Autoritratto di Achille Farina.
Medaglione ovale con cornice in ceramica,
cm. 59 x 75. Tecnica pittorica imitante il disegno
a sanguigna su ingobbio. Firmato:
«A. Farina ritrattò se stesso. Faenza 1876».
Prop. Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza.
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Achille Farina il maestro del ritratto
di Stefano Dirani
Achille
Farina nacque a Faenza il 16/2/1804 (1) da Ignazio e Lodovica Errani,
una romana. Già da anni la sua famiglia viveva a Faenza e nel
Censimento Napoleonico del 1812 è registrato un certo Michele, come
proprietario di una casa a due piani nel Rione Nero, in Contrada S.
Bernardo n. 462 (2). Dopo aver appreso i primi elementi di disegno,
frequentando scuole private, lavorò presso la litografia di Pietro
Angiolini e soci a Bologna dove riprodusse, fra gli altri, anche molti
affreschi del Giani presenti in vari palazzi di Faenza e Bologna poi,
per un breve periodo, fu ceramista presso la Fabbrica Ferniani.
Si recò
quindi a Firenze dove visse a lungo ed in quel meraviglioso centro
culturale ebbe modo di esercitarsi nel disegno eseguendo stupende
sanguigne e ricopiando le tele dei grandi maestri presenti nelle varie
gallerie della città. Si cimentò poi nella pittura ad olio e forse
l'opera tecnicamente più riuscita di quel periodo è la tela
riproducente «Giuditta e Saul», che ancora oggi si può osservare nella
Pinacoteca di Faenza assieme al suo autoritratto ed al ritratto di
Lodovico Caldesi. Nell'anticamera del Sindaco sono pure conservate le
tele riproducenti la «Maddalena» e il «Giuseppe venduto ai mercanti»,
ed appunto per l'abilità che aveva dimostrato nell'esecuzione di queste
opere e per la formazione professionale che aveva conseguito tramite le
molteplici esperienze fatte, ottenne il diploma di Professore
dell'Accademia di Belle Arti, diploma che esercitò nelle città di
Arezzo, Bologna, Firenze, Modena e Siena.
Nel 1850 venne invitato a Faenza come Maestro di Disegno nel ginnasio.
Il 28 giugno di quello stesso anno, infatti, Giuseppe Marri
(1788-1852), già titolare della cattedra, aveva inviato le proprie
dimissioni all'Amministrazione Comunale ed il 4 agosto era stato
pubblicato il bando di concorso per il posto vacante.
Assieme al Nostro presentarono domanda: Luigi Errani, Romualdo
Timoncini, Federico Argnani e Adriano Baldini, ma fu proprio il Farina
ad essere nominato insegnante di disegno e figura. La carica gli venne
conferita ai primi di gennaio del 1851, ma essendo egli costretto a
rimanere a Firenze fino a metà maggio per impegni presi in precedenza,
inviò immediatamente una lettera per chiedere una proroga. La richiesta
venne accolta e fu quindi nominate supplente Filippo Baldini che lo
sostituì fino al termine del mese suddetto, quando Achille iniziò a
condurre corsi regolari (3).
Oltre ad insegnare figura ed ornato dal
1852 al 1864, il Farina venne pure nominate Direttore della scuola e
svolse il suo compito con grande profitto. Molti fra i suoi
numerosissimi allievi ottennero infatti risultati lusinghieri nel
settore artistico, tra gli altri Antonio Berti (1830-1912) e Raffaele
Marabini (1840-1914). Nel 1864 egli lasciò l'insegnamento e gli
successero Girolamo Conti (1805-1878) e dopo di lui il pittore Antonio
Berti che vinse il concorso per la cattedra di disegno. Quest' ultimo,
allievo del Nostro, ma anche dell'Ussi, del Marri e del Tomba
(1774-1846), cambiò la denominazione della scuola dapprima in «Scuola
di Disegno e Plastica» e successivamente, nel 1879, in «Scuola di Arti
e Mestieri». La scuola, infatti, era stata fondata con l'intento di
formare e perfezionare gli artigiani nella lavorazione delle varie arti
applicate, col preciso scopo di fornire alle Industrie faentine mano
d'opera sempre più qualificata.
In questa seconda metà dell'Ottocento, le fornaci sfornavano
prevalentemente ceramica per uso domestico, molto elementare nella
fattura e quasi sempre priva di decori; solo la Fabbrica Ferniani e
poche altre producevano maioliche artistiche di un certo livello.
Resosi conto che l'antico prestigio dell'arte ceramica faentina stava
perdendosi, il Farina mise in atto un progetto che da tempo aveva in
mente: quello di creare un laboratorio con un indirizzo completamente
nuovo.
Nel 1864, quand'era ancora Direttore della Scuola Comunale di Disegno,
fece costruire una fornacetta vicino alla villetta (progettata dal
Tomba) che possedeva lungo lo Stradello dei Cappuccini e lì fece vari
tentativi per l'acquisizione di una tecnica migliore in campo ceramico.
I primi esperimenti, le ripetute prove di colore non diedero all'inizio
risultati molto positivi, ma la forte passione, la tenacia e la
caparbietà erano destinati in seguito ad avere successo. Abbandonato in
quello stesso anno l'insegnamento si cimentò in vari motivi
rinascimentali, nel figurativo come pure nel ritratto su piatti e
lastre di grande dimensione perfezionando una tecnica particolare detta
«ad impasto» che emulava sulla ceramica l'effetto della pittura ad
olio.
Questo particolare tipo di applicazione permetteva di decorare lo
smalto già cotto e leggermente fissato ad una temperatura non molto
alta. In pratica, dopo aver sottoposto l'oggetto alla prima cottura
(biscottatura), lo si ricopriva uniformemente con lo smalto,
sottoponendolo poi ad una seconda cottura che non superava i 700 gradi,
ma che avrebbe comunque fissato lo smalto stesso. Si otteneva così una
base solida, sulla quale, miscelando i colori con particolari olii e
resine, (per meglio farli aderire alla superficie) si ottenevano sulla
maiolica varie tonalità. L'ultima fase era poi quella del fissaggio con
una ultima cottura a 920 gradi.
Questa particolare pittura ad impasto si poteva applicare direttamente
anche sul grezzo oppure sul cosiddetto «ingobbio». Il Farina disegnava
pure su biscotto sotto vernice con una matita pastello vetrificabile
color sanguigna ottenendo ottimi esiti nel ritrarsi spesso in pose
svariate. I notevoli risultati raggiunti invogliarono anche altri
pittori a cimentarsi in questa tecnica affascinante che otteneva
risultati davvero particolari; vi si dedicarono fra gli altri Antonio
Berti (1830-1912), Angela Marabini (1818-1892), Giuseppe Ghinassi
(1844-1903), Ludovico Bellenghi (1815-1891), Tomaso Dalpozzo
(1862-1906), Adriano Baldini (1810-1881), Savino Lega (1812-1889),
Giuseppe Calzi (1846-1908) e Savini Romeo. Finalmente il 28/11/1869 il
Nostro inaugurò la fornacella come ci documenta la scritta su di una
piatto esposto nelle bacheche del Museo Internazionale delle Ceramiche
di Faenza e qualche anno dopo giunsero i primi riconoscimenti
ufficiali. Nel 1871, ad esempio, all’ Esposizione di Milano ottenne un
vero successo personale e meritò la medaglia d'argento. Nello stesso
anno all' Esposizione di Forlì risultò vincitore di un'altra medaglia
d'argento, mentre l'anno successivo per i suoi meriti venne insignito
della Croce di Cavaliere.
Fu in quello stesso periodo che, con l'aiuto di vari personaggi di
prestigio faentini e non, fu promotore della società «A. Farina e
Company» i cui pezzi tanto successo ebbero anche all'estero. Se
volessimo fare un bilancio di tutto il suo operato a parte l'abilità
personale che lo fece definire «il maestro del ritratto», suo grande
merito fu quello di aver contribuito a riportare in auge l'antica
tradizione artistica della maiolica faentina. A Faenza, nella
Pinacoteca e nel Museo Internazionale delle Ceramiche, sono conservati
suoi autoritratti, come pure a Firenze nella Galleria degli Uffizi.
Mori a Faenza l' 11/1/1879 e per rendere omaggio alla sua memoria,
diversi anni dopo, nel 1894, il Dalpozzo eseguì un ritratto su maiolica
che gli amici fecero porre nella locale chiesa del Cimitero.
NOTE
(1) Archivio di Stato di Faenza - Archivio Notarile Vol. 5225 Notaio Natale Minardi anno 1828.
(2) Nato a Faenza il 9/5/1745 da Sebastiano e Antonia Cavassi, Michele
aveva sposato Teresa Sercognani dalla quale aveva avuto quell' Ignazio
padre appunto di Achille.
(3) G. Vitali - «Una Scuola di Disegno a Faenza» - Comune di Faenza - Assessorato alla Cultura - 1983.
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Firma autografa di Achille Farina. |
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La villetta sede della fabbrica di ceramiche Achille Farina
che era situata nello Stradello dei Capuccini, 1930 circa.
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