Tradizioni popolari faentine di due secoli fa

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Tradizioni popolari faentine di due secoli fa

Giuseppe Dalmonte

"L'inchiesta napoleonica"
Nel maggio 1811 il direttore generale della pubblica istruzione del Regno d'Italia, Giovanni Scopoli, inviò da Milano a tutti i professori di Lettere dei Licei del regno una circolare per raccogliere notizie e informazioni sui costumi, sulle tradizioni, sulle credenze e sulle superstizioni diffuse nelle campagne dei vari dipartimenti. I temi dei quesiti riguardavano la nascita, le nozze, i funerali, e le feste principali dell'anno come il Natale, il Capodanno, il Carnevale, la Quaresima, la Settimana Santa, la Pasqua ecc.; inoltre si chiedevano notizie sulle pratiche agrarie nelle varie stagioni oppure sulle manifestazioni di allegria collettiva con balli, canti o altre espressioni di gioia. Infine si cercava raccogliere informazioni sui caratteri dei dialetti degli abitanti dei vari comuni che componevano il dipartimento. Questa importante e vasta inchiesta napoleonica è alla base della famosissima opera "Usi e pregiudizi de' contadini della Romagna", che Michele Placucci pubblicò a Forlì nel 1818, utilizzando in gran parte le risposte fornite dai parroci ai questionari inviati dai podestà dei vari comuni del dipartimento del Rubicone, che comprendeva gran parte del territorio romagnolo.

L'inchiesta nel faentino
Limitando l'indagine al territorio faentino veniamo a sapere che il viceprefetto Dionigi Strocchi nell'agosto dello stesso anno trasmette la richiesta al Podestà Lodovico Laderchi che prontamente interpella i parroci del circondario faentino per raccogliere tutte le informazioni necessarie all'inchiesta governativa


Michele Placucci
"Usi e pregiudizi de' contadini della Romagna"
, pubblicato a Forlì nel 1818.



Contadino romagnolo.
Le nascite
L'arciprete di Pieve Cesato riferisce l'usanza in voga tra i contadini, in occasione della nascita di un figlio, di offrire un pranzo a tutti i parenti intervenuti per congratularsi con la puerpera e per rallegrarsi della nuova prole, tuttavia precisa il sacerdote che questa pratica si svolge soltanto in occasione del primo parto, quelli successivi non sono considerati o festeggiati alla stessa maniera. II parroco di S. Lucia delle Spianate, a nome anche dei suoi confratelli delle parrocchie di Oriolo, di S. Biagio e di S. Mamante, precisa che in tale occasione è consuetudine offrire alla puerpera alcuni regali secondo le proprie possibilità, il pranzo offerto ai parenti in questa occasione è chiamato la "zuppa", da altre parti è indicato invece come "tardura" o "impajolata". II sindaco di Granarolo invece riferisce l'usanza di portare alla chiesa il neonato da battezzare con una fettuccia o cordella posta sul panno indossato dal bambino di sesso maschile, mentre le femmine ne sono sprovviste; qualche parroco precisa che la fettuccia è di colore rosso. In altre località vicine la cordella rossa è invece portata sotto forma di nastro sulla spalla destra dalla giovane destinata al trasporto del neonato maschio alla chiesa.

I matrimoni

Le varie fasi delle nozze contadine sono descritte in modo puntuale e vivace dal cappellano di Pieve Cesato don Giuseppe Lega. Dopo le pubblicazioni di matrimonio, il promesso sposo insieme ai suoi parenti, in una giornata prevalentemente festiva, si reca a casa della promessa sposa portando con sé "teglie di torta e cesti di dolci"; cominciando dai parenti più prossimi tutti principiano a stringere la mano della promessa in segno di congratulazione e di allegria. Giunta l'ora del pranzo, tutti si siedono "a lauta mensa" ponendo i promessi sposi a capo tavola.Nel corso del pranzo i commensali prorompono in ripetuti "evviva gli sposi" e altri simili brindisi di giubilo e allegria, trascorsa la giornata festosamente, tutti ritornano alle loro case. In un giorno feriale della settimana successiva si celebra invece in chiesa il matrimonio senza il concorso di alcun parente, mentre la sposa è accompagnata alla chiesa da una donna della famiglia, spesso la madre, oppure da una vicina, che in alcune parti del territorio ravennate viene chiamata "Filippa". La domenica successiva lo sposo con i suoi parenti si reca a casa della sposa, dove con tutti i parenti fanno una colazione, quindi i nuovi sposi ritornano "in pompa" alla casa del marito. Durante il tragitto è invalso l'uso di sparare colpi di pistola o di schioppo, a questi colpi gli abitanti delle case vicine rispondono con altrettanti spari in segno di pubblica esultanza.
Giunti alla casa dello sposo, la nuova sposa saluta e si complimenta con i nuovi parenti, quindi si siedono per il pranzo, al termine del quale la sposa distribuisce ai parenti suoi e del marito alcuni regali, che consistono in qualche fazzoletto, alcuni dolci oppure in qualche caso una camicia. II segretario comunale di Faenza Integra le precedenti informazioni con qualche chiarimento: in primo luogo i contadini non vogliono sposarsi di maggio, fra i giorni della settimana scelgono il giovedì o il sabato, mai di venerdì per sposarsi e per condure a casa la sposa essi scelgono invece la domenica. Sulla consuetudine di sparare colpi di archibugio o di pistola l'impiegato afferma che sta diminuendo quest'abitudine per il rincaro del prezzo della polvere da sparo. Infine sul "tocca-mano" o promessa di matrimonio il segretario precisa che si svolge la domenica in cui si fa l'ultima pubblicazione in chiesa del matrimonio convenuto, quest'atto consiste nella stretta di mano fra la promessa sposa sulla porta di casa e il promesso sposo, presentato dal mediatore del contralto nuziale o "bracco", seguono i vari parenti presentati reciprocamente secondo il diverso grado di parentela. Viene invece chiamato "ritornello" o "ritornata" il ritorno alla casa paterna della sposa una o due settimane dopo aver festeggiato e consumato il matrimonio.

I funerali
Sulle costumanze funebri, il cappellano di Pieve Cesato ci descrive alcune significative espressioni popolari del lutto e dei funerali. Appena il defunto è spirato e diventato cadavere si mandano due messi alle case dei parenti per invitarli alla casa del defunto dove si trattengono anche il giorno seguente, si scambiano le condoglianze con i famigliari, gli uomini ricevono da questi "lo scorruccio", una benda che legano "alla testiera del cappello", mentre le donne ricevono veli neri coi quali si coprono la testa e le spalle.
In seguito il defunto è accompagnato in chiesa da un corteo di soli uomini, perché le donne restano a casa, terminata la cerimonia funebre, tutti i parenti tornano alla casa del defunto, dove pranzano sulla nuda tavola in segno di dolore e di mestizia, al termine ognuno fa ritorno alla propria casa. II parroco di S. Lucia, don Domenico Cavina, ci fornisce qualche informazione ulteriore: i parenti e gli amici sono soliti segnare con una piccola candela accesa il volto e il corpo del defunto formando tanti segni di croce; durante le esequie in chiesa sono consegnate ai parenti alcune piccole candele che restano accese durante la funzione funebre, terminata la quale i parenti accompagnano il defunto al cimitero, dove c'è l'usanza di gettare nella fossa sepolcrale gli avanzi delle candele accese in precedenza.




Silvestro Lega,
Una visita, 1868, olio su tela,
Roma, Galleria d'Arte Moderna.


Riportiamo dal libro: "Usi e pregiudizj de' contadini della Romagna", dall' edizione del 1818, di Michele Placucci
i capitoli riguardanti:




Aspetti di vita quotidiana.




"Delli regali in caso di nascite, che si fanno da' parenti"



"Del matrimonio," e della filippa" e "Del pranzo nuziale"






Una sera in campagna, al caldo nella stalla, illuminati da una lampada a petrolio,
 gli uomini giocano a carte, una donna fila la lana osservando la figlia,
 mentre il fratello gioca con il forcale.








"Del pranzo, o cena mortuaria"


Funerale.





Michele Placucci
Usi, e pregiudizj de’ contadini della Romagna
 A cura di Giuseppe Bellosi. Pagg. LVI-[190]. Imola, 2002

Michele Placucci (Forlì 1782-1840) fu segretario generale della comunità forlivese. In questa veste ebbe l’opportunità di conoscere i risultati dell’inchiesta ufficiale condotta nell’anno 1811 dal Governo del Regno d’Italia su le costumanze, i pregiudizi e i dialetti delle popolazioni soggette. Da questi documenti il Placucci trasse l’opera "Usi, costumi e pregiudizj de’ contadini della Romagna" pubblicata nel 1818 a Forlì “a sollazzo di chi si apprestasse a leggerla e specialmente de’ villeggianti”. Malgrado le intenzioni non troppo scientifiche dell’autore, l’opera del Placucci è per noi di straordinaria importanza perché descrive dettagliatamente e in modo sistematico le tradizioni popolari romagnole, raggruppando l’abbondante materiale in dieci Titoli (a loro volta suddivisi in capitoli e paragrafi) che qui riportiamo per fornire un quadro indicativo del contenuto dell’opera: I. Delle Nascite; II. De’ matrimonj; III. De’ mortorj; IV. Delle operazioni di agricoltura praticate da’ contadini in ciascun mese dell’anno; V. Degli usi, e pregiudizj relativi a certe epoche principali dell’anno; VI. Degli usi, e pregiudizj sugl’influssi celesti, ed intemperie; VII. De’ pregiudizj relativi a certi medicamenti; VIII. Dei pregiudizj sull’economia domestica; IX. Dei malefizj; X. Delli diversi usi in generale. L’introduzione di Giuseppe Bellosi, Michele Placucci un precursore della ricerca folklorica in Romagna, costituisce un vero e proprio saggio sull’importanza e la fortuna dell’opera nell’ambito degli studi folklorici romagnoli.

Gilberto Casadio








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