All'inferno per una "porcha".....

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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All'inferno per una "porcha".....

di Giuliano Bettoli - Miro Gamberini

da: Il Piccolo, 31 gennaio 2014


Per contarvi il fatto di Tebaldello Zambrasi, un faentino che ha avuto l’alto onore di essere scanocchiato giù nell’Inferno proprio da Dante Alighieri in persona, siccome è un fatto grosso di quel poco, ció, stavolta in sul posto di scrivere l’articolo d’in uno come sempre, lo scriviamo d’in due: il solito G.Bettoli insieme a M.Gamberini, suo Braccio Destro. Così, d’in due mettiamo insieme più dóga. Badate bene: Dante nel suo Inferno di faentini ce ne ha messi due (che, invece, di borghigiani, nessuno: toh!). Uno dei due è frate Alberico Manfredi, mo sì, quello “delle frutta del mal orto”. Ma siccome quel fattàccio lì lo sa bene l’Arciprete della Pieve di Cesato perché era un suo parrocchiano, ve lo fate contare da lui. Quell’altro è Tebaldello Zambrasi. Ma cosa aveva mai fatto sto Tebaldello così di male da farsi mettere proprio in fondo all’Inferno, avolato nel ghiaccio? Dante dice solo “che aprì Faenza, quando si dormìa”. Poca roba. Allora, state mo da sentire che il resto ve lo contiamo noi due. Siamo a Faenza nel 1281. Non è  passato tanto: solo 733 anni. Faenza ha un 10 mila abitanti, e le mura, - come ha scritto il nostro Stefano Saviotti, - sono molto più indietro di quelle d’adesso. Porta Imolese è pressapoco dove oggi c’è l’incrocio di corso Mazzini con via Cavour. Dovete fare a sapere che anche a Faenza, come dimpertutto, c’è una lotta bòia tra due partiti: i Ghibellini e i Guelfi. In più, tutte le famiglie tengono un porco personale fuori dall’uscio di casa, legato con un cordone (si vede che l’Ufficio Igiene del 1281 è di mànica larga). Scopo duplice: ingrassano il maiale coi rifiuti che tutti buttano sulla strada e così contribuiscono alla “nettezza urbana”. Cioè a Faenza nel 1281 i maiali sostituiscono l’Hera del 2014. Tebaldello è un pezzo grosso dei ghibellini faentini e anche lui tiene il suo porco davanti a casa. Anzi è una pòrcha (sì, nei libri è scritto con l’acca). Insomma, è una troia: un maiale di sesso femminile. Ce ne sono altre in giro. Ció, una brutta notte, la troia di famiglia sparisce! Tebaldello si adànna a cercarla: chi è stato l’autore del furto suino? A forza di darci, viene a imparare che a fargli fuori la maiala che è  stata la squadraccia dei Lambertazzi! Chi sono sti Lambertazzi?  State poi da sentire. I Lambertazzi sono una famiglia ghibellina bolognese in gran lotta coi Geremèi, un’altra famiglia bolognese, grossa mo grossa di quel poco, che invece è guelfa. Per non farsi ammazzare, sti Lambertazzi nel 1274 sono stati costretti a scappare da Bologna, si sono spargugliati per la Romagna e un rozzo di loro si è sistemato a Faenza. Dove sta di casa Tebaldello? Non lo sappiamo brìciolo. Ma perché i Lambertazzi gli rubano la porcella? Così, per teppismo, una bravata. Perché, poi, sti Lambertazzi a Tebaldello non solo ci rubano la pòrcha (o troia che dir si voglia), ma se la sbàfano tutta, in comitiva: alè, baracca! Tebaldello, quando l’impara, sùbito fa conto di stare allo scherzo. Tanto che ai Lambertazzi che son dietro a mangiarsi la suina sulla gardèlla, ci manda addirittura un vaso di salsa piccante, quasi per dirci “Che buon pro vi faccia!”. 


Non vi soddisfa questa fotografia cosa volete? Che sul "Piccolo" ci mettessimo la fotografia di Tebaldello che apre Porta Imolese la notte del 24 agosto 1281? Ciò, non abbiamo potuto. Perché? Perché la fecero sì la foto, ma non è venuta. Perché? Ma perché era buio e il flés nel 1281 non c'era briciolo. Allora, in mancanza d'altro, per darvi un'idea di una brutta faccia che tira un catenaccio, Miro Gamberini ha fotografato Giuliano Bettoli che è dietro a tirare il catenaccio del portone della Casa del Popolo di via Castellani 25. L'ha fatta bene il 25 gennaio del 2014 e non il 24 agosto 1281. Ma quando c'è la buona volontà....e poi Bettoli in fotografia viene meglio di dietro che davanti.



Ma, dopo, si mette a macchinare: “Ció, sti prepotenti di Lambertazzi stavolta mo sono passati di là!”, e, per farsi a pari, stròloga una vendetta proprio col ciòcco. Anche se lui è un ghibellino, va a Bologna di nascosto a parlare coi Geremèi, guelfi, nemici giurati dei Lambertazzi. E combina con loro che lui la notte del 24 agosto del 1281 ci aprirà il portone di Porta Montanara (la data non è sicura di posta, ma è la più probabile). Notte del 24 agosto 1281, dunque. Faenza dorme della grossa, ignara del ràgano che sta per arrivare. Tebaldello di soppiatto apre Porta Imolese. Entra in Faenza una squadraccia guelfo-bolognese, comandata dai Geremèi. Sono centinaia e centinaia: un casìno del diavolo dappertutto. Arrivano in piazza: incendiano, devastano e uccidono. Nove Lambertazzi, poveretti, si rifugiano nella chiesa di San Francesco: allora c’era il diritto d’asilo nelle chiese, lo sapete. Non conta nulla: i Geremèi vanno dentro lo stesso e li uccidono tutti e nove: li tagliano addirittura a pezzettini. Entrano anche in altre chiese e uccidono e violentano a man bassa: donne, bambini, preti, frati, suore! Un massacro! Botte da orbi: un certo Margotto Margotti coi figli pianta il gonfalone strappato.al nemico. Ma un Guidottino Prendiparte fa fuori il Margotto. Che poi, allora, un Ruffino de’ Principi con la mazza fa fuori Guidottino: insomma, è un macello! I ghibellini faentini alla fine scappano tutti come dei disperati da Porta Montanara (che poi era dove c’è adesso la piazzetta di Santa Lucia), e si spargùgliano per la campagna. A Tebaldello, come premio del “tradimento”, sapete cosa ci danno i bolognesi? Ci fanno un lauto banchetto e ci regalano delle case e dei poderi dei Lambertazzi. Non solo. Mettono su su un Palio nuovo di zecca, che, per decreto del Senato Bolognese, si dovrà correre in perpetuo a Bologna “in strada Maggiore” - l’attuale piazza Aldobrandi - tutti gli anni il 24 agosto, quale “Ricordanza della Conquista Guelfa di Faenza”. Badate: di sto Palio, detto anche “Palio di San Bartolomeo” o “Palio della Porchetta”, a Bologna c’è rimasto il ricordo ancor’oggi. Però Tebaldello, il guadagno del suo tradimento? Se lo gode proprio poco. Difatti, l’1 maggio 1282, neanche nove mesi dopo, sotto le mura di Forlì, viene sbudellato mentre combatte nelle fila dei Francesi, mandati da Papa Martino IV contro Guido di Montefeltro, che comanda la Rocca di Forlì. Che poi quella volta lì dei soldati francesi ne furono ammazzati delle migliaia dai forlivesi, tanto che Dante chiamerà Forlì “la terra che fe’ già la lunga prova e de’ Franceschi sanguinoso mucchio...”. Ehi, di delinquenti e di assassini ce n’era una massa anche una volta. No? Però, lei, caro monsignor Claudio, vescovo di Faenza, ma originario di Bologna, ci pensi mo un po’: sarà poi ora che i bolognesi ci chiedano perdono ai faentini,  per quella boiatàccia lì di 733 anni fa. Cosa ne dice? Ció, ne potrebbe parlare col cardinal Caffarra...

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