Imperatori Tedeschi a Faenza
di Luigi Solaroli
Federico I detto il Barbarossa, salì al trono
di Germania il 4 marzo 1152, e approfittando della richiesta di
aiuto avuta dai comuni di Lodi, Pavia e Como, contro la
prepotenza di Milano, nell’intento di rafforzare l'autorità imperiale e
seguire un ideale d’impero universale, decise d’intervenire nella politica
italiana controllando i Comuni a nord fino al Regno di Sicilia. La Chiesa era
divisa fra i seguaci dell’impero e coloro che erano appoggiati dal re di
Sicilia. Nel 1159 dopo la morte del papa Adriano IV, avvenne l’elezione
dell’antipapa Vittore IV (cardinale Ottaviano), sostenuto dal Barbarossa,
contro il legittimo Alessandro III (cardinale Bandinelli), sostenuto dai
cardinali siciliani e appoggiati dal re Guglielmo di Sicilia. Il Barbarossa convocò nel 1160 il Conciliabolo di
Pavia dove proclamò legittimo l’antipapa Vittore IV. Lo scisma durò 17 anni,
chiudendosi con le trattative d’Agnani nel 1176, fra il papa legittimo e il
Barbarossa. Il vescovo di Faenza Ramberto, seguì la parte scismatica ed
imperiale in disaccordo con la maggioranza del clero. Così nel Settembre del
1167, Federico I detto il Barbarossa, giunse a Faenza per ricevere il
giuramento di fedeltà del clero e dei laici, ma i soli che giurarono furono il
Vescovo e l’Abate di s. Maria foris portam. Tuttavia fu accolto con grandi
feste e fu ospite in Faenza nella casa di Guido ed Enrico Manfredi di s.
Michele. Seguivano l’imperatore, nobili e prelati, con un’imponente presenza di
militi che furono alloggiati presso
benestanti cittadini. Nell’occasione si giostrò e si organizzarono corse di
cavalli berberi nell’area del Brolio (zona compresa fra l’attuale via Baroncini
e il fiume), essendo a conoscenza del valore dei faentini sui campi di
battaglia.

I cavalieri faentini sfilano con le insegne rionali davanti a Federico I Imperatore
(G. Gulmanelli, 1889)
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Tuttavia l’imperatore impose alla città,
“...esorbitanti gravezze”. Più tardi, il 20 maggio 1196, pari onori furono
rivolti al figlio del Barbarossa, Enrico IV, il quale, dopo aver soggiogato la
Sicilia e le Puglie, ritornando verso la Germania, passò da Faenza ospite dei
Manfredi. Egli fu prodigo di beneficenze e privilegi a favore del monastero di
s. Ippolito, come risulta da un suo diploma, e come asserisce l’Azzurini
riportato dal Tonducci. Nel 1226, Faenza cambiò schieramento e aderì alla 2°
Lega Lombarda, combattendo con 50 cavalieri faentini in quel di Brescia contro
gli imperiali. Proprio in quell’anno Federico Il, figlio d’Enrico IV e nipote
del Barbarossa, era a Ravenna, ma diretto a Cremona per una Dieta. Inviò
comunque degli armati a Faenza per punirla, ma i faentini intercettarono il
convoglio, lo sconfissero e depredarono tutti gli armenti e vettovaglie che
erano vigilati da riminesi e ravennati, ma nell’agosto del 1237, Federico II
sconfigge a Cortenuova la Lega dando “novello animo ai ghibellini”.A Faenza troviamo un partito ghibellino guidato
dagli Accarisi, mentre i guelfi erano capitanati dai Manfredi. I ravennati
vennero in aiuto ai ghibellini sconfiggendo i Manfredi che si rifugiarono
presso i bolognesi loro amici, i quali, a loro volta, cacciarono i ravennati e
gli Accarisi. |
Allora, a Faenza, vi era come podestà il veneziano Michele
Morosini. La città era aiutata militarmente da varie milizie della Lega, in
particolare da Bologna e Ferrara, da parte sua Faenza poteva mettere in campo
tre o quattromila cittadini provenienti dai quartieri che prendevano il nome
dalle loro porte: Montanara, Imolese, del Conte o Ravegnana e del Ponte.
L’esercito di Federico contava 7-8000 uomini in cui c’era di tutto: tedeschi,
inglesi, lombardi, toscani, pugliesi e saraceni, ma il grosso era formato da
contingenti delle città romagnole e toscane raccolti da re Enzo, quale legato
generale dell’imperatore. Dopo svariati ed inutili assalti, la città fu messa
in stato d’assedio. Narra il segretario dell’Imperatore, Pier delle Vigne, che
Federico era arrabbiatissimo….per quella sosta pestifera e “….augurava a Faenza
una folgore che la colpisse e i diavoli se la portassero via….”.

Assalto alle mura con una torre mobile.
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Quando, il 26 agosto 1240, l'esercito imperiale si
avvicinò alla città, il podestà di Faenza poteva contare per la difesa, oltre
alle forze interne, anche su mille fanti bolognesi e veneziani, cui si
aggiunsero le milizie del conte Guido Guerra che aveva abbandonato lo
schieramento filoimperiale mentre era invece rimasto fedele il cugino Tegrimo.
La spaccatura della famiglia dei conti Guidi può essere considerata un
indicatore significativo della complessità di quel momento politico per la
società aristocratica romagnola: gli schieramenti tradizionali si erano
infranti e la ricostruzione delle reti di alleanze ebbe costi sociali altissimi
oltre che umani e familiari. Faenza, contrariamente alle aspettative imperiali,
non cedette al primo assalto e l'assedio si prolungò al punto che Federico II
decise di prendere la città per sfinimento e fame. Fece edificare tutto intorno
alla cinta muraria una circonvallazione fortificata da spalti e bertesche e
fece costruire abitazioni per i soldati. Ostinato nella conquista, l'imperatore
fu così di fatto immobilizzato negli accampamenti a ridosso della cittadina romagnola
fino all'aprile dell'anno successivo: con appena mille uomini Bologna, Venezia
e la Lega erano riuscite a bloccare l'esercito imperiale lontano da Bologna e
dallo scacchiere lombardo per più di otto mesi. Il lungo assedio e la
permanenza dell'imperatore stesso negli accampamenti stanziati a ridosso della
città sono testimoniati dalle numerose missive datate topicamente "in
obsidione Faventie" e da diversi diplomi che recano la medesima
indicazione. Una significativa testimonianza di quanto la sfortunata impresa
avesse lasciato un segno nell'animo di Federico si trova in una lettera che il
3 luglio 1241, ormai due mesi dopo la presa della città, indirizzò al re
d'Inghilterra e che reca a mo' di data topica l'espressione "in recessu
post deditionem et depopulationem Faventie" . La gestione dell'assedio si rivelò assai complessa
per l'imperatore; il suo esercito era infatti composto anche da milizie
provenienti da diverse città fedeli dell'Italia centrosettentrionale che
sollevarono insistite proteste per la permanenza così prolungata delle truppe
all'assedio di Faenza. I costi dell'operazione lievitarono a dismisura andando
a incidere su un bilancio imperiale che appariva già piuttosto provato tant’è
che alla fine degli anni Trenta Federico II era stato costretto a ricorrere al
credito di diversi prestatori per sovvenzionare le esigenze militari
nell'Italia del Centro-Nord.
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E proprio
durante l'assedio di Faenza che Federico, dopo aver impegnato tutti gli oggetti
di valore che aveva con sé, provò a risolvere con una disperata operazione
finanziaria i suoi problemi. Per timore di diserzione dei soldati, fu costretto
a coniare una moneta di cuoio chiamata <agostale> (nome preso da una
precedente moneta coniata dal nonno Barbarossa), nella zecca della ghibellina
Forlì. La moneta consisteva in un disco di corame riportante il ritratto
dell’imperatore col valore e nel retro l’aquila imperiale.Il valore della moneta fu fissato in un augustale
d'oro. Lo storico Villani testimonia poi che questa sorta di prestito forzoso
fu onorato dall'imperatore dopo la conquista della città, quando a chiunque
presentasse le monete di cuoio fu restituito l'equivalente in oro. Così
l’assedio si prolungò nel tempo e l’imperatore fu costretto ad acquartieramenti
invernali nella zona fuori porta Montanara (che per secoli si chiamerà poi
Borgo Imperatore). Nonostante aver battuto moneta, l’imperatore vendette tutto
ciò che possedeva, oro e gioielli. Impose una tassa sulle meretrici che a
frotte correvano dai paesi vicini al campo dei mercenari; sequestrava i carri
pieni di sale provenienti dalle saline di Cervia, liberandoli dietro esborsi
altissimi. Il 14 aprile Faenza si
arrese: se le fonti di parte imperiale e soprattutto le lettere di Federico II
stesso esaltano, ma dopo la resa, le tecniche di assedio che avrebbero
progressivamente da un lato demolita la cinta, dall'altro scavato lunghe
gallerie per penetrare di sorpresa in città, è d'altra parte vero che Faenza
non fu presa militarmente ma si arrese solo dopo aver stretto precisi accordi
con l'imperatore. L'impressione che si ricava dal confronto tra fonti diverse è
che si fosse creata ormai una condizione di stallo: a Faenza si era infatti
persa la speranza che l'esercito imperiale desistesse dalla conquista, così
com'era chiaro che la Lega non sarebbe intervenuta direttamente a difesa della
città. L'imperatore da parte sua era cosciente che la lunga permanenza sotto le
mura cittadine non poteva che danneggiarlo.

Soldati
ricevono la paga in monete di cuoio, miniatura della Cronica di
Giovanni Villani, XIV secolo. Città del Vaticano, Biblioteca
Apostolica, ms chig. L 296,c77,r.
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L'esercito imperiale entrò così in città nel maggio
1241 dopo trattative e ottenne solo l’abbattimento delle mura, ma non il
saccheggio, come racconta sempre Pier delle Vigne. Per affermare la sua
vittoria, fece edificare una torre difensiva fra l’attuale via Bondiolo e s.
Agostino, cui si accedeva dalla nuova cosidetta “Porta Regis”; la torre sarà
abbattuta nel 1373 quando fu iniziata la costruzione della Rocca di Porta
Imolese. I termini degli accordi che erano stati stretti non furono noti e le
fonti cronachistiche regionali non ne parlarono. Soltanto le narrazioni dei
francescani Tommaso Tosco e Salimbene de Adam, entrambi presenti in Romagna
negli anni Cinquanta del Duecento, offrirono una testimonianza concorde e
indipendente l'una dall'altra del fatto che Federico II non rispettò i patti
che portarono alla resa della città: "ingressus, non servavit eis
pactum" (Salimbene de Adam, 1905-1913, p. 384). Tali testimonianze dettero
luogo a racconti tardivi di efferate crudeltà commesse dagli imperiali dopo
l'ingresso in città la cui attendibilità fu opportunamente messa in dubbio. Lo
stesso imperatore vantava la propria clemenza nei confronti della cittadinanza,
ma forse occorre non confondere i piani interpretativi: la laconica
testimonianza dei due francescani potrebbe riferirsi piuttosto che a patti
relativi alla salvaguardia fisica degli abitanti e dei soldati ad accordi in
merito alle forme di sottomissione della città
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Dopo
la resa, Federico II si fermò in città ancora con tutto l'esercito per
ben sei settimane: furono "allontanati i suoi avversari", furono
imposti podestà imperiali e fu costruito un castrum, presidio militare
della dominazione federiciana in città. Dopo la conquista, non solo
Faenza ma tutta la Romagna - come affermava già Alfred Hessel nel 1910
- "fu inserita in quel sistema di governo autocraticamente accentrato
con il quale Federico sperava di reggere tutta l'Italia".Sembra che la
città fosse affidata ai ghibellini forlivesi: Tebaldo Ordelaffi e
Superbo Orgogliosi, ma non è storicamente provato. Che poi per pagare
il soldo alle truppe svizzere, Federico II offrisse in franchigia,
terreni da cui sarebbero nati i Cantoni della Confederazione … è
un’altra ipotetica storia.
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