I bambini di Vienna
di Angelo Emiliani
L’ospitalità offerta dai lavoratori italiani ai figli di famiglie
povere di Vienna a meno di un anno dalla fine della Grande guerra, è
stata forse una della pagine più belle della storia del Novecento. Una
pagina della quale si è ormai persa la memoria e che rischia di non
lasciare traccia: poco si trova negli archivi, ancor meno nelle
biblioteche, avare persino le cronache del tempo. L’eredità lasciata
dal conflitto era a dir poco tremenda: più di otto milioni e mezzo i
caduti, 21 milioni i feriti e mutilati, sette milioni e mezzo i
prigionieri (650mila morti e 950mila feriti italiani); enorme in tutti
i Paesi coinvolti il numero degli orfani e delle vedove; le economie
dissestate con i bilanci statali alla bancarotta; i settori produttivi
alle prese con una difficile riconversione e con la mancanza di
risorse. Ovunque ci si interrogava sulle responsabilità, sugli
enormi profitti di quanti avevano speculato sulla pelle degli altri.
A lanciare l’idea furono i Comuni socialisti, con in testa quelli di
Milano, Bologna e Reggio Emilia: andare in soccorso dell’ “infanzia
austriaca condannata a morire di stenti per il cinismo dei vincitori
non meno che per le ineluttabili conseguenze della guerra”. Il gesto
assumeva l’evidente significato di promuovere la pacificazione fra
popoli che fino a pochi mesi prima si erano massacrati da opposte
trincee e la solidarietà di classe al di sopra delle frontiere fra
coloro che più avevano pagato e stavano pagando. Nella provincia di
Ravenna l’appello trovò un’ampia adesione. La Camera del Lavoro - sola
a farlo in Italia - si impegnò ad accogliere cento bambini figli di
militanti dei sindacati viennesi. Per far fronte alle spese, tutte le
Leghe di categoria furono chiamate a versare una quota straordinaria
per ogni iscritto (cinque lire per gli uomini e due per le donne),
altre sottoscrizioni furono promosse in tutti i centri. Il segretario
Giovanni Giovannetti e altri dirigenti si recarono a Vienna, assieme ai
rappresentanti di altre numerose città, per prendere i necessari
accordi e accompagnare i bambini nel viaggio in Italia. Della
delegazione faceva parte anche il faentino Antonio Dalprato, “il medico
dei poveri”. Il treno giunse a Ravenna il 1º gennaio 1920 con 120
bambini seguiti da due maestre. Ventisei trovarono sistemazione al
piano superiore nella sede della Camera del Lavoro adibito a
dormitorio, refettorio, cucina, aula scolastica e guardaroba. I
restanti furono ripartiti fra altre località del territorio: Faenza,
Lugo, Massa Lombarda, Bagnacavallo, Fusignano, Mezzano e Cervia. La
presenza dei piccoli ospiti - bambine e bambini fra gli 8 e 12 anni -
innescò ulteriori iniziative di solidarietà. Sempre a Ravenna la
Società di Mutuo soccorso fra i Mugnai offrì un pranzo, famiglie di
socialisti li accolsero in tutti i giorni di festa, furono organizzate
recite, lotterie e veglioni per raccogliere altri fondi. A Faenza -
dove “Il Socialista” pubblicava da settimane l’appello accorato “I
bambini di Vienna hanno fame! Il proletariato li soccorrerà in nome
dell’umanità che affratella i popoli” - giunsero in una dozzina,
prelevati a Lugo con tre automobili.
Furono alloggiati in cinque stanze a Palazzo Mazzolani, lo
storico edificio della Congregazione di Carità, con l’ingresso da
piazza San Domenico dove ancor oggi una targa in ceramica ricorda
quelle giornate. A quanti li accolsero apparvero emaciati e pallidi,
alcuni malati. Nonostante le attenzioni e le cure, uno morì di
tubercolosi. La sottoscrizione fruttò 3.433,80 lire (l’equivalente di
3.600 euro di oggi, una somma considerevole se si tiene conto delle
condizioni di allora), comprese le 918 lire ricavate dalla Veglia Rossa
tenutasi nel Teatro Masini la sera dell’11 aprile. Nel corso della
festa parlarono fra gli altri il dottor Dalprato, Silvio Mantellini, il
bolognese Pietro Zanarini della direzione nazionale del Psi e un
bambino viennese che “in un corretto italiano ringraziò gli
intervenuti”. Ripartirono da Ravenna, in treno com’erano arrivati, nel primo
pomeriggio di giovedì 29 aprile. “Essi ritornano - scrisse “Il
Socialista” - ricordando che non v’è invidia di razza, che non si sente
l’egemonia della barriera, laddove il cuore del lavoratore, il cuore
della nuova umanità, batte per rifare una vita nel concetto fraterno
dell’internazionale dei popoli”. Non tutti gli ambienti, tuttavia, vissero quell’esperienza con
lo stesso spirito: l’accesissima disputa ideologica e la propaganda di
parte finirono per accecare quanti avrebbero dovuto coglierne il
messaggio positivo e di speranza. La presenza per quattro mesi di tanti
bambini poveri fu pressoché ignorata dalla stampa locale, oppure presa
a pretesto per rinfocolare la polemica. |

Il palazzo Mazzolani con, a destra, l'ingresso ai locali che ospitarono
i bambini viennesi.
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Sempre a Faenza, il cattolico “l’Idea Popolare” scrisse
con sarcasmo del “rosso comitato faentino”, di “infelici fanciulli
affamati” tenuti segregati e costretti a lavorare, dell’idea di
confinarli tutti in una colonia a Cervia. Pur riconoscendo che a
Bagnacavallo alcuni erano stati ospitati in un istituto religioso e
affidati alle suore, lo stesso giornale affermò che “erano stati
portati in Italia da quei messeri non per sfamarli, ma per
scristianizzarli, per avvelenare le innocenti anime in nome della
pseudo libertà”.

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La targa commemorativa che ricorda la loro presenza nel palazzo del Mazzolani.
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Alcuni dei bambini accolti a Ravenna e in altri centri della provincia. |
I fogli repubblicani non ne fecero parola o quasi, riportarono invece
notizie su un’iniziativa promossa da Gabriele D’Annunzio e diretta da
Mussolini proprio in contrapposizione alla solidarietà con i bambini
austriaci: l’aiuto a quelli di Fiume ribattezzato “la crociata dei
piccoli legionari”. Ospitati dal comitato centrale dei Fasci di
combattimento, alcune centinaia furono trasferiti dalla città istriana
a Milano e in altre località del Nord Italia. Il treno che li
trasportava - “sangue d’Italia misconosciuto e tradito” - transitò da
Faenza nei primi giorni di aprile dello stesso 1920. Il tempo trascorso
e la riflessione storica consentono oggi giudizi più meditati. E
consentono di cogliere nella lontana solidarietà verso i “bambini di
Vienna” uno dei semi dai quali è germogliata l’idea di Europa unita.
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