La Beata Vergine delle Grazie nella storia
di Camillo Rivalta
Un ben triste quadro ci
presenta Faenza nei primi anni del 1400. La città è pressoché ancora
chiusa entro della sua cerchia antica ; la cinta è costituita da
steccati, rafforzati qua e là da sostegni in muratura ; in qualche
punto sono già state gettate le fondamenta delle nuove mura
manfrediane, il cui tracciato appare ben chiaro nel tratto da Porta
Ponte fino alla rocca, nei pressi dell'attuale porta imolese. Se si
tolgono le due.strade principali : la via Emilia e la consolare, che
congiunge la Romagna alla Toscana, le quali quadripartiscono, come ora,
la città, le altre strade sono strette, fangose, cariche di detriti
d'ogni specie ; alcune solitarie e abbandonate, altre soffocate dagli
sporti del secondo piano delle case, sorretti da travi e da puntelli.
Le abitazioni, per lo più grame, sono difese da muraglie di mattoni
crudi, da graticci, da paglia impastata con malta, e ricoperte di
cannella valliva. Sopra la moltitudine di tante case s'innalzano le
torri merlate dei principali cittadini, i campanili e i templi dalle
linee severe, prevalentemente di stile romanico e gotico, il Palazzo
del Podestà e quello del Popolo, simboli superbi e severi del glorioso
Comune, e, a fianco, la Cattedrale di San Pietro (1), di stile
basilicale romano, dal cui campanile, di forma quadrangolare, che si
erge a lato, squillano nel silenzio le ore di terza e di nona.
Una strada di Faenza nel 1400 in un disegno di A.M. Vassura.
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La vita cittadina giace assopita in una morta gora ;
l'industria e il commercio, già così poveri in quel tempo, sono
completamente cessati, le officine degli artigiani sono, chiuse e gli
arnesi da lavoro giacciono inerti, le botteghe d'arte sono mute, il
fuoco vivificatore più non imprime i suoi bagliori vermigli sui piatti,
sui vasi, sui boccali, che dovevano, di lì a poco, correre per il mondo
come un inno festante di gloria. I campi si stendono incolti, gli
abitatori del contado non vogliono varcare le mura per portare i loro
prodotti: è fatto divieto assoluto ai cittadini di uscire ; nessuno dei
paesi vicini può approssimarsi alla città, anzi la Comunità ha posto le
guardie presso i ponti, agli sbocchi delle vie, ai passi dei fiumi più
facili a guadare con ordini severi, e con minaccia di forca ai
trasgressori.
Una terribile pestilenza, scoppiata nella Lombardia e nel
Veneto, si avanza tremenda, inesorabile come orrido mostro: nell'
Emilia, a Bologna specialmente, nelle Romagne, a Faenza, fa strage (2).
I cadaveri sono abbandonati per le strade e solo alla pietà dei
Confratelli della morte si deve la sepoltura delle misere salme, che
avviene, talvolta anche nei campi limitrofi alla cinta, giacché si teme
che l'aria, già troppo grave e pestifera, divenga sempre più micidiale,
accumulando i corpi di quei disgraziati nei sagrati delle chiese, nei
brevi cimiteri sparsi nella città. Sulle porte di quelle case, dove
l'orribile flagello ha già spezzato vite preziose, bimbi, donne,
vecchi, dal viso smunto e scarno, sembrano impietriti nel dolore ;
grame schiere di pezzenti vagano per la città senza una mèta fissa,
senza speranza, come anime in pena; altri, animati dal dolce richiamo
di una fede umile e schietta, in lunghe file nere salmodianti, guidati
da sacerdoti e da crociferi, percorrono la città: i lor canti e le loro
preghiere si alzano come nubi d'incenso in quel cielo grigio, a
conforto e a rassegnazione delle anime. Luogo preferito di riunione per
quelle turbe, oranti e gementi, è la chiesa di Sant'Andrea dei Padri
Domenicani, che per essere alle porte della città, nell'area occupata
ora dalla chiesa di San Domenico, in terreno piantato a vite, (in loco
vinearum) è detta in vineis o inter vineas.
Da porta Imolese, chiamata più volgarmente Emilia, (che aprivasi
sul corso Mazzini, quasi all' incrocio di via Cavour) fino alla chiesa
di Sant'Andrea, (fondata dicevasi da San Domenico) è un continuo
pellegrinaggio, un'onda di pietà cristiana che sale incessantemente. Oltrepassate alcune case adibite ad ospedale, situate vicino
alla porta, la strada stretta e fangosa che conduce alla chiesa,
s'interna fra alte siepi di rovi, e li passano, dall'alba al tramonto,
le turbe litaniando, e persino nelle ore della notte, al lume incerto
di faci fumose, si muovono ombre nere che cercano conforto nella casa
di Dio. I frati di San Domenico, che avevano ereditato direttamente dal
loro Fondatore l'amore fiammante e luminoso alla Regina del Cielo,
cantano la grandezza della Vergine con accenti di amore potente,
invitano i fedeli ad imitare la Madre Divina colla semplicità della
vita, colla completa dedizione ai decreti della Divina Provvidenza.
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Tanta luce di verità, tanto palpito nuovo di vita, tanta forza possente
di fede avevano profuso i Padri Domenicani nella nostra città, in circa
due secoli, che il popolo, senza domandare alle cronache ed ai
testimoni oculari la parola di storica verità, ma traendo dal suo amore
e dalla sua fede quella prova che forse nessun documento poteva dare,
immaginò il Santo della fede e della sapienza transitante nel suo
bianco saio fra due Angeli per la via che conduce direttamente
dall'episcopio alla chiesa di Sant'Andrea (3), o proclamante dall'alto
del pulpito, che, per ricordo del Taumaturgo dicevasi di San Domenico,
(4) la parola eterna.
La voce inspirata del Priore del convento di Sant'Andrea, frate
Michele, che pare avere direttamente ereditato dal Maestro quella
nobiltà spirituale che lo fa ritenere un santo, infonde nelle turbe
l'amore alla Vergine, che sola può levare, potenza supplice, la
preghiera all'Altissimo per infrangere le frecce del giudizio divino.
Il santo frate indice processioni espiatorie, consiglia digiuni
triduani, preghiere e novene in onore della Vergine, per la cui
intercessione solo può essere salvo il popolo di Faenza. È una folla
varia, numerosa, senza distinzione di casta e di privilegi, che si
accalca giorno e notte nella chiesa di Sant'Andrea in Vineis, orante
con un fervore insolito, con una confidenza piena, con una fiducia
sconfinata nella tenera sollecitudine della Vergine.
Madonna delle Grazie. Xilografia del sec. XVIII - Autore ignoto.
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Corre voce fra il popolo che la Madre Celeste sia apparsa a
qualche degno e privilegiato devoto, coperta del suo grande azzurro
manto, per allietarlo con quel sorriso che calma tutte le tempeste, che
rasserena i più foschi orizzonti. Ad una pia matrona, cui la tradizione
attribuisce il nome di Giovanna, la Vergine si è mostrata più volte
colle braccia protese, e con in mano le frecce della divina giustizia
spezzate. Oh! veramente degna di grazia fu quella pia donna che già
nel nome portava il segno di uno speciale privilegio divino! (5)
E la grazia corona la sua preghiera, come corona la preghiera di tutti
i buoni. Quasi per incanto la pestilenza cessa di far strage, a poco a
poco ritorna la fiducia, la vita cittadina riprende il suo ritmo
consueto. Che riso di cielo, che fiorir lieto di cose, che gioia negli
animi! Da ogni parte si levano inni di lode e di ringraziamento a Dio e
alla Madonna delle Grazie, alla cui intercessione si deve tanto
miracolo; la popolazione della città e del contado sì accalca nella
chiesa dei Padri Domenicani, s'innalzano preghiere espiatorie,
s'indicono tridui di ringraziamento, e per unanime voto il popolo vuole
venga dipinta su una parete della chiesa l'immagine de la Vergine in
grandi proporzioni, colle braccia aperte, alto levando, con atto di
compiacimento e di trionfo, le frecce della collera divina, spezzate
per la sua intercessione ; (6) in tal atteggiamento si era mostrata a
qualche anima privilegiata, la Regina del Cielo, così alle turbe
protese in penitenza, era stata additata dalla calda parola dei Santi
Padri. Colla tunica rossa, col manto azzurro, il volto soave coronato
da un'aureola luminosa, dalle spalle le scende, lungo le braccia, una
stola bianca su cui si leggono le parole del salmo :
Si misero pestilentiam in populum meum
conversus autem populus egerit poenitentiam,
oculi mei erunt aperti et aures erectae
ad orationem elus qui in loco isto oraverit (7)
E la chiesa di Sant'Andrea dei PP. Domenicani diviene la mèta
dei devoti pellegrinaggi; davanti alla Vergine, che sorride pietosa
dalla bianca parete, è un affollarsi dall'alba al tramonto di turbe
prostrate e reverenti, che cercano in quelll'oasi di pace, conforto e
difesa contro i flagelli che percuotono la povera umanità.
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E non solo i faentini invocano la protezione della Vergine delle
Grazie, ma tutte le popolazioni del contado e dei paesi limitrofi,
attratte dalla fama dei prodigi operati per intercessione della Madre
Celeste, convengono nella chiesa di Sant'Andrea, divenuta un santuario.
Erano trascorsi appena otto anni da quella memoranda data di
liberazione dalla pestilenza, e tanti altri doni celesti aveva elargito
la Madre divina ai faentini, che si sentì il bisogno di dedicare a Lei,
nella chiesa di Sant'Andrea in Vineis, una speciale cappella che fu
consacrata nella domenica 12 maggio 1420. Da quel tempo la festa della
Madonna delle Grazie si celebrò ogni anno nella seconda domenica del
mese consacrato a Maria. Nell'anno appresso si formò una Confraternita
di uomini, detti Battuti, alle cui cure fu affidata quella magnifica
fioritura spirituale che era sbocciata in Faenza col culto devoto e
sincero alla Vergine delle Grazie. (8) La sacra Icone che oggi
veneriamo nella Cattedrale è lo stesso dipinto votivo che i nostri
antichi padri venerarono in Sant'Andrea in Vineis con tanta espressione
di devota riconoscenza, con fede così sincera. (9).
Note
(1) Le cattedrali di Faenza dall'origine della Diocesi,
sono state tre: Santa Maria foris portam fu cattedrale fino al 743, nel
qual anno passò ai monaci benedettini. Della seconda non si conosce
l’anno di fondazione: sorgeva essa nel luogo ove si trova l'attuale,
aveva la facciata volta a levante, ed era divisa in tre navate. La
superba cattedrale che ora si erge maestosa e solenne, esempio classico
dell'arte della rinascenza, fu inaugurata nel 1474 dal vescovo Federico
Manfredi. Negli anni di cui si parla esisteva la seconda cattedrale.
2) La maggior parte degli storici pone questo contagio nel
1410; la Cronaca del Convento di Sant'Andrea di Faenza, pubblicata dal
Lanzoni, fissa la data del 1412.
(3) L' attuale via XX Settembre, fino a pochi anni fa si
chiamò via degli Angeli, in memoria del fatto narrato nella Cronaca di
Sant'Andrea. San Domenico, ospite del Vescovo di Faenza, di notte
avrebbe percorso quella via accompagnato da due Angeli, in forma di
giovani bellissimi, per recarsi alla sua chiesa.
(4) Fino al 1529 nella pubblica piazza, attiguo al palazzo
del Podestà, trovavasi un pulpito in cotto ; quando fu costruito il
loggiato davanti a quel palazzo, il pulpito fu trasportato presso la
chiesa della Compagnia dello Spirito Santo, di fronte all' Ospedale
della Casa di Dio, oggi Congregazione di Carità, nella casa di
proprietà del Sig. Battista Savini (Farmacia Marchetti). Il pulpito di
S. Domenico avrebbe significato in principio il pulpito riservato al
frati di San Domenico, ma in progresso di tempo si ritenne che da quel
pulpito avesse predicato San Domenico in persona.
(5)I teologi medioevali tradussero il nome ebraico
Giovanna in Domini gratia, piena di grazia divina. Anche Dante parlando
dei genitori di S. Domenico esclama
:
O padre suo veramente Felice!
O madre sua veramente Giovanna!
(Dante, Paradiso, XII - 79-80)
6) Le frecce infrante che l' Immagine teneva in mano, tre
per parte, alludevano alla pestilenza estinta per il patrocinio della
Beata
Vergine.
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7) Paralipomeni o Croniche - libro II,"e. VH,vv. 13-15.
Ora si leggono nell' Immagine solo le lettere scritte in maiuscoletto.
Traduzione :
Se manderò la pestilenza fra il mio popolo
e il mio popolo alla sua volta farà penitenza,
gli occhi miei saranno aperti e le orecchie erette
all'orazione di colui che pregherà in questo luogo.
(8) II giorno 25 luglio 1421 fra Leone, generale dei
domenicani, ammise questa confraternita alla partecipazione dei meriti,
delle messe, orazioni, vigilie, ed altre buone opere compiute dai
domenicani in tutto il mondo. Nel 1422 furono fissati gli 'Statuti,
conservati in un fascicoletto in pergamena del XV secolo, in lingua
volgare con le rubriche in latino, (Biblioteca Comunale di Faenza)
(9) Oggi l' Immagine è monca. Gli avambracci e le mani
della Vergine con i dardi spezzati sono scomparsi, ma della loro
esistenza non può dubitarsi. Intatti tutte le immagini della B. V.
delle Grazie conservate nella città e nella Diocesi nelle tavolette
maiolicate, sui plaustri, nelle paranze dei pescatori, nelle terrecotte
a basso rilievo, nelle stampe più antiche, nella tavola della
collegiata di Brisighella, che sembra risalire ai primi decenni! del
secolo XVI, nella tela di Giambattista Bertuzzi il giovane (1599)
venerata nella chiesa di S. Savino di Faenza, mentre somigliano
pienamente alla movenza del volto, del busto, delle braccia, e di tutta
la persona e nell' acconciatura della tecnica e del manto all' immagine
della cattedrale (il che vuoi dire che i nostri artisti si sono
ispirati all' affresco della chiesa di San Domenico), tutte hanno le
braccia aperte con in mano le tre frecce infrante. (Ctr. F. Lanzoni -
Le origini della B. V. delle Grazie, - pp. 910
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