La rinascita del palio moderno
di Gabriele Garavini
La prima idea di valorizzare con la disputa di un Palio la tradizionale
divisione della città in rioni, venne a Ermanno Cola, brillante autore
di commedie in vernacolo. Nei primi mesi del 1959 Giuseppe Sangiorgi,
membro del comitato della Settimana Faentina ne intraprese lo studio
per la pratica attuazione. Il sindaco Elio Assirelli
dimostrò interesse per il progetto, incoraggiò Sangiorgi che ebbe
il merito di condurre in porto la prima edizione del Palio
moderno, grazie anche alla sua capacità di circondarsi di persone
affidabili che svolsero generosamente gli incarichi loro affidati per
la felice riuscita della manifestazione. Nel sottocomitato della
Settimana Faentina, cui venne affidato il compito di costruire la
struttura organizzativa della nuova manifestazione, facero parte:
Gioacchino Alma, Gianfranco Banzola, Giacomo Bettoli, Giuliano Bettoli,
Ermano Cola, Goffredo Gaeta, Lino Gambi, Olindo Guerra, Ludovico
Massari, Neo Massari, Piero Matarese, Walter Padovani, Goffredo Samore,
Carlo Zagnoli, Laerte Zauli. La storia faentina ha tramandato
l’esistenza di quattro rioni: giallo, nero, rosso, verde. L’aggiunta
del quinto rione, il Bianco, arriva in conseguenza della
nuova Giostra. La decisione ha una sua giustificazione: il Borgo
Durbecco, anche dai Manfredi, era compresso nel territorio urbano con
la cinta muraria quattrocentesca ad esso estesa. Diatribe si ebbero
anche sul colore da assegnare al nuovo rione, ma alla fine fu adottato
il Bianco.

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Sfilata del Palio del Niballo a sinistra, Giuramento dei cavalieri a destra. (Foto Raffaele Tassinari)
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La promozione del Borgo alla dignità di rione sollevò le
gelosie e legittima rivendicazione della frazione più popolosa del
territorio faentino, Granarolo, a candidarsi a partecipare al palio. La
reazione dei granarolesi fu molto vivace, ma poi, fortunatamente, la
polemica, cosi come era partita, si spense. Occorse dar vita alle
cinque strutture rionali, e furono incaricati cinque sottocomitati. Per
il Rione Bianco: Antonio Goni, capo rione, Paolo Montanari, Ezio
Boschi; per il Rione Giallo Augusto Giacometti, capo rione, Mario
Sangiorgi, Giacomo Bettoli; per il Rione Nero Adelmo Gaeta, capo rione,
Remo Bosi, Medardo Ballardini; per il Rione Rosso: Sergio Samorè, capo
rione, Armando Trerè, Luciano Cacciari; per il Rione Verde: Ermano
Cola, capo rione, Leone Giuliani, Gioacchino Alma. Ermanno Cola
basandosi sul brano di un antico cronista studiò la coreografia del
Palio, mentre Caterina Fucci Calderoni (Faenza 1912-1996), insegnante
di matematica, abilissima sarta e ricamatrice, confezionò in un
tempo veramente breve i primi costumi, ispirandosi a modelli vagamente
secenteschi. Vincenzo Cattani, insegnante di educazione fisica famoso
per gli spettacolari saggi ginnici creò le
coreografie del nuovo spettacolo e istruì le oltre cinquanta comparse
di quel primo corteo storico. Si decise di correre la Giostra il 29
giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, patroni della città. Per la
gara equestre, ci si attenne agli schemi tradizionali e alle
formule stabilite per questo genere di competizioni in voga nel ‘600.
Per quel primo anno ogni cavaliere corse singolarmente, con il cavallo
al galoppo e lancia in resta contro il "Niballo" nel cui braccio destro
teso era posto un dischetto come bersaglio. Ad ogni tornata questo
bersaglio veniva sostituito con uno di diametro inferiore; il Cavaliere
che non centrava il bersaglio era destinato ad un’abbondante
annaffiata. Infatti, sopra il Niballo, era posto un serbatoio
contenente circa 50 litri d’acqua che si rovesciavano sull’imperito
Cavaliere. Data l’impossibilita di reperire a Faenza cavalieri con
sufficiente bagaglio tecnico, si chiede alla G.E.S.E. di Bologna di
fornire cavalli e atleti giostranti. I cinque cavalieri Bolognesi
che disputano la prima corsa del Niballo, furono abbinati ai rioni a
sorte. Vinse Nicola Fouquè, abbinato al Rione Bianco.
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Palio del Niballo a sinistra il cavaliere del Rione Rosso, a destra il cavaliere di Borgo Durbecco.
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Finita la contesa
i rioni sconfitti consegnarono, a quello vincente, i loro
stendardi, rimanendone privi fino alla competizione dell’anno
successivo. Il palio ricevette il conforto di un grande pubblico. Dalla
seconda edizione, la novità più importante riguardò i cavalieri
giostranti che dovevano essere faentini di residenza e che ogni
cavallo giostrante doveva appartenere al rione per il quale gareggiava.
Tale decisione non è mai più stata modificata, almeno per quanto
riguarda le modalità organizzative del palio storico, e ciò ha prodotto
rilevantissimi positivi frutti: ha stimolato infatti, anno dopo anno,
l’investimento dei Rioni sulla formazione dei cavalieri, sulla
selezione e sull’addestramento dei cavalli, fino a costituire una
scuola faentina di giostratori che ha saputo conquistare e
tutt’ora ottiene vittorie e riconoscimenti per tutta l’Italia.
Solo dall’edizione del 1961, la terza, avviene un rilevante
mutamento delle regole della giostra. Ovvero l’introduzione di un
modello di gara più tecnico e impegnativo che, con successive
marginali modifiche, si afferma come definitivo. Si abbandona la corsa
solitaria del cavaliere a favore della sfida a singolar tenzone su una
pista ellittica, che impegna i due contendenti in un confronto,
emotivamente molto coinvolgente, misurato sulla velocità e sull’abilità
tecnica, per giungere a colpire, prima dell’avversario, uno dei
due piccoli bersagli, posti sui bracci tesi di un fantoccio con
fattezze di guerriero, chiamato Niballo. Anche la parte coreografica e
storica è oggetto di cambiamenti e di arricchimenti. Si opera un
riposizionamento storico dei figuranti, arretrando al Rinascimento,
specificamente al periodo della signoria manfreda, il riferimento
cronologico per i costumi e i personaggi rappresentati, abbandonando
progressivamente le vaghe fogge secentesche delle prime edizioni.
Compaiono nella sfilata i primi alfieri con bandiere e nella mattina
della domenica precedente la festa di S. Pietro, nella Piazza del
Popolo, vene introdotta la cerimonia solenne del giuramento
dei cinque cavalieri. L’Amministrazione Comunale si adoperò per
dotare i rioni di sedi, in modo da risolvere la precarietà delle
soluzioni iniziali e ben presto si riuscì ad assegnare a ciascuno dei
cinque rioni una casa dove costituire le strutture dell’aggregazione,
dove predisporre i luoghi del lavoro progettuale, organizzativo,
operativo, promozionale. Sino ad arrivare ai giorni nostri dove i rioni
dispongono di sedi funzionali e di un moderno centro di allenamento, il
Centro Civico Rioni.
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