Jacometti una famiglia di fonditori

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Jacometti, Pietro Paolo e Tarquinio

di Davide Righini

da: Dizionario Biografico degli Italiani, volume n° 62 (2004)

JACOMETTI, PIETRO PAOLO
. – Nacque a Recanati nel 1580 da Giovan Battista e da Francesca Calcagni, sorella dello scultore Antonio. Avviatosi allo studio del disegno sotto la guida dello zio e formatosi in campo pittorico come allievo di Cristofano Roncalli detto il Pomarancio, si dedicò poi all’attività scultorea, contrassegnando con la sua produzione, spesso eseguita assieme con il fratello Tarquinio, la fase conclusiva della scuola bronzistica recanatese. L’apprendistato a Roma presso Roncalli si può datare al 1604, poiché nel 1605, come egli stesso ricorda nelle sue Memorie, fece ritorno a Loreto assieme al maestro, per eseguire gli affreschi della sagrestia Nuova e, dalla fine del 1609 al 1614, quelli, perduti, della cupola del santuario della Santa Casa. Il manoscritto autografo (1655), in cui lo Jacometti elenca gran parte delle opere realizzate durante la sua attività, non è più reperibile, ma, già posseduto dai marchesi Podaliri di Recanati, fu trascritto da P. Gianuizzi (Loreto, Archivio storico della S. Casa di Loreto, Miscell. Gianuizzi F, pp. 379-397) e poi pubblicato da G. Pauri (pp. 86-87) e da M. Carancini (pp. 82-89). La collaborazione col Pomarancio viene accolta dalla letteratura artistica non solo locale (Baldinucci, p. 324; Maggiori; Ricci, p. 233), ma risulta difficile chiarire i termini esatti di tale rapporto che, come si evince dalle Memorie, comprese anche alcuni incarichi di lavoro affidati al maestro e passati all’allievo. Tale attività appare tuttavia poco indagata, essendo oramai dispersa la maggior parte dei dipinti citati dalle fonti (alle opere elencate nelle Memorie vanno aggiunte quelle segnalate da D. Calcagni). Rimangono il S. Carlo Borromeo genuflesso, ricordato da Serra (p. 421) nella chiesa delle Clarisse di Recanati (poi Recanati, S. Agostino), e l’Ultima Cena, commissionata nel 1627 dai padri del convento di S. Francesco di Recanati (ora Montelupone, Pinacoteca civica). Tali opere sono caratterizzate da una sorta di controllato espressionismo e dalla costruzione quasi scultorea delle figure, in cui l’artista rivela una discreta facilità di disegno ma una debole qualità coloristica. Il riferimento stilistico rimane l’opera di Roncalli osservata anche per l’impianto compositivo, come evidenziano le affinità formali tra il S. Carlo dello I. e quello attribuito al maestro (Loreto, Museo apostolico).
Dalle Memorie si evince che fu sempre grazie alla mediazione del Pomarancio, con cui collaborò fino al 1615, che lo
Jacometti ricevette le prime commissioni come scultore. Nel 1613 fu incaricato dalla comunità di Recanati di realizzare, insieme con il fratello Tarquinio, il busto bronzeo del cardinale Antonio Maria Gallo, da collocarsi sulla facciata del palazzo comunale; opera perduta il cui disegno è stato attribuito proprio al Pomarancio (Chiappini di Sorio, p. 20). A partire da questa data ebbe inizio il fertile sodalizio artistico con il fratello.

TARQUINIO
nacque, forse a Recanati, nel 1571 e fu battezzato a Loreto il 18 gennaio; fin dagli anni giovanili si dedicò all’attività scultorea sotto la guida dello zio Antonio Calcagni. Alla morte di questi, nel 1596, stipulò il contratto, assieme a Sebastiano Sebastiani, per il completamento della porta bronzea meridionale della basilica di Loreto, iniziata dallo zio nel 1590; il contratto dell’opera, terminata nel 1600, contemplava la lavorazione di alcuni modelli e la realizzazione delle restanti formelle. Non risulta facile riconoscere con certezza le parti spettanti a Tarquinio. Rotondi (pp. 37 s.) gli attribuisce un bozzetto in terracotta raffigurante Giacobbe e l’Angelo (Ancona, Museo diocesano), in cui nota un nuovo senso del movimento, una più evidente duttilità plastica e un maggior pittoricismo nella successione dei piani; in base a ciò lo studioso assegna allo scultore, oltre alle figure dei Profeti e delle Sibille, il riquadro con la Scala di Giacobbe e, quali traduzioni bronzee dei modelli dello zio, il Trasporto dell’Arca santa, Abigail e David ed Ester e Assuero. A Tarquinio sono state poi ricondotte le formelle con il Sacrificio di Caino e Abele, l’Uccisione di Abele, il Sacrificio di Noè, e le quattro Figure femminili che fiancheggiano i grandi stemmi di Sisto V e di Clemente VIII; l’ipotesi della collaborazione con lo zio trova conferma nelle affinità formali tra questo gruppo di opere e le figure allegoriche poste alla base del monumento di Sisto V antistante la basilica lauretana, realizzato e firmato da Calcagni (1590; Giannatiempo López 1996). Il 12 luglio 1597 Tarquinio chiese l’emancipazione dal padre e il 22 febbr. 1599 sposò Silvia Silani, da cui ebbe quattro figli. Negli anni 1600-1607, insieme con Sebastiani e con Giovan Battista Vitali, collaborò con Tiburzio Vergelli al fonte battesimale della basilica di Loreto; il 27 febbr. 1610 si unì in seconde nozze con Laudazia Dongiovanni che gli diede sette figli. Morì l’8 marzo 1636 lasciando allo
Jacometti e ai figli la conduzione della bottega.  A Loreto lo Jacometti realizzò con Tarquinio gli ornamenti bronzei per la fonte dei Galli, richiesti il 14 giugno 1614 e terminati nel febbraio del 1616, e quelli per la fontana della Madonna, commissionati il 12 apr. 1619 e conclusi nel 1622. Contemporaneamente, per la comunità di Faenza i due fratelli eseguirono, anche con la partecipazione di Giovan Battista Vitali, gli elementi scultorei per la fonte posta in piazza Maggiore, fusi tra il luglio 1619 e il settembre del 1620.


Nota di Stefano Saviotti
1619 - In maggio il Comune pubblicò un bando rivolto a scalpellini e fonditori per la realizzazione degli ornamenti del Fonte; il 1° giugno vennero lette le offerte, e risultarono vincitori: per i marmi, gli scalpellini veneziani residenti in Bologna Francesco Campalto, Bartolomeo Cortesi e Marco Trevisani, per una cifra di lire 1225; per i bronzi, i fonditori Pierpaolo e Tarquinio Giacometti e Giovan Battista Vitali di Recanati, per scudi 1200. Va detto che il Comune rifiutò una condizione posta dai fonditori, cioè quella di fornire loro un luogo ove costruire una fornace, e si stabilì invece che l’Amm.ne avrebbe trasportato i materiali occorrenti alle fusioni a Porto Recanati, mentre i Giacometti avrebbero trasportato sino al Porto di Ravenna e quindi a Faenza i pezzi lavorati, potendo anche usufruire di una, camera ammobiliata per il periodo del montaggio delle opere. (le due foto sotto riproducono il contratto dell'appalto dei bronzi ) Terminato il lavoro dei bronzi, il 15 settembre 1620 i fonditori diedero quietanza al Comune per il denaro ricevuto, ovvero scudi 975 pagati il 4 settembre, 5 dicembre 1619 e 13 giugno 1620, più altri scudi 92,95 occorsi per l’acquisto di 533 libbre di bronzo oltre alle 6500 preventivate. 



Trascrizione del contratto:

Al nome de Dio Amen alli 20 Maggio 1619 in Recanati
Havendo noi In.tti notitia che l'Ill.re Co.ità di Faenza vuole perfecionare la fontana conforme  alli disegni  altre volte manifestati, et da noi visti con la mezzanità del M.to R.do Padre M.ro Domenico Paganelli, et considerati, ascendendo alla soma o' numero di  pezzi 48 di bronzo come in esso dissegno, et volendo noi fare da opera quella ci oblighiamo farla p. pretio di scudi mille e duecento  alla valluta di quel Paiese con gli In.tti conventioni  patti  et oblighi resp.e:
E prima come habbiamo d.o dis.ra ne oblighiamo a' fare detta opera di bronzo conforme al d.o Modello visto, et alla somma di n.ro 48 pezzi p.li  s.di 1200 di d.a moneta.
Con patto  che la d.a Ill.re Co.ità o' altri q.lli ne diano il bronzo sufficiente a d.a opera, et lavoro, et l'habitatione  p. lavorarla con la comodità di farci la fornace p. gettarla senza pagamento di pigione alcuna da farsi a' nostre spese eccetuato solo il bronzo et l'habitatione.
Prometiamo d.a opera darla finita in termine di otto mesi doppo che serà stabilito il trattato, et consignatoci la matteria, et il luogo. Et che finita che sera, d.a opera si debba fare stimare da doi homini periti uno p.parte, et  caso, che quella si  trovasse valere più delli d.ti s.di 1200 quel di più noi lo condoniamo a d.a Ill.re Co.ità et suoi Sig.ri Deputati. Se all'incontro meno  tutto quel meno ne contentiamo si difalchi dalla detta somma di s.di 1200.
Item se gli Sig.ri Deputati havessero fatto novo modello o' disegno volendosi valere di noi dandocene un profilo con la pianta e sua misura ne oblighiamo dare sodisfacione alle ss.re loro con altri Capituli. Et p. sicurezza di questa Ill.re Co.ità et suoi  Sig.ri Deputati ne contentiamo, che la moneta, et valuta del opera ne sia sborsata quando serà finita.
Et in fede l'habbiamo sotto scritta di propria mano.
Io Gio. Batt.a Vitali  Scoltore di Recanati  confermo quanto di  sopra.
Io Pietro Paulo de Iacometti  Scoltore di Recanati  confermo quanto di sopra. Io Tarquinio de Iacometti  Scoltore di Recanati  confermo quanto di  sopra.
Actum Faventie etc.

   Et  ego Octavianus Segnolus Not.s et Sec.rius Ill.ris Co.itatis

Faven'  rog.tus  sub.i.


Archivio  di  Stato - FAENZA -  Instrumenta vol.  XIV  fol. 22/v


I documenti sono stati riprodotti dal Cd "La Storia del Fonte Monumentale" di Stefano Saviotti - Miro Gamberini - 2008. I documenti sono conservati presso l'Archivio di Stato di Ravenna - Sezione di Faenza e riprodotti su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Archivio di Stato di Ravenna, autorizzazione n.1/2008, del 11 febbraio 2008.



In tali sculture, alcune delle quali richiamano soggetti figurativi presenti in fontane romane (ad esempio gli Efebi di Taddeo Landini nella fontana delle Tartarughe), appare evidente il passaggio da soluzioni ancora convenzionali, presenti nella prima fonte lauretana, a sottolineature anatomiche più precise e a rese spaziali più disinvolte, caratteri sempre accompagnati da un’estrema perizia tecnica. Tra il 27 genn. 1622 e il 12 genn. 1623, per volere della Comunità di Recanati, lo
Jacometti eseguì con Tarquinio le figure e gli ornamenti bronzei per il fonte battesimale della cattedrale, contrassegnate da una notevole resa naturalistica evidente soprattutto nella definizione plastica del Cristo battezzato. Altri lavori realizzati in questi anni sono andati perduti: il mezzobusto del cardinale Carlo Emanuele Pio di Savoia, fuso nel 1623 per la Comunità recanatese e da collocarsi in una nicchia del palazzo dei Priori; un altro busto del cardinale, commissionato dai deputati della Marca e compiuto nello stesso anno per i tre archi d’ingresso (perduti) a Macerata; non eseguita per mancanza di fondi fu invece la statua di papa Urbano VIII da erigersi a Perugia nel 1626. Nel 1627, con Tarquinio, lo Jacometti realizzò la statua della Vergine di Loreto per la chiesa del Gesù di Ancona (Ancona, Museo diocesano), simile per formato a quella eseguita per le monache di Montenuovo, ora Ostravetere (Baldinucci IV, p. 325), in seguito venduta (Pauri, p. 99). Nello stesso anno e fino al 1629 i due fratelli furono impegnati nella realizzazione del fonte per il battistero di Osimo, voluto dal cardinale Agostino Galamini.  L’imponente opera in bronzo, riccamente decorata, è composta da un bacino sorretto da quattro torelli, sormontato dal fonte vero e proprio in forma di tempietto rotondo. Questo è ornato da bassorilievi raffiguranti il Battesimo di Gesù, la Piscina probatica, la Predicazione del Battista, Naaman siro che si monda nel Giordano e dalle statuette del Battista, della Fede, della Speranza e della Carità; alla sommità è quella del Redentore. La padronanza tecnica dei due maestri si rivela negli effetti di trasparenza delle vesti e nella capacità di trattare il rilievo con abili passaggi da piano a piano, dai dettagli grafici del fondo alle figure in aggetto. Nei documenti riguardanti quet’opera compare sempre il nome dello Jacometti, cui solitamente spettava il ruolo di referente nelle varie commissioni ricevute, ma i riquadri e le statue rivelano una certa differenza di tecnica e di stile: se nelle formelle affiora un’efficace ricerca di pittoricismo e di dinamismo, nelle statuette emerge una forma plastica compatta e levigata, dall’intonazione più manierista, che richiama la successiva Traslazione recanatese (1633), opera in cui la critica ha riconosciuto il preponderante ruolo ideativo dello Jacometti (Gabrielli Fiorenzi).





 Alcuni bronzi del Fonte Monumentale.

Al 1630 risale il ritratto bronzeo di Vincenzo Cataldi, benefattore della S. Casa, voluto dal cardinale Scipione Borghese e attualmente posto nella navata sinistra della chiesa di S. Francesco ad Ascoli Piceno, identificabile, con ogni probabilità, con il «ritratto in bronzo d’un benefattore che fu portato in Ascoli», citato da Baldinucci (p. 325). A quest’anno risale poi l’ultima opera pubblica eseguita insieme dai due fratelli: il bassorilievo in bronzo raffigurante la Traslazione della Santa Casa, collocato il 9 dic. 1633 al centro della facciata del palazzo Municipale di Recanati, ma posto nel 1862 sulla torre del Borgo. Il ruolo ideativo dell’opera, come accennato, si deve allo I. anche per gli evidenti richiami iconografici - in particolare gli angeli (Arcangeli, p. 379) - con il medesimo soggetto affrescato dal Pomarancio nella sagrestia nuova del santuario di Loreto (Chiappini di Sorio, p. 98). Emerge però un’inedita sensibilità nella resa delle figure dai panneggi rigonfi e mossi, che rivela l’apertura dei due scultori verso un linguaggio artistico nuovo. L’opera, per le novità stilistiche e per le qualità tecniche, segnò il definitivo affermarsi della fama dei due artisti e l’intensificarsi dell’attività della bottega. Tra il 1634 e il 1635, eseguirono tre stemmi bronzei da collocarsi sull’altare maggiore della chiesa di S. Giovanni in Pertica (ora del Beato Placido) a Recanati. Negli stessi anni, coadiuvato dai nipoti Antonio e Giovan Battista, figli di Tarquinio, e dallo scalpellino Domenico Rotella, lo
Jacometti eseguì il ritratto bronzeo (disperso) di Torquato Capizuchi, voluto dal conte Prospero Bonarelli; e nel 1636 la statua bronzea di un “certo marchese dei bagni”, richiesta da Alessandro Marini, ma incompiuta o distrutta. Nel 1635 si sposò con Clarice Carbone, dalla quale ebbe otto figli, e l’anno successivo, alla morte del fratello, assunse la direzione della bottega che condusse assieme ai nipoti. Nel 1637 ricevette da Ragusa (Dalmazia) l’incarico di eseguire un busto bronzeo di Michele Prazatto, poi posto nel cortile del palazzo dei Rettori. Al 1644 risale la commissione per i sedici pomi in bronzo posti a decorare l’inferriata, disegnata da Giovanni Branca, collocata intorno alla fontana in piazza della Madonna a Loreto (ora nel Museo della S. Casa). Tra il 1645 e il 1648, per volere del monsignor Caetani, eseguì due memorie sepolcrali in bronzo per il monumento funebre del cardinale Galamini nella chiesa di S. Marco ad Osimo; opera di cui è rimasto soltanto un busto marmoreo posto sulla parete sinistra del presbiterio, contrassegnato dalla notevole resa naturalistica. Nel giugno 1652 realizzò il sepolcro bronzeo del cavalier Amico Panici, ricordato nelle Memorie e un tempo individuato nella chiesa di S. Maria di Murello (distrutta) ad Arezzo (Calcagni, p. 146). Un altro monumento funebre fu eseguito tra il 1653 e il 1654 per il cardinale Tiberio Cenci e da collocarsi nel duomo di Iesi. L’ultima importante commissione, il fonte battesimale della cattedrale di Penne, fu compiuta tra il 1654 e il 1655 per volere del vescovo Francesco Massucci. L’artista, coadiuvato dai nipoti, coordinò la parte bronzea, affiancando Andrea Moscardi da Fano che eseguì quella in pietra, simile nel disegno e nelle dimensioni al fonte di Recanati. Tutti i bassorilievi furono concepiti dallo I., ma gli esiti stilistici non sempre di qualità documentano l’intervento dei nipoti nella fase di realizzazione di alcune parti (Pauri, p. 98). L’attività dello Jacometti annovera poi anche sculture di formato minore, di cui Baldinucci ricorda le «assai piccole figure di metallo, sparse per le case di particolari cittadini» di Recanati. Di tale produzione si conservano due calamai (Faenza, Pinacoteca, 1620 c.; Roma, collezione privata, 1623 circa), e un Crocifisso tradizionalmente attribuito allo I. (Osimo, Museo diocesano). Attorno alla metà del secolo, a Recanati, lo I. operò anche in veste di architetto, progettando la chiesa dell’Assunta (Ricci, p. 28) e intervenendo nel rifacimento dell’interno della chiesa di S. Vito (Baldinucci, IV, p. 325). Lo Jacometti fece testamento nel 1658 (in Carancini, pp. 90-93), anno nel quale va probabilmente collocata la sua data di morte.






Alcuni bronzi del Fonte Monumentale.



FONTI E BIBL.: F. Baldinucci (1681-1728), Notizie de’professori del disegno..., Firenze 1846, III, p. 598 s. (per Tarquinio); IV, pp. 324 s.; D. Calcagni, Memorie istoriche della città di Recanati nella Marca d’Ancona, Messina 1711, pp. 146, 352, 358; L. Cicognara, Storia della scultura ..., II, Prato 1824, p. 281; A. Maggiori, Indicazione al forestiere delle pitture sculture architetture…, Ancona 1824, pp. 22, 106; A. Ricci, Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, II, Macerata 1834, pp. 27 s., 58 s., 60 s., 78, 233, 247; G.M. Valgimigli, La torre dell’orologio e il fonte pubblico di Faenza, Faenza 1873, pp. 30 s.; G. Pauri, I lombardi Solari e la scuola recanatese di scoltura (sec. XVI-XVII), Milano 1915, pp. 85-100; L. Serra, Elenco delle opere d’arte mobili delle Marche, in Rassegna marchigiana, III (1924-25), pp. 372, 421, 433; M. Carancini, Tre autografi inediti di P.P. I., in Il Casanostra, 85 (1934), pp. 82-93; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, X, II, Milano 1936, pp. 721, 724, 746 s., 749-757; P. Rotondi, Sculture e bozzetti lauretani. Contributi alla scultura italiana del Cinquecento, Urbino 1941, pp. 30-42; F. Grimaldi - K. Sordi, Vita e cronologia delle opere dei fratelli Tarquinio e P.P. I., in Il Casanostra, n.s., 1979-1980, pp. 49-82; M. Mafessanti - A. Mazza, I dipinti della chiesa di S. Vito a Recanati e la committenza dei gesuiti, in Notizie da palazzo Albani, XI (1982), 1-2, pp. 92-95; I. Chiappini di Sorio, Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio, Bergamo 1983, pp. 20, 32, 39 s., 98-100; Scultori a Loreto. Fratelli Lombardi Antonio Calcagni e Tiburzio Vergelli. Documenti, a cura di F. Grimaldi - K. Sordi, Ancona 1987, pp. 127, 165-167, 176, 179-181, 183-184, 189-191, 198, 216-232 s.; Pittori a Loreto. Committenze tra ’500 e ’600. Documenti, a cura di F. Grimaldi - K. Sordi, Ancona 1988, pp. 102 s., 243 s.; A.M. Massinelli, Tarquinio e P.P. Iacometti, in Le arti nelle Marche al tempo di Sisto V (catal., Ascoli Piceno 1992), a cura di P. Dal Poggetto, Milano 1992, pp. 255-259; M. Giannatiempo López, Antonio Calcagni e la porta sud di Loreto, ibid., pp. 242, 244; L. Arcangeli, Tracce per una storia della scultura del Seicento nelle Marche. La scultura in bronzo: i fratelli Iacometti, in Scultura nelle Marche, a cura di P. Zampetti, Firenze 1993, pp. 378 s.; L. Zannini, Statua della Vergine di Loreto, in F. Grimaldi - K. Sordi, L’iconografia della Vergine di Loreto nell’Arte, Loreto 1995, pp. 180 s.; M. Giannatiempo López, I bronzi lauretani di età sistina. Storia e restauro, Cinisello Balsamo 1996, pp. 94 s.; A. Gabrielli Fiorenzi, Il fonte battesimale, in Opere d’arte nella città di Osimo. II, a cura di M. Massa, E. Carnevali, Ancona 2002, pp. 183-186; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XVIII, pp. 263 s.; Diz. encicl. Bolaffi dei pittori e degli incisori..., VI, 1974, pp. 283 s. Davide Righini




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