Bendandi, colui che «prevedeva» i terremoti

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Bendandi, colui che «prevedeva» i terremoti
di Geminello Alvi
articolo tratto da: "Il Venerdi" del 16 settembre 2016

Sconfessato dagli scienziati, ma rispettato dai politici, sosteneva che le cause dei sismi
 andassero cercate in cielo.
Ritratto di un eccentrico che preconizzò persino la fine del mondo...

Un'oretta in auto ed eccomi a Faenza, via Manara 17, a spiare le delicate inferriate di una casetta a schiera, popolare, di fine Ottocento: è l'abitazione laboratorio decorata con lavandino di graniglia, nonché il museo, del Raffaele Bendandi. Nome che non dirà molto adesso, ma che qualcosa contava durante i terremoti d'Ancona del 1972, tra la gente con le coperte sulle spalle a spasso di notte, mentre le case si fendevano di crepe. Alla minima scossa, era a questo tale anziano in camice scuro e volentieri incazzoso, fronte alta divisa dal basco a proteggergli la calvizie, che si rivolgevano la Rai e i giornali. Da decenni del resto, affaccendato eppure in cravatta, con tra le mani cartigli di conti a sei cifre, era lui che prediceva il dove e quando di universi terremoti planetari. Quanto bastava allora a tutti per ricordarsi, ad ogni sommovimento, che lui l'aveva detto, fosse o no vero. Del resto un terremoto implica senso d'immane sospensione del consueto, è uno scuotersi che interrompe il corso ovvio degli eventi, e svela precario e irreale tutto. Il che forse spiega perché l'autodidatta esecrato dai sismologi risultasse, dopo un terremoto serio della scala Mercalli, più ascoltato di loro.

Bendandi nel suo laboratorio, osservare il gatto con che attenzione guarda lo studioso.
E comunque eccola qui a Faenza pure la lettera di Serrini, al tempo presidente della Regione Marche, che volentieri se ne discorreva del caso Bendandi con mio zio dentista. Ed e suo, l'ufficiale ringraziamento in data 2 marzo del 1972 «per la spontanea e preziosa collaborazione da Lei offerta e il mio personale compiacimento per l'esattezza delle previsioni e dei rilievi da Lei effettuati». Ma alla Bendandiana non è che una di tantissime. Non manca la foto di Andreotti che lo premia. E però pure la carta bollata della severa diffida, a non dare più ai giornali esteri o italiani notizie relative a futuri terremoti che gli fecero firmare il 31 maggio 1926. Abbondano i ritagli di quotidiani serbo croati, del Perù o di non so dove, che in prima pagina ammettevano alcune esatte previsioni, e anche quello del New York Herald Tribune gli riconosceva addirittura quella del terremoto giapponese del 1922. II luogo e alla rinfusa, ovunque accumulo di calma casalinga e sismografi, che sembravano macchine di Jules Verne, eppure sono gli stessi che Bendandi fabbricava per mantenersi nel 1939. Rivendeva del resto pure quei giocattoli di legno colorati che intagliava, malgrado la foto dell'Imperatore del Giappone con dedica incorniciata d'un dignitario. E però la sua fabbrica più inesausta era quella dei conti planetari: sulle ginocchia le effemeridi erte come elenchi telefonici, ma lette come un romanzo.
Questo e il luogo struggente d'una Italia bonaria che non c'e più, dove l'enigma di Bendandi ancora trasmette senso di vertigine e tenerezza per l'operosità indomabile di quei calcoli terrificanti durati una vita, giorno e notte, a osservare macchie solari e i pianeti, da inesausto solitario. Ma con lo stesso candore gli riusciva di screditarsi, come quando annunciava la scoperta del pianeta che aveva supposto per spiegare l'orbita di Mercurio, e chiamato Faenza. Del resto il perché e il percome delle sue previsioni, quando gli riuscivano, lui non lo spiegava mai volentieri.
Gli pareva ovvio che la cagione dei terremoti non sia da cercarsi sotto ma sopra la terra: nelle forze di attrazioni dei pianeti e del sole, quasi che commuovessero l'aria. Poco gli importava che per la scienza ufficiale le masse dei pianeti non bastassero a giustificarlo, e che non ci fosse, nelle sue tesi, il minimo di rigore richiesto. Imperterrito nel 1955 scriveva: «Se noi vorremo conoscere il giorno e l'ora del fenomeno tellurico che si prepara ci basterà di cercare l'istante preciso nel quale anche la luna aggiungerà la sua attrazione a quella degli altri pianeti».
Il nostro era nato il 17 ottobre 1893, figlio di poveri artigiani e perciò studente solamente fino alla sesta elementare, ma tanto geniale da costruirsi dodicenne un telescopio suo. Quindi apprendista da un orologiaio e poi intagliatore di candelabri. Dopo il terremoto di Messina si costruì il primo sismografo; e iniziò a voler leggere proprio tutti i giornali che costavano cinque centesimi l'uno. Gli servivano per le date dei terremoti. Nella Grande Guerra si ritrovò meccanico di una squadriglia aerea. Ma poteva preoccuparsi mai di guerre, chi come lui s'era già meravigliato, stimando avvenuta nel 10431prima di Cristo la sommersione tellurica del continente di Atlantide? E prevedeva un'altra fine del mondo, certa, per la primavera del 2521. Un'anima sifatta poteva badare soltanto ai terremoti d'influsso planetario. E però negli anni seguenti iniziò coi suoi ruvidi apparati a far concorrenza pure ai sismologhi ufficiali, diramando comunicati, e prendendoci abbastanza.

Finché di lui s'incuriosì il direttore Albertini, che mandò a intervistarlo un inviato. Era Otello Cavara, ufficiale aviatore con Bendandi che in quel 20 dicembre 1923, davanti al notaio Savini di Faenza, dichiaro dove si sarebbe il 2 gennaio verificato un fenomeno sismico. E il 4 gennaio 1924 in terza pagina del Corriere della Sera usci l'articolo: colui  che prevede i terremoti. Dopo questo successo la scienza accademica non poteva che detestarlo, e l’'autodidatta Bendandi incollerirsene, soffrendo però di più che la sua morosa non lo volesse più per fidanzato. Se ne offese: smise per sempre di andare a Roma e frequentare la scienza ufficiale.
Nemmeno i preti gliela rimediarono. Più pratici gli americani: nel 1925 Thomas Morgan della United Press stipulò regolare contratto di collaborazione. E nel 1927 Mussolini lo nominò cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia, ma innervosito dalle previsioni. Passarono i decenni; ma cosa sono per chi bada alle stelle? Con Gronchi arrivò l'Ordine al merito della Repubblica. Ma a lui premevano di più i tracciati di ventimila terremoti. Neppure badò al suo sindaco che giudicandolo scienziato proletario gli fece intestare un milione e mezzo di lire per le ricerche. Era ottantaseienne in questa modesta casa di Via Manara 17 nel novembre del 1979 a Faenza a trafficare col rullo sismografico, quando sentì le stelle tremargli il cranio. Cadde morto tra tavolo e stufa della sua camera da letto.
Pure la vita di Bendandi proprio come questo viaggio infantile, appartiene alla medesima sospensione del sentire consueto, che i terremoti inducono, annullando l'ovvio svolgersi degli eventi. Appunto come l'aria dilatata, che nella fantasia dei miei ricordi sempre li precede, compressa da un sole strano. Del resto cosi Empedocle e i greci antichi e Aristotele spiegavano i terremoti. E sanTommaso perciò diceva che col terremoto Dio si rivela un vento impellente nella terra. Pensieri, i miei, di premeditazione ascientifica. E però la calamita di quell'onda che s'apre dentro la terra e nel cuore degli uomini e li tira fuori di sé, quando la terra trema è la stessa che sentiva Bendandi.
E perciò quando il terremoto tremendo e lontano m'ha svegliato, e turbato, il 24 agosto sono andato a guardare il cielo, e ho pensato a lui, come ad un amico caro. E c'erano stati appunto in congiunzione quella sera Marte e Saturno con Antares, in triangolo, e in Ariete già, quasi polare, c'era pure lei, la Luna...

L'articolo di Otello Cavara del "Corriere della Sera" del 4 gennaio 1924 e di
seguito il commento del settimanale "Il Nuovo Piccolo"
del 6 gennaio 1924




Alcune notizie recentemente riportate sui giornali sulle previsioni di Bendandi





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