Gli albori dell'istruzione a Faenza

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Storia Medioevale


GLI ALBORI DELL’ISTRUZIONE A FAENZA

di Luigi Solaroli


Nell'Alto Medioevo (dal 476 fino all'anno 1000), fu soprattutto la Chiesa a occuparsi dell’educazione dei giovani tranne le famiglie nobili che spesso assumevano dei religiosi per l'istruzione dei propri figli. Le scuole avevano quasi sempre sede all'interno dei monasteri. Esistevano anche scuole parrocchiali, che fornivano un'alfabetizzazione di base specie a bambini destinati al sacerdozio o ad incarichi all’interno della chiesa. Faenza, come tutte le città, seguiva questo modus vivendi anche se non si sono trovate fonti storiche per documentarlo. Solo dal sec. XII tra i canonici cominciano ad apparire dei “magistri” (celebre il nostro storico Tolosano); in un documento faentino contemporaneo di s. Pier Damiano (la carta d’Eutichio del 1045), troviamo le firme di due <scolastici>, e cioè di due persone addette all’insegnamento nelle scuole primarie: Ildebrando, “grammatico”, e Rainerio insegnante del “trivio” (grammatica, retorica e dialettica); questo Rainerio potrebbe essere stato il maestro dello stesso s. Pier Damiano che frequentò le scuole faentine attorno l’anno 1020. Lo stesso s. Pier Damiano c’informa sui programmi di queste scuole primarie e la sua testimonianza è tanto più preziosa in quanto è isolata nei secoli e potrebbe anche riferire la sua esperienza faentina “…nelle scuole, scrive, dove i fanciulli ricevono le prime nozioni per articolare le lettere, alcuni di questi fanciulli si chiamano <abecedarii>, alcuni poi <nominarii> ed infine <calcolatori>”, e già nell’udir questi nomi ci facciamo un’idea del grado d’istruzione di quei fanciulli.


Lezione alla Sorbona di Parigi, metà Xv secolo, da un manoscritto medioevale.
Proviamo ora a spiegare il significato di questi livelli d’istruzione:
abecedarii, erano i fanciulli che cominciavano a leggere (e poi anche a scrivere se.... volevano farlo), lettera per lettera. a b c d…….;
sillabarii, leggevano sillaba per sillaba e non in ordine alfabetico. A chi potesse giudicare eccessiva la distinzione fra le due classi, faccio osservare che nel medioevo la lettura delle sillabe era molto più difficile di oggi, sia per i nessi che potevano modificare la pronuncia (ae, oe, ph, ti, ci, gi e ge si pronunciavano ancora ghi e ghe, sia per le numerose abbreviazioni: la lettera p, ad es. poteva leggersi in quattro modi: prae, pro, per e post a seconda dei segni che l’accompagnavano), così la lettura delle sillabe costituiva un notevole passo nell’istruzione primaria del Medio Evo; nominarii, erano gli scolari che non solo leggevano parole intere, ma si rendevano conto del loro significato; calcolatori, questi imparavano fare i conti e le regole più elementari di calcolo.

Come esame per le materie “letterarie”, doveva esserci (se c’era), una prova molto semplice: bastava far leggere e interpretare (o magari anche scrivere sotto dettatura), parole o frasi come questa: “Ferunt Ophir convexa kymba per liquida gazas”, che significava: <Navi panciute attraverso il liquido elemento trasportano ricchezze ad Ofir>. Ma cosa interessava ai ragazzi tale frase? La frase aveva la particolarità di incorporare tutte le 24 lettere dell’alfabeto latino comprese le più rare: k x y e z; ecco, chi sapeva leggere e scrivere questo verso, veniva diplomato. Una curiosità, quante persone a Faenza sapevano leggere o scrivere nell’Alto Medioevo? I documenti scritti, che si trovano nei nostri archivi storici tra l’883 a tutto il 1099, sono complessivamente 77 e contengono ben 314 sottoscrizioni, senza contare quelle del “tabellione” o del notaio scrivente; ora di questi 314 sottoscrittori, 151 firmano e 163 fanno il segno della croce, “…quia scrivere nesiverunt”, perché non han saputo scrivere, …annotava il notaio, quindi poco meno della metà quelli che sapevano scrivere (ma coloro che avvicinavano il notaio erano pochi, solo i ricchi e benestanti – n.d.r.).

Forme scolastiche si avverarono anche presso le pievi e parrocchie nei riguardi di ragazzi candidati al sacerdozio, ma anche abbandonati. Usavano nel X secolo, i <salterii corali>, scritti con lettere grandi da potersi leggere da lontano da più ragazzi, generalmente costoro imparavano a leggere, ma non a scrivere. L’alto prezzo del materiale occorrente, prima dell’introduzione dell’uso arabo (cioè il cinese), della carta, impediva la scrittura presso le campagne. Nella nostra regione la più antica cartiera è bolognese e risale prima del 1200: a Faenza il primo libro a stampa, esce nel 1476 ad opera della stamperia Simonetti, mentre la prima rivendita di carta risale al 1377. Nell’alto medioevo sanno scrivere appena la maggioranza degli ecclesiastici, cui è affidata la trasmissione della cultura; coloro che lo fanno per mestiere: scribi, tabellioni e notai; quelli che lo fanno per studio: scolastici e legisperiti e coloro che sono impegnati nella vita civile: consoli, giudici e castaldi (dignitari con funzioni amministrative n.d.r.), non sanno scrivere e non firmano mai, le donne, (anche l’abbadessa Remengarda fa la croce, vedi documento del 1061), e la gente di campagna.


Lezione a scuola, in un disegno dell' 800.
Agli albori dell’Unità d’Italia (1860), l’insegnamento elementare era limitato alle prime quattro classi maschili, si provvide ad estenderlo anche alle femmine; in genere queste erano istruite in istituti religiosi o da maestre private. Sotto lo stato italiano, era giudicato analfabeta colui che non sapeva leggere e scrivere, quindi firmava con una croce, in caso di documenti ufficiali, il notaio certificava la croce. Era giudicato alfabeta colui che aveva posto la firma nel registro matrimoniale o elenchi elettorali, conosceva il requisito della tecnica di lettura. Fra l’alfabeta e l’analfabeta, vi era la zona grigia dei semianalfabeti: colui che legge ma non sa scrivere, colui che legge e scrive ma non capisce ciò che legge e coloro che non sanno scrivere altro che vada al di là della firma.
A Faenza, nell’anno 1863-64, gli alunni iscritti nelle dieci classi elementari del comune, furono 439; furono aperte anche sei classi serali con 252 “alunni” e alla fine dell’anno, 48 alunni delle scuole diurne, risultarono non frequentanti e 68 furono bocciati. Delle scuole serali solo 155, corrispondenti al 60% degli iscritti, si presentarono agli esami e 135 furono promossi. Alta la selezione tra gli alunni anche dopo vent’anni dall’Unità. Tra i 1911 alunni obbligati alla scuola nell’anno 1881-82, il 40% circa, cioè 811 alunni, non adempirono l’obbligo. I motivi della mancanza furono dati al 35% dalla miserabilità, il 20% per lontananza dalla scuola, il 25%  per indolenza dei genitori e i rimanenti motivi da cause varie. Con questa diffusa mancanza all’adempimento dell’obbligo scolastico, il livello d’analfabetismo dei faentini, dopo l’Unità, era necessariamente alto, considerando, anche, che nello Stato Pontificio la scuola non era obbligatoria.

La Chiesa dava l’impressione che il saper leggere e scrivere fosse un lusso inutile. Solo i funzionari dello Stato dovevano accedere alla conoscenza delle scritture, oltre agli impiegati e coloro dediti al culto “ ….purchè non spropositassero troppo nella lettura dell’ufizio e del messale…”.
Per coloro che intendevano insegnare ai fanciulli, dovevano sottostare all’approvazione del vescovo (Leone XII – 1825 – Bolla: Quod Divina Sapientia), il quale decideva se concedere le licenze all’insegnamento, previo accertamento della professione di fede. Per i maschi le materie prescritte erano: dottrina cristiana, lettura, elementi di lingua italiana, rudimenti di grammatica latina, aritmetica, calligrafia, principi di geografia e di storia. L’insegnamento femminile, si restringeva a due: dottrina cristiana e lavori. Per la lettura e scrittura alle femmine occorreva una speciale approvazione. Fra le varie prescrizioni vi era quella di non accettare fanciulle con età superiore ai tredici anni, perché non potevano girare da sole in strada. Nel 1871 dei 18284 maschi residenti solo il 22% sapeva leggere e scrivere e il 9% sapeva solo leggere. Delle 18015 femmine sapevano leggere e scrivere solo il 19% e il 4% era in grado di leggere. La percentuale d’analfabetismo era al 76% della popolazione.

I problemi scolastici non si limitarono solo all’analfabetismo. Nelle scuole tecniche furono di più gli alunni che abbandonarono gli studi rispetto a coloro che ottennero la licenza: 130 i licenziati, 150 gli abbandoni. <Queste scuole, scrisse nel 1876 il professore faentino Carlo Calderoni, in luogo di preparare alla patria una classe di operai laboriosi ed intelligenti, servono piuttosto a creare un’immane ed inetta burocrazia pronta a divorare le sostanze dei Municipi e dello Stato>. Ma l’indagine del prof. Calderoni non prese in considerazione la scuola d’arte e mestieri del Comune di Faenza, che ha avuto invece, un importantissimo ruolo per il mondo artistico e artigianale della città, considerando che agli albori del novecento iniziarono a funzionare scuole di formazione artigianale e industriale, scuole di disegno, scuole per l’agricoltura e scuole commerciali. Pari tempo esistevano formazioni di livello superiore quali il Ginnasio e il Liceo classico “E.Torricelli”. Il resto è storia contemporanea.


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