GIUSEPPE AFFLITTI, L'ULTIMO
LUOGOTENENTE DEL PASSATORE
Giuseppe Dalmonte
Quando si sente parlare di briganti romagnoli
il pensiero corre immediatamente alle numerose imprese di Stefano
Pelloni, che a partire dal 1847 con una nutrita e variegata schiera di
malviventi seminò il terrore nelle legazioni romagnole e nei territori
limitrofi tanto da far lievitare fino a 3000 scudi la taglia posta dal
governo pontificio sul Passatore che verrà catturato e ucciso nei
pressi di Russi il 23 marzo 1851. ‹‹Dell’orda di scellerati che incetta
e spinge al delitto il contumace Stefano Pelloni, detto il Passatore››,
fecero parte il birocciaio di Toscanella Francesco Babini, detto il
sanguinario Mattiazza per la ferocia senza limiti rivelata in alcune
azioni, Giuseppe Tasselli, detto Giazzolo, il fedele compagno fino alla
morte del capo; i tre delatori che ebbero la pena capitale commutata in
vari anni di galera per aver contribuito con le loro confessioni a
smantellare la banda: Giacomo Emaldi detto Lamelda di Fusignano,
Antonio Farina soprannominato Dumandone, e il forlivese Gaetano
Morgagni detto Fagotto; lo stesso Teggione ovvero Tomaso Montini,
arrestato cominciò a confessare ma riuscì solo a ritardare la
fucilazione.

Assalto alla diligenza.
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I componenti della banda del Lazzarino dopo la morte del Passatore.
Innocenzio Fiorentini (il Passanti) Valentino Bignani (il
Canino),
Enrico Casadio (il Passottino), Giuseppe Afflitti (il
Lazzarino) e Antonio Tampieri (il Paccalite).
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Altri gregari della banda furono: Giuseppe
Golfieri di Masiera, detto lo Scalzo, e Antonio Basili di Boncellino,
chiamato Basèi, ambedue partecipanti all’invasione di Cotignola,
catturati e fucilati nel foro boario di Faenza nel 1850, il cotignolese
Giacomo Bedeschi detto Maraffini, il fusignanese Giuseppe Poli chiamato
Faffino o Pastorello, Francesco Saporetti di Villanova di Bagnacavallo
soprannominato il Rizzone, anch’essi partecipanti all’occupazione di
Cotignola ma fucilati a Bologna. Altri membri della banda puniti con la
fucilazione furono: Giacomo Drei, detto il Gobbo e Giacomo Cantoni
detto Corneli di Cesena, Federico Cantagalli di Bizzuno detto Galletto,
il faentino Giuseppe Prati detto Moro di Scaletta, Paolo Versari di S.
Savino detto Sboraccino, Leonardo Garda di Castel S. Pietro chiamato
Schivafumo, Giovanni Drudi di Montiano detto Bastianello, il forlivese
Angelo Lama detto Lisagna,Felice Scheda chiamato Anguillone o anche
Magnabisce e qualche altro. Una masnada di una ventina di delinquenti
in servizio permanente cui si aggiungevano gli avventizi o grattoni che
si prestavano per qualche impresa, tutti sostenuti da una folta schiera
di manutengoli, di spie e dritte che assicuravano informazioni, asilo,
e vettovaglie dietro congrua ricompensa.

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Alcuni luoghi di ritrovo o di asilo sono
diventati celebri, come la casa dei piatti (Cà Nòva) in Urbiano di
Brisighella perché vi fu architettata l’invasione di Forlimpopoli. Dopo
la morte del famigerato brigante di Boncellino, tra i pochi superstiti
della banda rimase Giuseppe Afflitti, detto Lazzarino, un
pluripregiudicato, scampato agli arresti e alle condanne dei gregari,
che si ritirò in montagna per qualche anno a fare il garzone presso un
contadino per sottrarsi alle insistenti ricerche delle guardie. Forse
annoiato da quell’esistenza grama e monotona, si affacciò di nuovo
sulla scena attratto dal fascino dell’avventura e del pericolo formando
nel 1854 una nuova banda, denominata quella di Lazzarino, alla quale si
associarono ben presto due delinquenti già noti come Valentino Bignami
di Budrio, detto Cunino e il lughese Federone, ovvero Federico
Caravita. ‹‹Cotale banda infestava la Romagna, ed il territorio
limitrofo del Granducato di Toscana, e pei suoi misfatti immerse ben
presto quei luoghi nel terrore e nello spavento››, tanto che il governo
pontificio ricorse ad una taglia di 3000 scudi anche per l’Afflitti e
di 500 per il Bignami per porre fine ai numerosi delitti della feroce
masnada che verrà decapitata e dispersa con la cattura definitiva dei
capi in terra toscana e la loro fucilazione a Bologna l’8 maggio 1857.

Giuseppe Afflitti, detto il Lazzarino.

Pistola a percussione di capsula
Marina reale di Napoli - anno 1840.
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La notificazione firmata dal conte
Degenfeld-Schonburg emessa il giorno stesso dell’esecuzione traccia un
profilo sommario del brigante romagnolo più longevo e più esperto per
azioni delittuose, anche se meno famoso rispetto al Passatore, nello
stesso tempo descrive le fasi principali del curriculum criminale del
brigante fucilato. Soprannominato Lazzarino ma secondo alcuni anche
Cavrèna, per l’aspetto caprino del volto, oppure Camminazzo, per il
passo lungo e svelto. Giuseppe Afflitti era nato a Cantalupo nel
territorio Imolese nel 1820, dove aveva svolto il mestiere di contadino
fino ai vent’anni, si era sposato ma non aveva avuto figli. La carriera
criminale di Lazzarino comincia con una rapina ai danni di alcuni
contadini di Croce Coperta nel 1840.Varie volte inquisito per furto,
rapina e ferimento, solo nel 1849 si aggrega alla masnada del Passatore
con la quale parteciperà alle invasioni di Brisighella, di Longiano e
di Forlimpopoli, imprese che fruttarono un bottino di 6510 scudi la
prima, 6632 scudi la seconda e 5611 scudi la terza e una fama sinistra
ai briganti che in qualche caso inflissero inutili sevizie alle vittime
o trucidarono i malcapitati.
Assente il Passatore, l’Afflitti guidò la
banda nell’invasione di Consandolo che fruttò oltre 1200 scudi,
all’assalto della diligenza postale della linea Bologna-Ferrara nei
pressi di Altedo, che procurò un bottino di 1100 scudi ricavati dalla
cassaforte e dai preziosi sottratti ai dieci viaggiatori sbigottiti. Il
mese successivo (23 settembre 1850) la rapina è ripetuta nell’assalto
alla diligenza pontificia di Roma nei pressi di Santarcangelo: dodici
briganti minacciano di morte i viaggiatori e il postiglione, li
derubano e forzano la cassaforte asportando 2000 scudi.
Seguono alcune
grassazioni di minore rilievo. In seguito alla cattura del Passatore
l’attività criminale di Lazzarino si dirada poi si interrompe per
riprendere con una serie di azioni delittuose che “anche se non ebbero
la fortuna di essere celebrate da poeti e romanzieri, sono da ritenersi
fra le più notevoli di quel periodo”: rapina di scudi 3800 ai
possidenti Vincenzo e Luigi Frontini di Monterenzio presso Loiano,
rapina di scudi 2527,83 ai danni di dodici mercanti nei pressi di
Bocconi in comune di Portico, rapina di oltre 1000 scudi a
Stefano Guercioli di Dovadola, di scudi 2023, 25 rapinati a nove
individui alloggiati in alcune locande di Specchio, Ponticino e
Carbonile (nel territorio granducale), di scudi 1320 rapinati ad alcuni
possidenti di Monte Poggiolo, invasione della tenuta La Bruciata del
conte F. Massari e irruzione nella chiesa di Campanile durante la messa
con il sequestro di persone e ripetute rapine ai danni dei fedeli e di
alcuni viaggiatori lungo la strada per Bologna, compreso un nobile
francese derubato e assassinato. Il rapimento di monsignor Dionisio dei
conti Ginnasi sulla strada del rio Sanguinario con richiesta di
riscatto di 6000 scudi e del possidente Antonio Rampi per scudi 3000
nei pressi di Felisio. A 37 anni finiva davanti a un plotone di
esecuzione la vita di Giuseppe Afflitti, detto Lazzarino, che per ben
17 anni aveva dato scacco alla polizia austriaca, pontificia e
granducale, aveva organizzato una trentina di grosse rapine ed
assassinato mezza dozzina di persone.
(dal mensile “In Piazza”, agosto 2008)
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Pagina
del «Giornale di Roma» del 22 marzo 1851 che riporta la cronaca delle
azioni di Stefano Pelloni e dei paesi da lui depredati.
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