Il colera morbus del 1835-36 visto da Faenza |
"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici. |
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IL COLERA MORBUS DEL 1835-36 VISTO DA FAENZA
Giuseppe Porisini "Si sa infatti che dal 11 dicembre (1834) giorno nel quale morì in detta città (di Marsiglia) un individuo con dei sintomi che lo fecero giudicare affetto di cholera, fino al 31 del mese istesso, e così per il corso di giorni 21, altri quindici individui sono caduti malati, alcuni con sintomi simili a quelli del primo, altri con quelli del così detto Cholerina. Dodici di questi sono mancati...”, così riferisce la Gazzetta di Bologna, nel suo numero di giovedì 8 gennaio 1835, riportando una comunicazione della consorella di Firenze. È questa la prima notizia che a noi proviene dalla Francia, via Livorno, riguardante l'epidemia colerica che in un primo momento si estese nel litorale mediterraneo francese per passare poi, in prosieguo di tempo, attraverso le Alpi e il Mare e svilupparsi con una certa virulenza nello Stato Sardo ed in altri Stati Italiani.
Pulizia delle strade e delle case Le strade di Faenza lasciavano in quel tempo molto a desiderare, sia come viabilità e sia come pulizia. Benché esse venissero spurgate una volta al giorno, un certo numero di poveri "sul far del giorno cominciano a raccogliere in esse ogni sorta di lordura e immondezze, continuando tutto il dì in tale occupazione per farne mucchi di stabbio, presso le loro case o nei loro cortili, in vicoli angusti o intorno al circondario interno delle mura”. Questi ammassi di letame sono depositate sulle mura delle Carceri e su quelle del Macello a tale altezza da essere quasi a livello dei tetti delle circostanti abitazioni. Tali depositi sulle mura cittadine lungi dall'essere considerati dannosi, vennero dalla Commissione tenuti in buon conto in quantochè i gas che da essi si sviluppavano, tendendo sempre a sollevarsi in alto ed essendo perenne e libera la ventilazione sul giro delle mura stesse, si disperdevano e si dissipavano. “Per le quali cose noi penseremmo, che quanto al circondario interno delle mura non si dovesse eseguire alcun cambiamento, salvo far diradare i suddetti depositi di letame, che si trovano sulle mura prossime allo Spedale, per quelle del Gioco del Pallone, e sulle altre della Ganga, e di S. Ippolito, giacché il loro spessore potrebbe dar luogo ad un cumulo tale di fetenti esalazioni da pregiudicare in qualche modo la sanità dei contigui abitanti". Come si vede quindi la città nostra era circondata da un aulente corona di profumi.
Non accolta l'idea che in un primo momento venne ventilata di adibire a Lazzarétto parte del pubblico ospedale, decise la Commissione speciale di Sanità di aprire (in caso fosse scoppiato il colera) il lazzaretto medesimo nei magazzini della Congregazione del Canal Naviglio (Darsena, ora scomparsa in seguito all'erezione del cavalcavia ed al conseguente risanamento del piazzale davanti a Porta Pia), ma, dopo una visita ai locali, effettuata al 29 agosto 1835, il pensiero venne dimesso, poiché furono trovati inadatti. Si posero gli occhi allora sul convento di San Francesco, o per essere più esatti, sulla parte del detto convento occupata dalla truppa austriaca che avrebbe dovuto, nel caso, essere trasferita nei locali di Santa Maria Nuova, di proprietà dei padri gesuiti. Ma l'attuazione di tale progetto fu ostacolata da due parti. Il primo a protestare fu Padre Francesco Reina, guardiano del convento: "Un ripetuto cicalamento, egli scrive, di imminente disavventura ci ha un poco rammaricati. La pericolosa malattia del cholera minaccia la mia esistenza, nonché de' miei religiosi, se ad effetto conducesse quanto la comune voce parla su li progetti stabiliti dall'Eccellenza Vostra e dall’Illustrissima Deputazione sanitaria sulla scelta del locale per ricoverare gli ammalati, allorché il bisogno ne lo chiedesse". Ma questo si può considerare il minore dei mali perché una risposta alquanto pepata del Gonfaloniere mise in tacere il pauroso guardiano. L'ostacolo insormontabile venne dall'autorità militare. Il rapporto che la Comunità inviò al Cardinal Commissario straordinario Pontificio in Bologna per illustrare la domanda di trasferimento dei militari austriaci ottenne un risultato che, se sulle prime parve soddisfacente, si manifestò in ultimo totalmente contrario al progetto. Scrive il Commissario straordinario : "Non ho in genere difficoltà per aderire al progetto. In specie però devo chiamare la magistratura ad esaminare bene se il cambiamento della caserma, e lo stabilimento dell'ospedale sono di facile esecuzione tanto per il tempo quanto per la spesa che dovrà essere a tutto carico della Comune.
Casa di osservazione Ligia a quanto aveva prescritto il superiore governo, la Comunità di Faenza dovette allestire anche un locale ad uso di casa di osservazione adatto a custodire temporaneamente merci e persone per le quali esistesse il sospetto d'infezione colerica. Ma anche per questa si dovette ripetere la via crucis fatta già per il Lazzaretto poiché vari proprietari di ville, poste nelle adiacenze della città, eccepirono in vario modo alle richieste, non intendendo concedere le loro proprietà per la tutela della salute pubblica. Eransi, in un primo tempo, posti gli occhi sopra il Casino dell'Isola, ma il proprietario Antonio Guidi rispose al Gonfaloniere di “esserne rimasto grandemente sorpreso, dato che il casino stesso era stato poco tempo prima convertito, per due terzi, ad uso di bigattiera, che nel medesimo presentemente vi erano collocate due cantine, una padronale ed una per uso di un colono, che nelle vicinanze si trovava pure un mulino a cui convengono non poche persone, le quali in tanta prossimità di un lazzaretto si asterranno dal concorrervi e che finalmente, giacendo il locale solamente ad un quarto di miglio in linea retta da Faenza e rimanendo esso sotto vento e in grande vicinanza di due fiumi e quasi attiguo ad un canale, si vedeva esso mal adatto all'uopo al quale si vorrebbe usare e porrebbe in non piccolo pericolo la troppo vicina e sottoposta Città ".
II convalescenziario A tale scopo fu scelto il "convento" degli esposti non solo per la favorevole sua posizione, ma ancora perché in esso si sono rinvenuti tutti quei comodi che possano essere necessari ad un tal uso e finalmente per la ragione che in questo locale compatibilmente con la sua nuova destinazione può conciliarsi la permanenza in esso dei proietti stessi in luogo tale che rimanendo in esso comodamente piazzati si toglie fra essi, e gli altri che dovranno abitare l'altra parte qualunque comunicazione. Ma per raggiungere tale scopo, per porre cioè in completo isolamento la parte del locale destinato a convalescenziario, furono necessari lavori di una certa entità e dispendio. Si dovette cioè aprire una porta nel muro di cinta che costeggiava e costeggia ancora la strada delle mura, costruire una rampa "di dolce salita" lunga circa cinquanta metri dato che il piano della strada rimaneva elevato due metri più del livello del cortile, chiudere quelle finestre e quelle porte che davano comunicazione interna ed esterna col resto del fabbricato. La perizia di tali lavori, fatta dall'Ingegnere Comunale F. Laghi, portò una spesa complessiva di scudi centotrentasette e sette baiocchi. L'asta privata per l'appalto dei lavori stessi venne tenuta il 23 luglio nella residenza municipale ed in base a questa vennero assegnati ad Antonio Argnani per la somma di scudi centotrentaquattro (11). II cholera morbus in Italia descritto dalle circolari della Legazione Apostolica di Ravenna Le prime città italiane invase dall'epidemia cholerica che proveniva, come si è più sopra visto, dal mezzogiorno della Francia, furono Torino, Cuneo e Genova. A Cuneo dal 29 al 31 luglio (1835) si verificarono sessantun casi di morbo con diciotto decessi. Nella prima decade di agosto il male serpeggiava anche in Genova, ma però si nutriva ancora qualche dubbio che i casi denunciati, che dimostravano però la gravità, la rapidità e molti sintomi del cholera asiatico, non fossero dovuti a tale malattia. Anche in Livorno, porto in diretta corrispondenza colle coste francesi di Nizza e col genovesato, pare fosse avvenuto qualche caso sporadico, ma una circolare del Pro Legato di Ravenna con la quale ammetteva nello stato le persone e le merci di Firenze e Livorno ed un avviso a stampa del Gonfaloniere faentino (11 agosto 1835) col quale si notificava alla cittadinanza che "officiali notizie pervenute colla posta di questa mattina assicurano, che nello stato Toscano sono svaniti quei forti timori, che si erano concepiti, che ivi serpeggiasse il cholera morbus" vennero a troncare la diceria. Nel Piemonte intanto il male dilagava: Mondovì e Racconigi ne erano soggette, in Cuneo ed in Genova continuava ad infierire di natura violenta, dato che tutti gli attaccati soccombevano, e quel che è peggio, dopo appena dieci giorni, si ammetteva ufficialmente quello che prima ufficialmente si era negato che cioè anche in Livorno ed in Firenze era comparsa l'epidemia. La città di Bologna frattanto pubblicava una popolare istruzione intorno al colera e ne veniva copiata alla lettera dal magistrato comunitativo di Faenza, desideroso di imitare l'esempio della città consorella.
Le notizie ufficiali, non parlavano però di morbo asiatico, ma bensì di febbri coleriche e perniciose, solite ad affliggere gli abitanti di quel paese nella stagione estiva. In Ancona intanto era pervenuta, per via di mare, la malattia e mentre a Rovigo questa si trovava in diminuzione, a Trieste assumeva proporzioni catastrofìche, a Parma in tre giorni si ebbero ventisei casi ed in Milano infieriva in modo violento, estendendosi anche a Monza, Como, Bergamo, Broscia, Pavia, Cremona. Il mese d'Agosto del 1836 si può chiamare l'apice dell'invasione del morbo sulle varie provincie italiane, ma poi, pian piano la virulenza del male accennò a diminuire in ogni parte, di modo che le notizie che pervenivano si andavano facendo più confortanti sollevando gli animi dall'incubo sotto il quale erano stati per mesi soggetti. "Il Governatore generale di Venezia ha dato la fausta notizia di aver potuto far cessare ogni straordinario servigio, per la sempre migliore condizione dello stato sanitario di quella città, comune anche a tutte le altre provincie venete". E buone notizie giungevano del pari dal Lombardo Veneto, dove erano cessate tutte le misure straordinarie perché lo stato di salute era ottimo, e dal Genovesato e dalla Toscana e da Ancona, si che Mons. Luigi de' Conti Vannicelli Casoni, Pro Legato Apostolico di Ravenna, al 10 dicembre emise una "notificazione" con la quale, "essendo, mercé la divina misericordia, totalmente cessato nel nostro Stato il cholera morbus”, e non trovandosi le quattro “Legazioni nemmeno a contatto con Paesi infetti o sospetti, dietro un attento esame dei vari domini d'Italia, nonché della Germania e della Baviera, scioglieva i cordoni sanitari lungo il Po e le frontiere terrestri coi limitrofi domini e toglieva il vincolo delle bollette sanitarie per l'interno dello Stato”. E Faenza? Rimase essa totalmente illesa dalla pestilenza? Guardando all'ingrosso attraverso le stampe dell'epoca, alle circolari, agli atti prettamente ufficiali, cioè a quegli atti che di qui salivano alle sfere governative e che informavano sullo stato della salute cittadina, si potrebbe senz'altro opinare per l'affermativi, ma una piccola lettera che si perde facilmente tra le molte delle pratiche comunali che trattano della disgraziata è funesta "emergenza" e che ad un esame attento e coscienzioso non può sfuggire, ci vien senz'altro a persuadere del contrario. Per la verità storica Faenza non fu totalmente risparmiata dal contagio. E siccome la lettera ricordata è l'unico documento sul quale si basa la nostra asserzione, documento quindi di somma importanza, è bene trascriverlo qui integro; essa è diretta all'Ill.mo Signor Padron Colendissimo il Sig. Conte Carlo Zucchini Gonfaloniere di Faenza da un medico della città : Ill.mo Signor Gonfaloniere "Nella scorsa notte alle due circa sono stato chiamato a visitare Maria moglie di Pietro Piazza della Parrocchia di San Salvatore di anni 26 circa, quale ho trovata attaccata da colera con alcuni sintomi allarmanti, e propri dell'Asiatico. Dietro l'amministrazione dei medicamenti ordinati ho veduto l'ammalata in istato migliore alle sei circa, ed alle dieci ho avuto il contento di trovarla molto migliorata. Voglio sperare che l'esito sarà felice, non per questo mi credo in dovere, di prevenirne la S. V. Ill.ma in conseguenza degl'ordini emanati in proposito. Intanto colla più alta stima, e profondo rispetto passo a dichiararmi Della Signoria Vostra Ill.ma Faenza, 23 luglio 1836 Dev.mo ed obbl.mo Servo GIROLAMO Dott. BRUNETTI Nella stessa data il Gonfaloniere passò la missiva agli atti essendo assicurati che l'inferma continua a migliorare, e non evvi quindi verun timore di sinistre conseguenze " (12). Note (9) Pratiche Comunali 1835.1836 • Titolo XV » Sanità ". (10) Pratiche Comunali 1835.1836 • Tit. XV " Cholera morbus. (11) Pratiche Comunali 1835-1836 • Titolo XV " Sanità e Cholera morbua ". (12) Pratiche Comunali e " Gazzetta Privilegiata di Bologna "1835-1836. |
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