LE ANTICHE FONTI DI S. CRISTOFORO
di Stefano Saviotti
La
località di S. Cristoforo prende il nome da un’antica chiesetta,
scomparsa nell’Ottocento, che sorgeva in cima al poggio fra il colle
dell’Olmatello e la strada di Brisighella.Dalla
strada Provinciale 302 Faenza – Firenze, a poco più di 4 Km.
dall’abitato di Faenza, si gira a destra su via Pideura e dopo circa
100 metri si attraversa il passaggio a livello della ferrovia. Dopo
altri 100 metri si giunge ad un bivio; la strada a sinistra sale verso
un agriturismo ed alcune case poste sul crinale tra rio S. Cristoforo e
rio Quinto, mentre la strada a destra (via S. Cristoforo) segue il
fondovalle del rio S. Cristoforo.Questa
piccola valle ad andamento sinuoso, lunga meno di 3 Km., sul versante
sud è occupata da campi coltivati ed è in pratica disabitata, mentre
sul versante nord a fondo valle vi sono solo alcune piccole case. Il
lato nord è dominato dalla pittoresca ed imponente presenza dei
calanchi, formazione geologica dovuta all’erosione di terreni
argillosi, che formano una parete alta quasi 100 metri. Intorno alla
sorgente minerale vi è anche un’ampia area boschiva-arbustiva, che
rende il luogo molto gradevole. La sorgente minerale si trova circa 1
Km. oltre il bivio sopra detto, in totale quindi dista circa 1200 metri
dalla strada Provinciale ed è pertanto facilmente raggiungibile. Il
complesso delle fonti di S. Cristoforo è costituto da due edifici con
relative aree di pertinenza e da una striscia verde stretta e lunga
posta tra il rio e la strada; il tutto si trova nel fondovalle, alla
quota di circa 80 metri s.l.m. I fabbricati ricadono sotto il Comune di
Brisighella, mentre la sorgente è nel Comune di Faenza, essendo posta
di là dal rio (torrente) che fa da confine intercomunale, ed allo
stesso Comune appartiene il terreno ove sorge il pozzo. La sorgente è
acqua d’interesse pubblico, ed in forza del D.M. del 10/09/1935 fu data
in concessione al Comune di Faenza fino al 2026.
Storia delle fonti di S. Cristoforo.
Le acque
curative di S. Cristoforo sono note ai faentini fin dal tardo Medioevo.
Come scrisse il medico Mengo Bianchelli in un trattato sulle acque
termali risalente al 1513, l’acqua fu scoperta casualmente una ventina
d’anni prima. In quel tempo, alcune pecore malate si abbeverarono a
delle piccole pozze naturali, e dopo poco guarirono. Il pastore del
gregge diffuse subito la notizia, e tutti i medici della città
confermarono le proprietà curative di quell’acqua. I Manfredi,
all’epoca Signori di Faenza, ordinarono pertanto lo scavo di un pozzo,
per meglio raccogliere e sfruttare la nuova scoperta. Le proprietà
terapeutiche dell’acqua di S. Cristoforo furono illustrate nel
Cinquecento anche dai noti studiosi Gabriele Falloppio (1523-1562) ed
Andrea Bacci (1524-1600). Nel
1610, essendovi l’urgente necessità di restaurare il pozzo, un frate
cappuccino donò al Comune 40 lire, lasciandole nelle mani di
Marcantonio Torelli. Il lavoro fu svolto nel 1613 sotto la guida di
Antonio Viarani e Paolo Salecchi; in tale occasione, il pozzo ebbe un
nuovo parapetto per impedire la caduta di sporcizia. Un ulteriore
restauro si svolse nel 1656, su delibera della Congregazione del Buon
Governo (una specie di Giunta Municipale). Ogni anno, nel mese di
maggio, il Comune provvedeva alla ripulitura del pozzo prima della
stagione estiva, nella quale avveniva il maggior afflusso di gente, da
Faenza e dai paesi vicini.Quali
malattie curava quest’acqua ritenuta così portentosa? Essenzialmente,
aveva proprietà purgative e rinfrescanti dell’apparato digerente, ed
inoltre era ottima per il fegato e contro i calcoli biliari. Dal punto
di vista chimico, l’acqua di S. Cristoforo è classificabile come
clorurosodica-bromo-iodio-litiosa, come si sarebbe scoperto in seguito
grazie ai moderni sistemi di analisi. Di queste proprietà era ben
conscio, pur senza avere a disposizione i moderni mezzi d’analisi, il
Dott. Giambattista Borsieri (1725-1785), Primo Medico Condotto della
città e ritenuto all’epoca scienziato validissimo.
Il pozzo dell'acqua termale.
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Egli fece
pressioni sul Comune affinché ricostruisse il pozzo, crollato da
qualche tempo per mancata manutenzione, tanto che la gente era tornata
a prendere l’acqua dagli affioramenti naturali. La Comunità fece quindi
ricostruire il pozzo sotto forma di casottino chiuso, dotato di
sportello per l’attingimento; il lavoro fu svolto da Giambattista
Boschi per la somma di 44,09 scudi. Le chiavi furono date in
consegna a don Francesco Gallignani, proprietario del terreno,
incaricandolo di distribuire l’acqua a chiunque ne facesse richiesta.
La proprietà della sorgente rimase però sempre al Comune, come spiega
chiaramente l’atto relativo (Archivio di stato Faenza, Instrumenta,
vol. L, carta 212). L’anno seguente, Borsieri pubblicò il trattato
“Delle acque di S. Cristoforo”, in cui illustrò la storia e le qualità
di quest’acqua. Egli distinse inoltre tre sorgenti diverse, con vari
effetti medicamentosi. Sempre nel 1761, il Boschi ricevette altri
27,85,8 scudi per aver costruito un pozzetto con chiavica per lo spurgo
del pozzo di S. Cristoforo. Nel
1766, uno smottamento d’argilla proveniente dai calanchi interruppe la
strada d’accesso, circondò il pozzo ed intorbidò l’acqua; la necessaria
pulizia si svolse però solo nel luglio 1767, con una spesa di scudi
4,50. Le opere di manutenzione del pozzo erano solitamente affidate
all’acquarolo sopra strada, in altre parole al cantoniere comunale che
operava su strade e fossi a monte della via Emilia. La
prima analisi chimica dell’acqua di S. Cristoforo fu compiuta nel 1812
da Paolo Sarti, che confermò le indicazioni terapeutiche del Borsieri.
Nel 1821, il Dott. Pietro Anderlini scrisse il libretto Topografia
medica di Faenza in cui cita la sorgente medicinale, con le tre qualità
d’acqua già descritte dal Borsieri (S. Cristoforo, Olmatello e Salsa).
Quella d’Olmatello era però la più ricca di principi curativi, quindi
era da preferirsi. Secondo Anderlini, tale acqua era indicata negli
imbarazzi gastrici, nelle coliti da essi derivate, nei vermi
intestinali, diarrea, dissenteria e coliche itteriche. In quegli anni
le acque termali riscuotevano ovunque un grande interesse, non
esistendo ancora i farmaci di sintesi, ed anche S. Cristoforo fu
frequentatissima. Nell’Ottocento, per ogni boccale d’acqua il colono
dei Gallignani era solito chiedere mezzo baiocco (circa 25 centesimi
attuali).Nel 1875 l’Ingegnere comunale segnalò la caduta di un altro
smottamento, e pertanto chiese di poter provvedere allo sgombero del
terreno ed alla ripulitura del pozzo. Dal 1886, la pulizia del pozzo fu
eseguita ogni due anni da un certo Giovanni Sansoni, sempre su ordine
del Comune. In
realtà, all’epoca gli attingimenti erano due, corrispondenti alle
sorgenti più efficaci (Olmatello e S. Cristoforo). Verso il 1905, una
grossa frana seppellì il pozzo sotto cinque metri di terra, ed il
pellegrinaggio alla sorgente si dovette interrompere. Né il Comune, né
il padrone del fondo s’interessarono del suo recupero, e per molti anni
la località cadde nell’abbandono. Solo nel 1921, Luigi Ranieri pensò di
ritrovare l’acqua curativa e sfruttarla per trarne guadagno; chiese
pertanto al Comune la concessione della sorgente, obbligandosi a
ricostruire il pozzo ed incanalare le acque a tutte sue spese. |
Verso il 1905, una
grossa frana seppellì il pozzo sotto cinque metri di terra, ed il
pellegrinaggio alla sorgente si dovette interrompere. Né il Comune, né
il padrone del fondo s’interessarono del suo recupero, e per molti anni
la località cadde nell’abbandono. Solo nel 1921, Luigi Ranieri pensò di
ritrovare l’acqua curativa e sfruttarla per trarne guadagno; chiese
pertanto al Comune la concessione della sorgente, obbligandosi a
ricostruire il pozzo ed incanalare le acque a tutte sue spese. Il 5
maggio dell’anno seguente la Giunta accondiscese, concedendo in uso la
sorgente al Ranieri per cinque anni (poi prorogati a nove, vista la
mole di lavori a carico del richiedente), con un canone di cinque lire
annue. Ranieri in un primo momento chiese anche d'acquistare la
sorgente, promettendo di costruire un nuovo pozzo igienicamente sicuro,
ma il Comune non accettò. Alcune opere di bonifica a monte avevano
intanto alzato il livello del rio, mettendo in pericolo la sicurezza
della sorgente, per cui il concessionario sarebbe stato costretto a
riscavare il pozzo, affrontando quindi spese ancora maggiori.
Il Comune
riconobbe questo, ed il 28 novembre 1924 il Commissario Prefettizio
prorogò la concessione della sorgente sino al 30 aprile 1943. Ranieri
poté così lavorare con più tranquillità, e terminare le opere già
cominciate. Anzitutto, egli scavò un pozzo-cisterna quadrato profondo
sette metri, di lato 105 cm., e dotato di una pompa a stantuffo
azionata a mano. Una tubatura di captazione lunga sette metri
raccoglieva, infatti, l’acqua d’Olmatello dalla falda, e la conduceva
entro il pozzo-cisterna, da cui poi era prelevata. L’impianto fu
coperto con un piccolo casottino tuttora esistente, ed in adiacenza fu
scavato un pozzo ausiliario, con serbatoio annesso, che forniva acqua
comune non potabile per lavaggi e pulizie. Intorno al pozzo dell’acqua
termale fu realizzato un piccolo piazzale di cemento, con un muretto ad
uso banco di mescita. Naturalmente, la ritrovata acqua fu sottoposta a
rigorosi esami per accertarne la potabilità e le prerogative. La
relazione chimica fu svolta dal Dott. Guido Masserano, mediante
prelievi di campioni svolti il 15 settembre 1923, 30 giugno 1924, 10
aprile e 1 settembre 1925. Tali analisi ci danno un quadro chiaro ed
esauriente dell’acqua termale, che si presentava limpida, di colore
paglierino, odore leggermente sulfureo e sapore marcatamente salato. La
temperatura alla sorgente era intorno ai quindici gradi; la colorazione
dell’acqua era dovuta a sostanze organiche di tipo vegetale (torba), ed
era già stata notata dal Borsieri e dal Sarti. Tuttavia, ciò non
indicava necessariamente la presenza di sostanze chimiche nocive. Il
residuo fisso calcolato a 180° era pari a 12,35 grammi per litro, e
derivava in gran parte dal cloruro di sodio (sale comune); vi erano
inoltre zolfo, calcio e magnesio, ma in quantità molto minori.
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1919 - 1920 circa. Gita alle fonti di S. Cristoforo (Fototeca Manfrediana. D.L.F. Faenza).
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1°
maggio 1941. Gita a S. Cristoforo di un gruppo di ambulanti
antifascisti iscritti al partito repubblicano. Si noti che la "ditta",
all'acqua minerale preferiva il vino naturale che, evidentemente,
considerava più curativo (Fototeca Manfrediana, D.L.F. Faenza). |
L’analisi batteriologica confermò l’assenza di germi patogeni. La
relazione medica, curata dal Dott. Alberico Testi, raccomandò che si
evitasse un uso smodato dell’acqua salina, poiché pericolosa per i reni
se non perfettamente sani. Essa era inoltre controindicata ai
sofferenti di cuore, anemie o ulcere gastroduodenali. Il Dott. Testi la
raccomandò invece a coloro che mangiavano troppa carne o bevevano
alcolici, vista l’azione purgante dell’intestino e antinfiammatoria sul
fegato. Dal punto di vista della somministrazione, egli consigliò
d’iniziare la cura con uno-due bicchieri nei primi giorni, per
verificarne la tollerabilità, per poi passare fino a sei bicchieri
d’acqua, da assumere tiepida e a sorsi, per circa una settimana. Per i
soggetti più deboli invece, era prescritta una quantità minore, ma per
un periodo più lungo. La
relazione idrogeologica, curata dal Prof. Domenico Sangiorgi, ci
informa invece sull’origine dell’acqua di S. Cristoforo; il pozzo
attingeva da una falda situata in uno strato di sabbia giallastra fine,
chiuso fra depositi argillosi che la proteggevano da infiltrazioni
esterne. Secondo il geologo, l’acqua proveniva dai depositi gessosi
della zona di Brisighella, dove s'arricchiva di sali, ed attraverso
fratture profonde giungeva allo strato sabbioso che la raccoglieva. La
costanza della portata e delle caratteristiche nel corso dei secoli
erano poi garanzia che la sorgente stessa non si sarebbe esaurita in
breve tempo, a danno di chi avesse investito sul suo sfruttamento. Al
massimo, la piccola parte d’acqua proveniente dal calanco a monte e che
poteva infiltrarsi nella vena da qualche frattura nello strato
argilloso, avrebbe provocato modeste variazioni della salinità
complessiva, secondo la quantità di pioggia del periodo. Lo stato
incolto della valle, infine, era garanzia ulteriore contro ogni
possibile inquinamento.
La casetta con le camere che si affittavano.
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Nello
stesso anno 1924, Ranieri terminò la costruzione di un’elegante
palazzina ad uso ristorante, con la propria abitazione al piano
superiore, e dei gabinetti per il pubblico; la stagione d'apertura
dello stabilimento andava da maggio ad ottobre. Sorse però un problema:
mancava l’autorizzazione alla vendita da parte del Ministero
dell’Interno. Per non stroncare l’attività del Ranieri, che aveva già
svolto notevoli investimenti, fu rilasciato un permesso provvisorio, e
finalmente il 10 novembre 1932 giunse il sospirato nulla osta
definitivo. Con decreto del 10 settembre 1935, il Ministero delle
Corporazioni, dopo aver delimitato l’area della concessione mineraria,
permise al Comune lo sfruttamento della sorgente sino al 2026 dietro
pagamento di 210 lire l'anno. Nel frattempo, la località aveva
riacquistato l’antica fama ed era divenuta assai frequentata. Negli
anni Trenta fu anche istituita la fermata del treno in corrispondenza
del casello di S. Cristoforo, per favorire l’afflusso dei clienti, e
durante la stagione delle cure funzionava anche un servizio di corriere
con partenza da Faenza alle 5,54 e ritorno alle 9,00. Il 18 settembre
1936 i figli del Ranieri, Achille e Mario, ottennero il rinnovo della
locazione sino al 30 aprile 1951, sempre per cinque lire annue. Il
prezzo simbolico era dovuto alla forte spesa d’impianto ed alla
manutenzione del pozzo, svolti dall’affittuario a proprie spese, ed al
fatto che egli svolgeva un servizio pubblico importante senza oneri per
il Comune. |
Tra l’altro, nella casa, Ranieri aveva allestito un piccolo
locale per l’imbottigliamento dell’acqua, che era così trasportata a
Faenza e venduta in un suo negozio sotto il Voltone del Podestà; alcune
casse erano spedite pure a farmacie di Milano e Modena. La sorgente non
era però molto copiosa: la portata era di soli 72 litri al giorno. Per
ovviare a tale inconveniente, e raccogliere quanta più acqua possibile,
la gestione Ranieri costruì vicino al pozzo delle vasche d'accumulo
dalla capacità di 330 quintali. Fu così possibile fare bagni curativi,
anche se tale tipo di cura fu sporadico e non svolto sul posto.
Infatti, la località non era attrezzata con camerini da bagno e quindi
gli interessati dovevano portarsi da casa diverse damigiane e riempirle
d’acqua.
L'ex ristorante.
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Nel 1948, Mario Ranieri lasciò la società col fratello. Achille
impiantò una pompa a motore per prelevare l’acqua e svolse vari lavori
di ripristino, dopo l’abbandono durante il periodo bellico. Nel 1950
Achille Ranieri ottenne il rinnovo della concessione per L. 5000 annue
fino al 1976, ma si dovettero svolgere dei lavori per migliorare lo
stato delle tubature, dell’impianto di imbottigliamento e del pozzo. Negli
anni Cinquanta e Sessanta la località continuò ad essere assai
frequentata, ed intorno al pozzo e al ristorante furono allestiti
campetti per bocce e pattinaggio e tavoli da ping pong; vi era pure la
pista da ballo, con orchestra dal vivo la domenica. Tuttavia, con
l’avvento di un maggiore benessere economico e della motorizzazione di
massa, gradualmente la gente cominciò a frequentare località sempre più
lontane da casa, e a disdegnare le mete classiche dei dintorni, come S.
Cristoforo, che tuttavia rimaneva una valida attrattiva per la gita
domenicale. In ambito generale, la sempre maggiore diffusione dei
farmaci di sintesi, comodi ed efficaci, diede un ulteriore colpo
all’usanza delle cure termali, che fondava il suo plurisecolare
successo su lunghi e studiati periodi di cura, e tutto il comparto
termale nazionale perse via via l’importanza di un tempo. L’emanazione
di leggi più stringenti rese impossibile continuare l’imbottigliamento
e la mescita senza ingenti spese di ammodernamento, per cui dopo la
morte di Achille Ranieri, il figlio Luigi, seppure a malincuore,
ritenne che queste spese non fossero sostenibili e si dedicò alla
gestione del solo ristorante. A
metà anni Settanta l’allora Sindaco di Faenza, Veniero Lombardi,
dispose l’esecuzione di sondaggi e di una perizia per riattivare la
sorgente sotto la diretta gestione pubblica, ma le operazioni andarono
per le lunghe. In una lettera del 19 febbraio 1983, il Servizio di
Igiene Pubblica fece sapere che pozzo e sorgente erano in totale
abbandono, ed era impossibile fare prelievi d’acqua; sarebbe stato
inoltre necessario ricostruire l’opera di presa della sorgente. Si
ipotizzò che il Comune eseguisse i lavori, per poi affidare la sorgente
ad un nuovo concessionario, ma ormai i tempi erano cambiati. Le Terme
di Brisighella offrivano servizi più moderni e completi ed erano
convenzionate con la mutua, mentre S. Cristoforo non aveva alcuna
possibilità di concorrere sullo stesso piano. Fino al 31 dicembre 1989
continuò a funzionare il ristorante al pianoterra dell’ex stabilimento,
poi chiuse anch’esso essendo venuto meno il richiamo principale del
luogo. Il bosco crebbe avvolgendo il pozzo, che oggi è in rovina.
Nessuno si è più attivato per il recupero di questo antico sito
termale, nonostante diversi appelli su giornali e periodici.
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Cosa è rimasto oggi delle antiche fonti?
Il
complesso è costituito da due edifici, entrambi posti a pochi metri
dalla strada: l’ex ristorante - stabilimento di imbottigliamento, con
abitazione dei proprietari, ed una casa di tipo colonico. Il
primo fabbricato fu costruito nel 1922-24, in un elegante stile tardo
neoclassico con accenni liberty, ed ampliato verso ovest negli anni
Trenta. La facciata presenta un doppio loggiato al piano terra e primo,
ma pochi anni dopo la costruzione, la loggia al piano terra fu chiusa
con vetrate per fare spazio alla prima sala ristorante. Un’altra sala
ristorante fu realizzata verso il 1960 sul lato est. Notevole
l’affaccio dal terrazzo verso l’alto dirupo dell’Olmatello, il torrente
ed il bosco. Il
censimento degli edifici rurali del Comune di Brisighella definisce
questo edificio “di pregio architettonico”, per l’eleganza del
prospetto principale ed il valore di testimonianza storica legata alla
sorgente minerale. Il
secondo fabbricato, a carattere più rustico, è databile anch’esso al
1930 circa. L’immobile si trova sul lato opposto della strada e pochi
metri più a monte rispetto al primo, così da non privarlo della visuale
panoramica verso i calanchi. Fonti orali riferiscono che in origine le
stanze presenti al primo piano fossero destinate a camere d’affitto,
costituendo così la “pensione a prezzi mitissimi” citata nei vecchi
depliant; in effetti, tutti i locali sono identici e disimpegnati dal
ballatoio esterno, il che non è certo tipico delle case coloniche del
faentino ma che invece si adatterebbe bene ad un Bed & Breakfast
ante litteram. L’ex stabilimento termale è completato da diverse aree
esterne tenute a giardino, prato e bosco. Di
fronte all’edificio dell’ex ristorante vi è l’area ricreativa di circa
800 mq., che comprende una grande pista da ballo di forma ovale,
completamente circondata da un suggestivo giro di alberature e da spazi
verdi con panchine, il tutto a ridosso del torrente. Fra la strada ed
il rio si estende una striscia verde pianeggiante, tenuta a prato e
bosco. L’ex ristorante è circondato da un piccolo boschetto, in
declivio verso la strada. Una cinquantina di metri più a valle rispetto
allo stabilimento, subito al di là del rio che si valica mediante un
ponticello carrabile con ringhiera d’epoca in ferro, si trova l’area
(di proprietà del Comune di Faenza) dove sorgono il vecchio pozzo
dell’acqua minerale ed i serbatoi di accumulo. L’area verde circostante
(circa 2200 mq.) è oggi invasa dalla vegetazione spontanea, ed un
piccolo smottamento ha innalzato il livello del terreno coprendo la
base del pozzo. Il
casottino in muratura è in pessime condizioni di conservazione, ma
meriterebbe di essere recuperato a causa del suo importante valore
storico; è provvisto di un cornicione in cemento con modanature, e
sopra di esso vi è un volume tecnico, costruito negli anni Trenta per
le pompe e come riserva d’acqua. Pochi metri più indietro, parzialmente
interrato, vi è il vecchio serbatoio di accumulo, con un altro
rubinetto che in origine serviva a riempire le damigiane da portare a
casa per i bagni curativi. Anche nel passato le fonti di S. Cristoforo
hanno vissuto lunghi periodi di abbandono, e sarebbe davvero un peccato
che queste acque così particolari andassero perdute per sempre.
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