Astorgio III e Giovanni Evangelista, gli ultimi Manfredi

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Astorgio III e Giovanni Evangelista, gli ultimi Manfredi

di Serena Bedeschi

  
Roma 1502: "...Il giorno 9 del mese di Giugno furono trovati nel Tevere soffocati e morti il signore di Faenza, giovane di 18 anni circa, così di bell'aspetto e statura che tra mille suoi coetanei a stento se ne sarebbe trovato uno simile a lui, con un sasso al collo e due giovani legati insieme per le braccia uno di 15 anni l'altro di 25 circa...". Questa laconica tragica nota di Johann Burckard, attento e meticoloso cronista del tempo, che fu maestro di cerimonie alla corte dei Papi, fra i quali Alessandro VI Borgia, ci racconta la fine dei due ragazzi Manfredi, Astorgio e Giovanni Evangelista, che furono di fatto anche gli ultimi signori di Faenza. Astorgio o Astorre, un adolescente dalla figura flessuosa e dal cuore fiero, reggeva la piccola ma prestigiosa signoria con il titolo di Astorgio III. Nato nel 1485 da Galeotto Manfredi e Francesca Bentivoglio, era cresciuto nel ricordo di una spaventosa tragedia domestica: aveva 3 anni quando sua madre, figlia di Giovanni Bentivoglio signore di Bologna, per una gelosia coniugale diabolicamente fomentata dai suoi parenti vogliosi di impadronirsi anche di Faenza, nel Maggio 1488 aveva, con l'aiuto di alcuni sicari, assassinato a pugnalate nella sua camera da letto il marito Galeotto. Successivamente i Faentini, vedendo nel fanciullo il pegno della loro indipendenza, lo avevano proclamato signore della città e gli si erano stretti intorno con devozione ed ammirazione.


Gaspare Mattioli (1806 - 1843) Uccisione di Galeotto Manfredi. Pinacoteca Comunale Faenza.

Le ragioni della gelosia che aveva scatenato l'omicidio di Galeotto Manfredi sono notissime. Egli aveva da anni accanto a se una donna a lui carissima, la bella ferrarese Cassandra Pavoni. Questa, dopo il matrimonio di Galeotto con la Bentivoglio, combinato solo per ragioni politiche (si pensi che la sposa aveva 14 anni e lo sposo 42) si era ritirata, o era stata fatta ritirare, nel monastero di S. Maglorio (sito dove è oggi il Museo delle Ceramiche) proseguendo tuttavia la relazione con il signore faentino; fu una lunga storia d'amore troncata solo dalla morte. Nel compiacente convento, nel 1482 era anche nato un figlio, Giovanni Evangelista, che visse a palazzo con il fratellastro Astorgio, secondo il costume delle corti medievali Galeotto aveva avuto da Cassandra almeno un altro bambino, Scipione, forse nato nel 1472 e che probabilmente visse con lei nel monastero dopo la morte del padre. Scipione morì nel 1493 poco più che ventenne. Successivamente Cassandra diverrà monaca con il nome di suor Benedetta. Astorgio Manfredi ed il fratellastro Giovanni Evangelista, insieme al consiglio degli anziani, governavano dunque la città.
Amatissimi dai sudditi per la giovane età e per le tragiche vicende che avevano accompagnato le loro vite.

Già dal 1499 il Papa Alessandro VI Borgia, volendo creare in Italia un ducato per il figlio Cesare (duca di Valentinois, il Valentino), lo nominò capitano generale della Chiesa e lo inviò, con un esercito di 14 mila uomini, contro i signorotti romagnoli, perennemente in lotta fra loro e che non pagavano i tributi come vicari del papato. Il Valentino doveva quindi recuperare quelle terre decretando la decadenza delle varie signorie ed instaurarvi il ducato di Romagna, come avvenne. Dopo la presa di Imola, Rimini, Cesena, Forlì, il Valentino mosse alla conquista di Faenza che si rivelò tutt'altro che facile. Infatti l'assedio ai faentini si protrasse con vari assalti dal novembre 1500 all'aprile 1501. La sorprendente resistenza della città romagnola ebbe echi nelle varie corti. Isabella d'Este Gonzaga (lettera del 20 aprile 1501 da Mantova) scriveva: "Piacemi che i faentini sieno tanto fideli et costanti alla difensione del suo Signore che recuperano l'honore de 'Italiani... non per augurare male al duca Valentino ma quel povero Signore et il suo fidel popolo non meritano tanta ruina...". Ma, complice il tradimento di un difensore della munitissima rocca (sita dove è oggi l'ospedale civile), l'esercito pontificio conquistò infine Faenza. II 25 aprile 1501 la città boccheggiante e dissanguata da mille ferite firmò la resa. Scrive un cronista che lo stesso Cesare "prese tale ammirazione de faentini che dopo tanti mesi avevano fatto sì bella difesa, che di loro fece i maggiori elogi cosi che si racconta avesse detto, ove egli avesse avuto un esercito di faentini, con soldati di quella fatta avrebbe fidatamene intrapreso il conquisto di tutta l'ltalia".

"In quel medesimo giorno a ore ventuno il Signore Astorre andò a trovare il duca Valentino ch'era alloggiato all'Osservanza"(il convento dell'Osservanza, attuale cimitero). I vinti chiesero di aver salva la vita e la libertà per il loro signore e famigliari. Cesare accetto tutte le loro richieste "...Astorgio fratelli e cugini siano salvi e possano andare liberamente ove gli parrà...". II vincitore si complimentò col vinto per la bellissima difesa e gli offrì di restare con lui. Alcuni storici sostengono, ed è più probabile, che glielo imponesse. Astorgio accettò ed altrettanto fece il fratellastro Giovanni Evangelista. Soddisfatto e sorridente, il Valentino avrebbe allora chiamato il suo luogotenente e bieco alter ego Michelotto Corella, il capitano spagnolo Miguel de Corellas, per accompagnare a Roma i due giovani Manfredi, con la raccomandazione che fossero trattati con ogni riguardo. Scrive un cronista che a Cesare nessuno poteva parlare "...per la difficoltà grande che lui usa in lasciarsi visitare, per quella difficile sua natura... nisciuno se non Micheletto lo boia suo!".  Secondo un altro cronista invece il Borgia avrebbe accolto i due giovanetti con tali cortesie da indurli a rimanere "stregati dal suo sortilegio e abbagliati dalla prospettiva di vivere del suo splendore acconsentirono a rimanere appresso a lui. Non sapevano di mettersi in mani stritolatrici".



Castel Sant'Angelo. A destra le prigioni ove vennero rinchiusi i due fratelli Astorgio e Giovanni Evangelista Manfredi.

I due giovani Manfredi sarebbero stati presenti mentre il Valentino occupava alcune terre bolognesi, in Toscana, e alla presa di Piombino. Da qui infine sarebbero stati condotti a Roma. II 20 Giugno 1501, a meno di due mesi dalla resa di Faenza risultavano già rinchiusi nelle segrete della mole Adriana, Castel S. Angelo. Da quel momento di loro non si sarebbero più avute notizie. Niccolò Machiavelli, in un rapporto a Firenze, scrive che Cesare lo aveva accolto con un sorriso allusivo ed aveva detto che "correva tristo pianeta quell'anno per chi si ribellava". Machiavelli commenta "questo signore è segretissimo ...le cose da tacere non si parlano mai". Il mistero è fitto fino al giugno 1502 quando gli infelici giovanetti subirono il supplizio, i loro cadaveri furono visti galleggiare nel Tevere e furono ripescati con ancora la corda al collo. Conosciamo la fine di Astorgio e di Giovanni Evangelista grazie anche alle lettere scritte da vari ambasciatori alle loro corti. Scrive Antonio Giustinian, ambasciatore di Venezia (lettera del giugno 1502 da Roma) "... e stato detto che zuoba de note sono stati buttati nel Tevere ed annegati quelli due signorotti dè Faenza insieme con el loro maestro de casa".


Astorgio III Manfredi.
Particolareggiata ed atroce è la narrazione che ne fa Francesco Malatesta, agente dei Gonzaga in Firenze. Egli racconta che Astorgio era stato condotto sopra un pozzo che guardava verso il Tevere e gli fu annunziato che doveva morire "... el meschino comenziò a gridare pur poi vedendo non poter fuggire domandò di potersi confessare ma dal manigoldi gli fu risposto che loro non facevano quel mestiere ed allora il giovane si confessò da uno famiglio et tolse un poco de terra in bocca per signo de comunione allora gli assassini per confortarlo gli dissero che gli avrebbero fatto fare una morte con poco dolore e gli misero una corda al collo con un bastone e gli diedero il torchiello. Così lo soffocarono poi lo gettarono nel Tevere dove fu trovato ancora con la corda al collo. Parimente uccisi e buttati nel fiume un suo fratello naturale e due compagni". Francesco Vettori, politico, scrittore, inviato di Firenze a Roma, l'amico del Machiavelli (destinatario di una sua celebre lettera), scrive ne "Il sacco di Roma": "... di poi il Valentino mosse il campo a Faenza... el a prese... ed ebbe prigione un giovanetto che vi era Signore e poi che lo ebbe tenuto settimane in sua corte lo fece di notte strangolare dal Bianchino da Pisa il quale ad operava per ministro in simili crudeltà". Il cronista bolognese Giacomo Zilli scrive "o crudel cosa avergli tolto lo stato e poi privarlo della vita". La strage sarebbe avvenuta la notte del 2 giugno. E' da meravigliarsi che compiendosi con così perfida crudeltà i cadaveri delle vittime fossero poi esposti agli occhi di tutta Roma, ma il delitto non parve grande abbastanza poiché si aggiunse che Astorre non fu soltanto privato della vita...
Francesco Guicciardini, raccogliendo le voci e le testimonianze ancora vive al suo tempo, nella sua
Historia d'Italia racconta "...i faentini si arrenderono pochi giorni dopo al Valentino... pattuita la libertà di Astorre suo signore gli fusse lecito d'andare dove gli paresse, rimanendo salve le entrate delle proprie possessioni le quail cose il Valentino quanto agli uomini di Faenza affermò fedelmente. Ma Astorre che era minore di diciottanni d'eccellente e bellissima forma cedendo l'età e l'innocentia alla perfidia e crudeltà del vincitore (sottospecie rimanesse alla sua corte) ritenuto appresso a lui con onorevoli dimostrazioni; ma non molto tempo dopo poi condotto a Roma. Satiàta prima (secondo si disse) la libidine di qualcuno, fu occultamente insieme con un suo fratello naturale privato della vita".

Forse l'avvenenza della sua persona potè, nei costumi corrotti di quella corte papale, dar credito a quelle voci che, trattandosi dei Borgia, si possono accettare per vere e si aggiungono alle tante infamie da loro compiute. Perché furono assassinati i due giovani Manfredi? Per i Borgia costituivano pur sempre una minaccia. Astorgio era un giovane principe amato dai sudditi, la tragedia dei suoi genitori, la tribolata infanzia, la coraggiosa difesa della sua città, lo avevano circondato di un'aureola di simpatia e pietà. Cesare quindi temeva che i faentini si sollevassero al grido di "Astorre, Astorre!" come anni prima avevano acclamato suo padre Galeotto al grido di "Gallo, Gallo!". II ragazzo era un eroe, in tutte le corti d'Italia lo ammiravano, la sua sola esistenza rappresentava una minaccia. Non c'era che un mezzo: ucciderlo insieme al fratellastro, virtuale pretendente alla sua suclcessione. Fu quel che fece Cesare, d'accordo col padre e papa Alessandro VI. I Borgia furono degli efferati, amorali e feroci: non solo i posteri li considerarono tali ma anche i loro contemporanei che pure in fatto di crudeltà non si fermavano ai mezzi termini. Il ricorso all'assassinio e alle torture non era certo nuovo nelle corti rinascimentali ma divenne sistematico per il Valentino e per suo padre, il pontefice! Lo scelsero, infatti, come la via più spiccia per assicurarsi il potere. Furono capaci di tutto, secondo la barbara morale del tempo. Di Astorgio o Astorre cantarono i poeti faentini...

"... col Valentin men vo poiché fortuna vuolche cosi sia... piangete faentini c'havè perso così gentil signor nobil e bello... piangete e con voi piange tutto l'universo".


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