La produzione della pipa a Faenza |
"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici. |
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LA PRODUZIONE DELLA PIPA A FAENZA
Stefano Dirani - Giuliano Vitali Nell'intera
gamma dei prodotti ceramici a Faenza non mancò quello delle pipe in
terracotta. Già nell'Ottocento in Faenza esisteva una larga produzione
di questi oggetti. Le otto botteghe produttrici di pipe in terracotta
lavoravano con sistemi artigianali, stampando ogni pipa a mano. Ma
presto queste botteghe non riuscirono a sostenere i ritmi di produzione
di altre fabbriche concorrenti, essendo queste ultime meglio
organizzate, dotate com'erano di macchine che consentivano una
produzione più alta e un sensibile contenimento del prezzo. In poco
tempo a Faenza si assistette alla chiusura di quelle botteghe che non
vollero passare da una lavorazione a mano a quella con l'ausilio di
presse. Di tutto questo si accorse Francesco Borghi (1853-1933), che
pensò di impiantare una fabbrica per produrre pipe con nuove macchine.
Il Borghi non aveva una tradizione specifica di questo lavoro, aveva
fatto diversi mestieri: aveva viaggiato per l'Italia e, molto
probabilmente, aveva visto fabbriche e macchine che producevano pipe.
Abbandonato il suo precedente lavoro presso un Ente pubblico, nel 1887
fondò la prima fabbrica di questo prodotto con l'ausilio di macchine,
in via Foschini n. 10.
Nel cortile dell'edificio fece costruire la vasche per depositarvi la terra e per filtrarla, mentre nella cantina vi erano dei recipienti destinati a contenere la terra nei periodi invernali. Al primo piano vi erano tre stanze adibite alla lavorazione, le presse erano fissate al muro, c'erano tavoli e altre attrezzature comuni e i forni. Al secondo piano, una grande stanza, attraverso le cui pareti passavano le canne dei forni, era adibita alla preparazione della terra per la stampatura, che necessitava di una preliminare asciugatura. Questa terra, una volta impastata, veniva lavorata in modo da formare dei cilindretti lunghi di spessore uniforme, della grossezza della pipa; poi, quando l'argilla aveva raggiunto una certa consistenza, veniva tagliata in tanti cilindretti della lunghezza della pipa. Le fornaci erano due uguali (50 cm. di larghezza e 2 m. di altezza) e servivano una per la cottura delle pipe in terra rossa (acquistata nell'imolese) e l'altra per quelle in terra bianca, proveniente dai bacini montani della zona faentina di Quartolo.
Questa separazione di cottura era dovuta soprattutto al trattamento della terra rossa, per la quale si usavano diversi lubrificanti, olio, petrolio, etc. Durante la cottura questi lubrificanti potevano influire sul cambiamento di colore della terra (per effetto del passaggio dall'ambiente ossidante a quello riducente), anche perché si facevano molti pezzi con la tecnica del bucchero, che diviene una produzione caratteristica della ditta. La cottura avveniva una volta alla settimana, usando della legna in fascine e qualche volta anche della corteccia d'albero, ed era eseguita e curata personalmente dal Borghi, che rimaneva accanto al forno dalle 10 alle 12 ore: per controllare il giusto grado di temperatura usava sempre il "provino". In una cottura venivano inserite nel forno dalle 10 alle 12 mila pipe. Questa fabbrica non subì la sorte delle altre, poiché con l'ausilio delle presse manuali, poté concorrere con i prezzi del mercato italiano, organizzandosi nelle vendite tanto da distribuire il prodotto in tutte le parti d'Italia.
Le donne lavoravano dalle otto alle nove ore giornaliere ed erano tutte assicurate. Borghi creava i modelli delle pipe, poi li portava in una fonderia a Bologna per fare gli stampi in lega di ottone e bronzo, che utilizzava per le presse. Oltre a questi utilizzava gli stampi di scagliola, che faceva da se. In tutto il periodo di questa sua attività creò da sessanta a settanta tipi diversi di pipa, con riproduzioni di teste di uomo, di animale, di pupo siciliano, di zampe di animali e altre fogge non figurate. I colori erano vari: nero tutto il corpo della pipa, o metà nero o metà rosso, o tutto bianco od altre colorazioni. Altra specialità di Borghi era la piegatura delle cannucce per certi tipi di pipa. Durante la Prima Guerra Mondiale non ebbe nessun rallentamento di produzione e nel dopoguerra i guadagni andarono sempre meglio, tanto che potè dedicarsi al suo sport preferito: la bicicletta. Quando si assentava dalla fabbrica, rimaneva sempre qualche familiare, generalmente la figlia Maria, che pian piano si appassionò a questa attività. Negli anni Venti, fino al 1925, ebbe enormi richieste, che non riusciva a soddisfare per intero: spediva confezioni di dodici pipe a migliaia per volta. II prezzo era di L. 3 ogni cento, per il rivenditore; le cannucce erano confezionate a parte in mazzette da 50 o da 100 e naturalmente anche il prezzo era a parte. Col diffondersi del consumo delle sigarette si giunse a creare un nuovo tipo di pipa adatta all'utilizzo con sigaretta: il "pipino". Questo pioniere delle pipe in terracotta moriva nel 1933 proprio quando il suo prodotto stava andando in decadenza. La fabbrica, dopo la morte di Borghi, non chiuse per merito della figlia Maria e del marito di lei Giulio Cova. Continuarono a produrre gli stessi oggetti e sempre con le ultime operaie rimaste. Per motivi finanziari, nel 1935 dovettero lasciare l'antica fabbrica, portandosi nella parte opposta della strada al n. 5. Qui Cova costruì la vasca per la terra ma non riuscì a realizzare il forno, per cui si serviva di quelli della fabbrica Trerè, dove il proprietario, Savioni, concedeva lo spazio per la cottura delle pipe, che venivano messe accatastate dentro dei vasi da fiori. Questa produzione limitata durò fino alla distruzione della fabbrica Trerè nel bombardamento del maggio 1944. Nel frattempo Cova aveva apportato qualche modifica alle presse, rendendole più funzionali, libere dal muro con un proprio supporto, più svelte nella manovra dello stampaggio. Finita la guerra, nel'1946, iniziarono nuovamente a fabbricare pipe costruendosi anche un forno. Al n. 5 di via Foschini si continuò a cuocere pipe fino al 1957; da questo anno la vecchia tradizione delle pipe in terracotta faentine finì e con essa ciò che restava della fabbrica, che aveva dato una svolta a quella particolare lavorazione, nella Faenza tradizionale, adottando la macchina. |
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DA DOVE VIENE LA CARATENA? La pipa in terracotta è nota in tutta la Romagna col termine di "pepa caratena" o più semplicemente come "caratena". Lo stesso Olindo Guerrini, nei suoi "Sonetti Romagnoli", dedica ben sei componimenti alla popolarissima pipa. Ma da dove viene la parola "caratena"? Accanto alle ipotesi di alcuni studiosi (Libero Ercolani e Adelmo Masotti fra gli altri), ci piace segnalare la recente "scoperta" di Gilberto Casadio (autore del fortunato "Vocabolario etimologico romagnolo", La Mandragora Editrice, 2008). Riportiamo di seguito alcuni passi di un suo articolo tratto dal numero di aprile-maggio 2010 de "La Ludla " (periodico dell'associazione "Istituto Friedrich Shurr"). Un paio di mesi fa mi sono imbattuto in un vecchio documentario televisivo della Rai della metà degli anni '60 sulla città di Londra. Una visita, non tanto ai palazzi, ai monumenti o ai musei, quanto agli angoli tipici della città. Durante la visita ad un negozio di tabacchi, una scritta a lettere cubitali in vetrina mi ha fatto sobbalzare sulla poltrona: CHARATAN PIPE'S TOBACCO (tabacco della Pipa Charatan). Dunque anche in Inghilterra esiste (o esisteva) "una pepa caratena"! Si tratta del nome commerciale di un celebre tipo di pipa inglese prodotto a partire dalla seconda metà dell'Ottocento. La manifattura di pipe Charatan fu fondata a Londra nel 1863 da un immigrato russo di nome Frederick Charatan. Si trattava di un prodotto di pregio che in pochissimi anni raggiunse grande notorietà in tutto il mondo. A mio modesto avviso il marchio Charatan sta, con ogni probabilita, alla base della nostra caratena: troppo simili i due termini per potere pensare ad una coincidenza fortuita. Caratena sarebbe dunque da intendere come "Caratina", cioè una "piccola Charatan" rispetto al lusso e alla qualità dell'originale inglese. Un diminutivo ironico, nato probabilmente in un ristretto ambito di fumatori di buon livello sociale che ben conoscevano le Charatan. |
LE PIPE DI GINO GEMINIANI Gino Geminiani apre nel 1985 in via Baroncini n. 9 una nuova bottega di ceramica dove produce terracotta foggiata a mano. Un caso fortuito fa avvicinare Geminiani ai Borghi, ultimi produttori di pipe a Faenza, i quali abitavano in una traversa della suddetta strada, in via Foschini. Quest'incontro avviene nel 1987 quando, sistemando alcuni locali vicino all'attività di Geminiani, vengono rinvenuti diversi stampi in gesso per la realizzazione di pipe appartenuti alla vecchia fabbrica dei Borghi. Tutto questo lo incuriosisce e, ispirandosi a quei vecchi modelli, inizia a creare una nuova produzione. Dopo trent'anni esatti Geminiani riprende a fabbricare pipe a Faenza, cambiando naturalmente il sistema di foggiatura, dalla vecchia pressa con stampi in metallo per produrre in vasta scala, a sistemi meno complicati come il metodo di foggiatura a colaggio o a stampatura a mano, cuocendo l'argilla a 1000° circa. Nella nuova sede che apre nel 1996 in via Nuova, continua a creare questo articolo in terracotta per il fumo del tabacco, proponendo varie alternative, come i modelli in terra bianca, quelle rivestite con smalto vetroso e decorate, con la tecnica Raku, altre con colori iridescenti con il metodo del lustro in riduzione e alcune con la tecnica a bucchero. Oltre a fornire al pubblico questa pipa in ceramica la correda di cannuccia realizzata con rametti di legno di ciliegio maraschino o prugno per un buon utilizzo della pipa. Geminiani presenta questo particolare prodotto nelle fiere, dove è presente con il proprio stand, suscitando sempre interesse per questo prodotto popolare ormai dimenticato e colpendo la curiosità del pubblico sia per le forme sia per i colori. L'eclettismo e la bravura di Gino Geminiani si dimostrano, in tutta la sua opera di ceramista, nel creare una piccola produzione di pipe con tecnica ammirevole, facendo si che un articolo popolare del passato diventi da collezione. Geminiani è sicuramente un ceramista affermato, come dimostrano le sue presenze a mostre d'arte, ha partecipato a diverse edizioni del "Mondial Tornianti di Faenza" piazzandosi sempre ad alti livelli, recentemente è stato presidente dell' "Ente Ceramica Faenza", ha fondato l'associazione "Ceramicaviva" con lo scopo di fare conoscere la ceramica sia a ragazzi delle scuole sia a adulti curiosi di apprendere quest'antica arte, impartendo lezioni pratiche sotto la sua guida esperta. Geminiani continua questa tradizione di fabbricare pipe e dimostra nuovamente la sua spiccata abilità nel proseguire una tradizione locale, con la volontà di rinnovarsi per dare un ulteriore stimolo all'evolversi del prodotto ceramico. |
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A sinistra, pipe con cannuccia maiolicate e dipinte da Gino Geminiani. A destra, stampo in gesso con modello in terracruda. |
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