Faenza capoluogo del Dipartimento del Lamone (1797 - 1798)

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Faenza capoluogo del Dipartimento del Lamone (1797 - 1798)
Can.co Carlo Mazzotti

da: "Il Piccolo", 24 febbraio 1946


E’ noto che Napoleone I, dopo la battaglia del Senio (2 febbraio 1797) e la pace di Tolentino (19 febbraio), dichiarò la Romagna unita alla Repubblica Francese. Indisse poi un congresso a Milano per proclamare la Repubblica Cisalpina e unirvi la Cispadania (Bologna, Modena, Reggio, Ferrara). I patrioti faentini, per testimoniare la loro riconoscenza al Bonaparte e per ottenere che nel congresso di Milano la Romagna fosse capoluogo di Dipartimento, pensarono di innalzare fuori di Porta Imolese un arco trionfale in marmo. A tale scopo, la domenica 7 maggio 1797, con una spettacolare cerimonia patriottica, inaugurarono una lapide commemorativa sul luogo ove poi doveva sorgere l’arco (presso a poco nel punto ove oggi si trova la chiesa del Paradiso). Pochi giorni dopo, la Municipalità faentina inviava due deputati, l’ex can.co Pietro Severoli e Achille Laderchi, al congresso di Milano, i quali portarono seco il disegno dell’arco da presentare a Bonaparte per propiziarselo e ottenere i suoi espressi desiderata.
I motivi, che i faentini addicevano perché Faenza fosse dichiarata capoluogo di Dipartimento, erano: il suo patriottismo e il fatto che la popolazione era la più numerosa e la più industriosa di qualunque altra città della provincia. I due deputati recavano lettere del generale Sahugnet di raccomandazione al Bonaparte, ove il Sahugnet affermava che nella festa del 7 maggio Faenza si era dimostrata “fervida di entusiasmo per la libertà” ed era “il capoluogo del patriottismo dell’Emilia”.
Napoleone accolse la richiesta dei faentini e delle altre città romagnole decretando, il 19 settembre 1797, che la Romagna fosse unita alla “Repubblica Cisalpina” che fu poi divisa in 20 Dipartimenti. Per iniziativa del Conte Laderchi e di altri patrioti, la domenica 1 ottobre, con una festa patriottica, si solennizzò a Faenza “il fasto avvenimento”. Restava da ottenere che Faenza fosse dichiarata capoluogo del Dipartimento. Pietro Severoli e Dionigi Strocchi, aiutati da Vincenzo Monti, cercavano di far riuscire Faenza sede di un Dipartimento e di fondare in essa un liceo dipartimentale. Il voto dei faentini fu adempito. In data 3 novembre 1797 la Romagna fu ripartita in due Dipartimenti: il Dipartimento del Lamone, capoluogo Faenza, e il Dipartimento del Rubiconde, capoluogo Rimini. Luigi Oliva di Cremona e Vincenzo Monti vennero in Romagna come organizzatori, e stabilirono due amministrazioni separate, quella del Dipartimento del Lamone, con sede a Faenza e quella del Dipartimento del Rubiconde residente a Rimini. Il confine dei due Dipartimenti era segnato dal corso del fiume Ronco fino alla strada di Bagnolo, quattro miglia al sud di Forlì, poi dal corso del Bevano fino all’Adriatico. Il Dipartimento del Lamone aveva 175.000 abitanti, ed era il più popolato della Romagna, dopo quello del Reno; quello del Rubiconde contava 150.000 abitanti. Al Dipartimento di Faenza appartenevano le città di Ravenna, Imola, Forlì, Russi, Brisighella, Castel Bolognese, Predappio, Dozza, Tossignano, Bagnara, Massa Lombarda, Conselice, Fusignano, Alfonsine e Sant’Alberto. La nostra città acquistò allora una grande importanza in Romagna e cominciò per essa una vita piena di movimento e di attività. Mentre Napoleone I si trovava in Egitto, il Direttorio di Parigi, divenuto meno democratico, fece cambiare la Costituzione dell’anno III. Un ambasciatore, inviato da Parigi a Milano, il  Truvè, il 31 agosto 1798, portò un cambiamento nella Costituzione della Cisalpina, riducendo i 20 Dipartimenti soltanto a 11. I due Dipartimenti di Faenza e di Rimini furono riuniti nell’unico Dipartimento del Rubiconde con residenza a Forlì. Così Faenza e Rimini perdettero il loro primato.


L'Arco napoleonico fuori Porta Imolese

di Ennio Golfieri


da: Vedute di Faenza Ottocentesca, di Ennio Golfieri


Giovanni Antolini, Progetto dell'Arco da erigersi a Faenza.
Incisione 1797, cm
38 x 30. Museo del Risorgimento Imola.


L’erezione dell’Arco napoleonico fu deliberata dalla Municipalità giacobina di Faenza nel febbraio del 1797 dopo che Napoleone di ritorno da Tolentino si era fermato per poche ore a Faenza proclamando l’annessione della Romagna alla Repubblica francese; si volle ricordare con quel monumento marmoreo la vittoria dei Francesi al Ponte del Senio di venti giorni prima. Il progetto e la direzione dei lavori furono affidati all’architetto Giannantonio Antolini di Castelbolognese, notissimo a Faenza, che fu preferito al grande rivale, il faentino Giuseppe Pistocchi. L’arco, la cui prima pietra fu posta con grande cerimonia e discorsi celebrativi il giorno 7 maggio, sorse a cavallo della via Emilia fra il convento dei frati francescani detti del Paradiso e l’angolo di quella che sarà la Piazza d’Armi; un viale doveva collegarlo con Porta Imolese. L’erezione affrettata di quest’arco diede luogo ad una lunga ed aspra polemica col Pistocchi ed i suoi fautori che lo giudicarono troppo stretto, inelegante ed instabile (ci fu chi lo battezzò "un comodino"). Cosicché quando, nel 1799, il governo repubblicano fu temporaneamente soppresso per il ritorno delle truppe austriache alleate della Santa Sede, ne fu subito deliberata la demolizione. Nell’anno 1801 tuttavia, col ritorno vittorioso delle truppe napoleoniche e il definitivo consolidamento del governo repubblicano, si pensò di ripristinarlo ma la ricostruzione non andò oltre al basamento e, perdurando le polemiche, l’arco fu abbandonato e poi del tutto pareggiato al suolo. La bella veduta incisa all’acquatinta su rame e stampata in seppia che qui si riproduce non può essere di mano dell’Antolini: per certe caratteristiche si ritiene di poterla attribuire all’abile incisore e disegnatore faentino Giuseppe Zauli che aveva studiato a Bologna ed era amicissimo del quasi coetaneo e condiscepolo Francesco Rosaspina. Lo Zauli, come del resto anche il Rosaspina, era poi amicissimo di Felice Giani del quale qui ricorda vagamente i modi grafici.



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