si riferisce
al disegno successivo all'interno dell'album originario.
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La descrizione del disegno di Villa Rotona di Romolo Liverani dal sito: Istituto dei beni artistici culturali e naturali
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