L'elezione di Pio IX e le reazioni dei faentini su “L'Imparziale”

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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L'elezione di Pio IX e le reazioni dei faentini su “L'Imparziale”

di Alberto Fuschini

Il 16 giugno 1846, dopo un conclave durato solo sei giorni, Giovanni Maria Mastai Ferretti, vescovo di Imola, fu eletto Papa e assunse il nome di Pio IX. Ad accelerare l’elezione aveva contribuito la paura che i cospiratori potessero approfittare di un lungo interregno per scatenare un’altra insurrezione in Romagna. Il nuovo pontefice era stato un candidato di compromesso: proveniva da una famiglia aristocratica marchigiana ed aveva fama di uomo amabile e buono. Come vescovo aveva sempre cercato di mantenere un basso profilo politico, evitando di schierarsi pubblicamente con i liberali o con i conservatori sulla questione delle riforme negli Stati pontifici. Per questo il suo avvento al trono di San Pietro non fu accolto da grandi manifestazioni.


Ritratto fotografico di Papa Pio IX.
Litografia inneggiante all'ammistia politica concessa da Papa Pio IX il 16 luglio 1846.


Ma un mese dopo decretò un’amnistia per i detenuti politici: un fatto non inconsueto per un nuovo Papa, ma che nel frenetico clima politico di quegli anni provocò una straordinaria ondata di esaltazione. La sera del 16 luglio una folla riempì la piazza di fronte al Quirinale. L’entusiasmo suscitato dall’amnistia dilagò rapidamente negli Stati pontifici e folle giubilanti si riversarono nelle strade per applaudire il nuovo pontefice.Furono allestite rappresentazioni speciali del verdiano “Ernani”, in cui le parole iniziali dell’aria in cui nel terzo atto Carlo V rendeva omaggio a Carlo Magno (“O sommo Carlo”) diventarono “O sommo Pio”, e in cui il verso “perdono tutti” provocava spesso una tempesta di applausi e di grida. 

Sul periodico faentino “L’Imparziale” (nato il 30 gennaio 1840, uscì fino al 31 marzo 1847) del 30 giugno 1846 vennero dedicati al nuovo pontefice due epigrafi elogiative di circostanza, l’una del direttore e proprietario Vincenzo Rossi e l’altra del canonico Girolamo Tassinari. Solo la concessione dell’amnistia, un mese dopo l’elezione, scatenò a Faenza quel fenomeno che lo Strocchi così definì in una lettera di settembre: “…il nostro nuovo sovrano, veracemente Pio, non dà riposo a lingue a penne a tipografi…”. Fu proprio lo Strocchi, nel numero de “L’Imparziale” del 31 luglio, a pubblicare un’ottava in lode del “Re de’ Regi”, un’ode che seguì una cronaca faentina che, oltre a rivendicare la primogenitura della testata nelle lodi a Pio IX, descrisse la grande festa svoltasi, in onore del nuovo pontefice, nella piazza di Faenza il 22 luglio. Da lì iniziarono una lunga serie di versi, che durarono dal luglio del 1846 al marzo del 1847. Molti autori del giornale dedicarono versi al nuovo Papa: Dionigi Strocchi e la figlia Ginevra Strocchi, il direttore Vincenzo Rossi (1803-1870), l’ex gonfaloniere conte Antonio Gessi, il conte Francesco Zauli Naldi, il patriota mazziniano Augusto Bertoni (1818-1853), l’abate Giuseppe Maccolini (1803-1857), don Girolamo Tassinari, il professore Antonio Mezzanotte da Perugia, monsignor Carlo Emmanuele Muzzarelli, il conte Alessandro Cappi, il professore Giovanni Zoli, il conte Francesco Pasolini Dall’Onda e il dottor Emilio Emiliani.




“L’Imparziale” del 31 luglio 1846 pubblicò un articolo, intitolato “Giovanni Maria Mastai Ferretti”, con un sottotitolo in latino “Homo missus a Deo, cui Nomen erat Johannes”. L’autore iniziava con questa frase: “Se noi fummo infra i primi a preconizzare con itala umile epigrafe inserta in una delle precedenti Dispense di questo nostro Periodico un Pontefice divinamente dato giusto, generoso e degno de’ tempi nel Cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti da Senigallia, ora l’Orbe intero si fa certo, che non poteva errare chi d’appresso ben conosceva quel Grande Vescovo Arcivescovo d’Imola nella Provincia di Ravenna”. Si esaltava con un po' di retorica la concessione dell'amnistia: grazie all’apertura delle carceri, l’esule e profugo poteva ritornare a casa e riabbracciare la moglie, i figli, i genitori e tutta la famiglia. Per questo Faenza fu tra le prime città dello Stato Pontificio a onorare pubblicamente tale atto. La sera del 22 luglio la piazza e le strade principali furono illuminate e una moltitudine di faentini di ogni sesso, età e condizione, che non si era mai vista in altre circostanze, insieme alle autorità civili e militari, festeggiò “al suono di musiche armonie di scelta Banda alzava inni di fedeltà alla Clemenza di Pio Nono, e al batter di palme succedeva un gridare incessante: Al Nono Pio Gloria ed Onor”. Nelle case e nelle botteghe di ogni arte e mestiere furono ordinati e esposti  ritratti a bulino, a litografia e ad acquarello, con prospettive pittoriche e con dipinti che rappresentavano le generose azioni e le somme virtù del nuovo Pontefice ed “era insieme bella la emulazione de’ consolati sudditi nell’accrescere lodi a lodi, benedizioni a benedizioni, onori ad onori”. In seguito altre magnifiche celebrazioni furono organizzate dai cittadini durante il giorno e la sera del 2 agosto. Moltissimi furono gli scritti poetici, che furono inviati al giornale per essere pubblicati, da ogni parte dello Stato Pontificio e anche da fuori.

Nel numero del 15 agosto 1846 l’articolo, intitolato “A Pio Nono altre feste de’ cittadini di Faenza. Vedi il foglio antecedente”, iniziava così: “I suoni delle campane e gli spari de’ bronzi militari annunziavano la sera del primo Agosto la festa, che i cittadini di Faenza con largizioni liberamente offerte preparavansi a solennizzare nel seguente giorno a sfogo presente, e a testimonio perpetuo della gratitudine, e dell’allegrezza onde sono compresi pel magnanimo Perdono dell’immortale regnante Pio IX”. Il giorno successivo, elevato il vessillo pontificio sulla torre maggiore della città e sulle porte principali, nuovi suoni e nuovi spari attirarono l’ennesima moltitudine di cittadini al Duomo con candele accese, alla presenza del vescovo, del governatore e delle autorità cittadine, che “compivano dinanzi al Corpo di Cristo sacrato il rendimento di grazie coll’Inno ambrosiano”.

Quella notte non ci fu silenzio né oscurità, poiché rimasero accese le luminarie e brillarono dei fuochi pirotecnici e poiché i concerti delle bande civiche e i canti degli inni riconoscenti durarono per ore. Poi l'articolo proseguiva: “il compartimento infine di quanto rimase del denaro raccolto ai poveri della Città, e del Borgo chiudeva la Festa, che un'epigrafe del Cavaliere Dionigi Strocchi, incisa in marmo farà conta ai posteri”. Ma l’onore più splendido fatto a Pio IX quel giorno, per l’autore, furono i segni di fiducia e di fratellanza sui volti delle persone, che per molto tempo erano state divise dalle discordie. L’articolo si concludeva così: “da che lo stato dei regni è simile a quello dei corpi umani, ne’ quali sino a che si mantiene l’ordinata comunicazione fra il cuore, e le parti, crescono pieni di suco, e di rigoglio, ove questa per esterna violenza, o per interno pervertimento si turbi, o venga meno, hanno vita inferma e dolorosa, o muoiono irreparabilmente, e si distruggono”.


Dionigi Strocchi.
Fazzoletto celebrativo del 1847 con i tre ritratti dei principali riformatori Pio IX, Carlo Alberto e Leopoldo di Toscana.

Successivamente veniva riportato un brano di una lettera datata da Roma, in cui si annunciavano i Congressi scientifici italiani e i benefici degli Istituti degli asili infantili, “ed in appresso mettere in chiaro lume il pro che da essi ne deriva, quando gli uni si terranno anco nello Stato nostro, e gli altri vedremo o meglio fiorenti ed aumentati”. L’articolo continuava descrivendo Pio IX: “è di una affabilità somma; ama il povero e lo soccorre generosamente, lo vuole istrutto; perciò vuole che si fabbrichino non più carceri, ma scuole, ove educare cristianamente il poverello, ed apprezza il merito dei dotti”. Il pontefice marchigiano voleva tutto ciò che poteva servire alla prosperità e al decoro della Patria: i congressi scientifici, le strade ferrate (ferrovie) e promuovere l’industria e il commercio. Inoltre la stampa non sarebbe più stata sottoposta a censure e provvedimenti, “non più Roma vedremo starsi addormentata, e oscurarsi, ma svegliarsi e brillare di nuova luce, per mettersi a paraggio delle altre province d’Italia, specialmente del Regno Lombardo-Veneto”. L’autore aveva molte speranze nel nuovo pontefice, infatti alla fine annunciava che la legislazione dello Stato Pontificio sarebbe stata riformata, sarebbero state rivalutate le lettere e le scienze e si sarebbe diffuso nelle sue contrade “quel movimento del Secolo, che serve di sostegno al Cattolicesimo, il quale trionfa di giorno in giorno”.



Nel numero del 31 agosto 1846 compariva in prima pagina un articolo intitolato “Brevi nozioni genealogiche sulla famiglia del sommo pontefice PIO IX” e uno focalizzato sul carattere del pontefice. “Pio IX, è nel vigore degli anni (54) grande di persona, di robusta apparenza, di gentile aspetto, e graziosissimo nel ricevere. Tutti riconoscono il suo raro talento per l’amministrazione, il fermo e prudente suo carattere. Egli in sommo grado è generoso, e veracemente Pio”. Di seguito veniva pubblicata la “Circolare di sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Giovanni Benedetto De’ Conti Folicaldi Vescovo Zelantissimo di Faenza” inviata ai parroci della città e della diocesi. La circolare ricordava la disposizione papale del 16 luglio “con cui stendendo la mano offre la pace nel cuore, mediante generoso perdono, a quelli suoi amatissimi sudditi, che traviarono, come mosse gli animi a somma e sincera esultanza, così gli ebbe mossi a pari riconoscenza”. Le dimostrazioni pubbliche, svolte nei giorni precedenti, dimostravano la fede dei cittadini. La conseguenza della grazia e della riconosciuta gratitudine deve essere anche la riconciliazione degli animi e a tale importante scopo ognuno era tenuto a contribuire nella volontà e nel rispetto della sapiente sovrana determinazione e per il sentimento caritatevole cristiano per ricomporre veramente quel vincolo di pace, “da cui vuole Iddio che siano stretti insieme tutti i figli di un Padre”. Questo scopo sarebbe stato raggiunto, se l’esempio del Sovrano, che perdonava con generosità ogni offesa ed accoglieva indistintamente con sé ogni persona, fosse stato seguito dai sudditi, che avevano il dovere di assecondare le disposizioni del Pontefice. In questo modo sarebbe iniziata una nuova era di reciproca concordia. In seguito Mastai Ferretti veniva paragonato al Cristo, per l’amore, l’affetto paterno e la carità che dimostrava,  e si rivolgeva così ai parroci destinatari: “essere suo obbligo di unirsi premurosamente a Noi nel cooperare a raggiungere uno scopo, che è tutto proprio del nostro officio di reggitori di anime”. Per conseguire lo scopo il vescovo faentino confidava pienamente “nello sperimentato di Lei zelo d’essere assecondati nelle nostre ardentissime brame di precludere, a forma delle affettuose Pontificie manifestazioni, la via a qualunque dissensione avvenire tra il popolo, la quale è a ritenere per fermo, mercè delle sue vive premure, la sia tolta per sempre”.



Manifesto dell'amnistia del 16 luglio 1846.

La circolare si concludeva con l’augurio che l’adempimento delle disposizioni del Pontefice avrebbe portato tra le popolazioni una pace solida, la concordia e “il vicendevole amore in cui precipuamente consiste il benessere e la prosperità del genere umano”. E' evidente qui il riferimento alla situazione faentina: infatti la città era profondamente lacerata dalle lotte fra i liberali e i sanfedisti.


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