Alfredo Comandini |
"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici. |
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ALFREDO COMANDINI
di Nino Drei Antonio Alfredo Comandini nasce a Faenza, al n° 3 di corso Garibaldi, in casa dei Damiani dall'Olio, nel 1853, mentre il padre Federico, cospiratore di origine cesenate due volte condannato a morte, è in carcere. Trasferitosi poi con il padre a Cesena è segretario della Consociazione di quella città sino al 1872 quando si stabilisce a Roma per studiare giurisprudenza. La sua grande passione civile lo porta, dopo essere stato nel 1874 fra gli arrestati di Villa Ruffi, e mentre ancora studia, ad entrare nel mondo del giornalismo come corrispondente da Roma. Nel 1879 è chiamato a dirigere a Vicenza "II Paese" e, nel 1880, passa, sempre come direttore, all' "Adige" di Verona. Nel 1883 raggiunge Milano ove dirige "La Lombardia" che riesce a trasformare da giornale ormai in declino in un organo di stampa vivace e combattivo.
Memorabile è tuttora la sua "L'ltalia nei Cento Anni del Secolo XlX giorno per giorno illustrata.". Nella professione giornalistica è tuttora indicato come il primo esempio di giornalista che racconta obiettivamente i fatti senza stravolgerli a fini politici. Memorabile e non solo questa sua inchiesta sulla situazione della Romagna nel 1881, ma anche quella scritta nel 1894 come inviato in Sicilia in occasione dei gravi disordini verificatisi nell'isola. II "Corriere" appoggia la linea politica governativa del pugno di ferro ed approva lo stato d'assedio decretato dal Crispi per la regione siciliana, ma Comandini rovescia completamente la linea del giornale inviando corrispondenze che portano alla inevitabile conclusione che, come già in Romagna, la politica attuata dai governi, di Destra o di Sinistra, nei confronti dell'isola negli ultimi trent'anni è sempre stata totalmente sbagliata, che il disinteresse della classe dirigente del nord verso la Sicilia è una delle cause principali dei disordini che si stanno verificando e che per la Sicilia occorrono, non misure di repressione poliziesca, ma coraggiosi provvedimenti finanziari ed una maggiore autonomia. Oppositore dell'intervento italiano nella Grande Guerra non si risparmia dal prodigarsi per l'assistenza durante il conflitto e chiude la sua vita il 9 luglio 1923 partecipando egli stesso ai pochi amici intimi la sua morte con un annuncio, precedentemente preparato, che si apre con le parole: "Partecipo con la presente che ho cessato di vivere in questo globo terracqueo, nel quale vidi la luce da Faenza, tra il 4 e il 5 dicembre 1853, da Federico, di Cesena, e da Clementina Bonini, di Faenza...."
Articolo pubblicato il 18 gennaio 1881 sul n° 17 del giornale L'Adige. La dignità
personale - il punto d'onore - onore male inteso - le questioni - le
risse - il duello - i Romagnoli contrari al duello - risse e duello -
coraggio romagnolo - Prender parte - la Romagna non ha sicari
Abbiamo detto che una delle cause materiali e principalissime di frequenti reati di sangue in Romagna si è l'abuso del porto d'armi. Abbiamo detto anche che il romagnolo quando impugna l'arma è quasi sempre dominato dall'esagerato sentimento della propria dignità, che egli reputa offesa da colui contro cui vuol inveire. Ci affrettiamo a soggiungere che per questo concetto della dignità personale si arriva in Romagna fino a vedere un'offesa in ciò che presso altre popolazioni sarebbe semplice ed imponderabile scherzo. — In questione di dignità personale il popolo romagnolo non conosce mezzi termini; ogni menomazione di questa dignità è grave, e merita l'istessissima pena, si tratti di un vero attentato contro l'onore, o si tratti di una semplice lesione all'autorevolezza. II popolo romagnolo non conosce qui ne termini, ne proporzioni; e, secondo lui, la personale dignità offesa vuole il sangue. C'e del cavalleresco in tutto questo — ciò è innegabile; ma il cavalleresco sparisce presto, se si pensi che nel cimento che succede ad un'offesa fatta o ricevuta spariscono pei contendentl le garanzie, anzi, di garanzie non ve ne sono che per l'offeso, al quale si riconosce tacitamente il diritto di vendicarsi.Quando in Romagna accade in un'osteria, in un orto, in un luogo qualunque una questione fra due o piu persone, la parola di sfida: ven fora, vigliacc! Si sente subito, ripetuta dai contendenti; si va fuori, e siccome per trovare armi non c'e generalmente che da pescarsi nelle tasche, le armi sono subito tratte fuori, ne segue una rissa con ferimenti ed omicidi; e tutto questo per un giusto o male inteso punto d'onore. Onore di donne, onore personale, onore di un amico assente, onore politico — ma onore, che viene vendicato con ferimenti ed assassini tutt'altro che onorevoli!
Noi non crediamo che il duello sia una bella cosa, ma fra le querele continue e non mai finite, che pongono il disordine in una città, I'allarme negli animi, che rinfocolano le ire, e rendono frequenti le catastrofi, noi preferiremmo un buon duello, anche con conseguenze mortali, e dopo il quale ogni cosa fosse finita. Ma il duello non è nel costume dei Romagnoli, perché non è né nella loro educazione, né nel loro coraggio. I romagnoli sono innegabilmente coraggiosi, ma l'é un coraggio il loro che ha bisogno della fiamma della passione, e uno sfogo, e un impeto. Quella fredda sicurezza di due che si battono non è coraggio romagnolo; come l'animo romagnolo non può adattare all'esuberanza della propria passione le correttissime leggi che regolano il duello. Spada e sciabola sono due armi che il Romagnolo conosce poco; l'arte dell'ammazzare e del morire bene il Romagnolo non la studia; e quando l'animo è irritato, ogni indugio è insopportabile, ogni temperamento inaccettabile, ogni soddisfazione che non sappia di vendetta inammissibile. Sarebbe desiderabile davvero che questa etica curosissima del popolo romagnolo si correggesse; ed anche i più fieri possono star sicuri che non ne scapiterebbe davvero la fama di coraggiosa che ha quella popolazione.I ferimenti e gli omicidi accadono quasi sempre in rissa. Ferimenti ed omicidi per derubare, per scopo di rapina, ne avvengono, ma ben di rado; si registrano a quando a quando nella cronaca delle campagne, e, rari come sono, non diversificano dalle grassazioni che avvengono in ogni provmcia d'ltalia. I ferimenti e gli omicidi che allarmano giustamente la pubblica opinione, non sono attentati contro la proprietà. Sono la conseguenza di un'educazione disgraziata, per la quale non fu mai posto in nessun tempo, e per nessun partito, un freno alle passioni. Si comincia con una discussione, che mano a mano si fa viva, diventa disputa, diverbio, dialogo insolente fra due o piu persone. Dalle offese verbali si passa alle provocazioni, dalle provocazioni ai fatti, e il dissenso fra due individui genera spesso la morte di uno o due e il ferimento di altri. E non e raro il caso che i contendenti primi se la cavino a buon mercato, e che le spese le facciano quelli venuti poi e che hanno voluto prender parte. Questa di prendere parte in Romagna è conseguenza della già da noi accennata teoria del reciproco appoggio.
La Romagna non ha mai dato, e non darà mai sicari. Dal Pianori, faentino, che attentò alla vita di Napoleone III, all'ultimo rissaiuolo di questi giorni, si è avuto sempre a che fare con gente che ha agito per conto proprio obbedendo all'impulso di passioni che le ardevano nell'animo, e che, pur avendo lontano legame o ideale rapporto politico con persone mai intervenute in simili lotte, non attendeva da queste, per commettere delle pazzie, ne assenso, ne eccitamento. Appunto è spessissimo accaduto in Romagna ad uomini liberali ed onorandi di vedersi fatti segno all'odio di taluni spiriti turbolenti, i quali pretendevano di trascinarli almeno ad un tacito assenso per le pazze e disgraziate imprese a cui volevano per fine politico awenturarsi. Cosa questa della cui verità quanti hanno avuto parte nelle vecchie cospirazioni possono attestare, e che rivela anch'essa come in Romagna i mali che si deplorano siano inveterati ed antichi. |
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