L'«indegno» Rustichelli |
"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici. |
Home | Storia Moderna |
L'«indegno» Rustichelli
di Sandro Bassi «Questa è la testa dell’indegno Domenico Rustichelli fatto mazzolare per uomicidio con qualità di proditiore e latrocinio li 30 settembre 1724». Recita così, testualmente, l’agghiacciante lapide murata nel chiostro principale della Manfrediana. Oltre a ricordare una pubblica esecuzione, assai traculenta come usava allora, ci fa capire che venne scolpita per affiancare la macabra reliquia – il capo staccato dal povero corpo, che dalle cronache sappiamo esser stato squartato – la quale, «a monito» di qualsiasi spettatore, venne esposta per mesi sulla torre del ponte di ingresso in città (quello famosissimo poi crollato con la piena del 1842).
La testa di Domenico Rustichelli, collocata nel «finestrotto» della seconda torre, rimase esposta per tutto l’inverno: «Il tempo e le intemperie ne avevano incartapecorito la pelle e sfatti i lineamenti – così riporta la testimonianza del conte Carlo Zanelli – sicché non pareva più il capo spiccato dal busto dopo la sentenza del magistrato, ma piuttosto la testa di una marionetta...». Nella patria di Cesare Beccaria e a oltre due secoli dalla prima abolizione della pena di morte (1786, Granducato di Toscana), è giusto indignarsi, prima ancora di provare ribrezzo, ma visto che la biblioteca deve anzitutto documentare, vediamo chi era e cos’aveva fatto il Rustichelli. Ubriacone e baro, aveva riempito di coltellate il suo compagno di bevute e di carte, Berto della Casa di Dio, dopo una notte all’osteria; il malcapitato si era finto morto anche quando Rusticelli, dopo aver cercato vanamente «un paletto» per seppellire il cadavere, l’aveva gettato in un fosso dopo «avergli levato di tasca tutti i denari». Riavutosi poi all’ospedale, Berto aveva vuotato il sacco e Rustichelli venne processato per direttissima e giustiziato sulla pubblica piazza. La lapide testimonia anche che prima della decapitazione i condannati, a Faenza come altrove, venivano mazzolati, cioè tramortiti con un colpo di mazzuolo in testa, «per il comodo del boia» che così poteva fare il suo lavoro più agevolmente, senza rischio di fallire il colpo d’accetta su un corpo divincolante. |
Home | Storia Moderna |