Monte di Pietà, gli ebrei e l'usura

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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IL MONTE DI PIETA’, GLI EBREI E L’USURA

di Luigi Solaroli

E’ risaputo che i Monti di Pietà, assieme all’altra istituzione dei Monti Frumentari (1) furono iniziative di un programma di riforme religioso-sociale, portate avanti dai francescani nella seconda metà del ‘400. Il primo Monte fu istituito a Perugia nel 1462 e il primo Frumentario a Foligno nel 1488: del primo fu gran propagandista, ma del secondo fu vero ideatore fra Andrea Ronchi da Faenza, predicatore francescano morto ai primi del ‘500.
Faenza, nel XV secolo, viveva essenzialmente d’agricoltura, quindi non aveva grandi mercanti, né imprenditori sia nel commercio sia nell’artigianato. La mancanza di questi non permetteva l’esistenza delle banche, ma sviluppava l’esercizio di piccoli usurai locali, per far fronte all’esigenza di liquido molto richiesto. Chi provvedeva a questa fisiologica «fame di denaro»? Un po’ tutti quelli che avevano un certo capitale liquido: mercanti, merciai, speziali, ma anche notai, osti, ed anche donne per lo più vedove che mettevano a frutto il capitale lasciato dal marito in nome dei figli minorenni. Quali fossero gli interessi, non è dato sapere perché la Chiesa condannava come usura qualsiasi tipo d’interesse e per non incorrere nelle sanzioni canoniche (sepoltura senza ceri e in terra sconsacrata), il prestatore, pur ricorrendo all’atto notarile, aggirava facilmente l’ostacolo mettendo una penale se il prestito non era pagato alla scadenza (che era molto ravvicinata), oppure si scriveva una somma inferiore a quella effettivamente imprestata.



Quentin Metsys, Cambiavalute co la Moglie (1514 circa) Parigi, Museo del Louvre.














Marius van Reymerswaele (1490 - 1546), il Notaio. Collection New Orleans Museum of Art, New Orleans.


Quentin Metsys: Cambiavalute con la Moglie
(1514 circa)                
Olio su tavola, 71 x 67 cm
Parigi Museo del Louvre
.                                                           
L'usura come viene
raffigurata nell'arte
Quentin Metsys si può considerare uno degli iniziatori della pittura del genere. Quest'opera firmata e datata 1514 sulla pergamena sopra il libro, in alto a destra, è una pietra miliare nella storia della pittura. Il soggetto fu fortunatissimo e diede vita a una lunga serie di copie e  repliche. Raffigurazione tenera e meditativa di un momento di vita quotidiana, derivata da un prototipo perduto di   Jan van Eyck. Un banchiere, o forse meglio un usuraio, esamina il livello della bilancia, e si inclina leggermente verso la moglie per chiederle consiglio, e pesa una moneta d'oro. La moglie, attratta dai soldi, interrompe la lettura religiosa e segue con interesse l'operazione consapevole che non c'è niente di divino nel commercio. Le preoccupazioni della copia sono antitetiche: alla scaltrezza mercantile fa riscontro l'umiltà della fede e l'opposizione tra sacro e profano è ribadita da particolari accessori. Lo specchio convesso sul tavolo - motivo eyckiano per eccellenza - riflette il pittore seduto accanto a una finestra a forma di croce, evidente richiamo alla religione, simboleggia la verità. La descrizione precisa dei gesti e degli oggetti ha evidentemente un intento moralistico: il denaro è un valore illussorio. In questo senso si spiega anche la bilancia, simbolo di giustizia e, in senso lato, del Giudizio finale.

Gli ebrei e l’usura
Diverso il discorso con i prestatori ebrei; essendo costoro già condannati in partenza all’inferno, essi potevano macchiarsi del peccato d’usura, quindi non solo prestare denaro a interesse, ma specificare nel contratto notarile il tasso richiesto, tasso che variava normalmente fra il 30 e il 40 %, e fu proprio questa singolare situazione che spingerà molti ebrei nel medioevo, a specializzarsi nell’“attività feneratizia” aprendo banchi di prestito dovunque.
Gli Statuti della Città del 1410, riportavano l'attività feneratizia ebraica come consuetudine inveterata, pur tuttavia il prof. Cesare Finzi, nel volume ”Faenza nel Novecento”, indica la prima presenza ebraica, documentata in un atto notarile del 1441, un certo Gaio d’Emanuele da Cento, che risiedeva presso la chiesa di S. Michele, situata all’incrocio di via Torricelli e Manfredi, ma il più ricordato e importante era quello gestito dai fratelli Lazzaro e Crescimbene situato in zona s. Bartolo (ora chiesa dei Caduti). Lazzaro, oltre al banco dei pegni, esercitava l’arte medica alla corte dei Manfredi e di Lorenzo il Magnifico a Firenze. Si racconta che fosse lui a prestare i cinquanta ducati necessari al Duomo di Faenza, per pagare la decima papale. Curiosamente, per ottenere il prestito, fu impegnata la rosa d’oro donata alla Cattedrale da Astorgio I che, a sua volta, gli fu regalata dal papa Bonifacio IX nel 1390. Il medico Lazzaro visse in Faenza sino all'espulsione dalla città in seguito ad un sermone di Bernardino da Feltre, che disapprovava la sua popolarità e il prestigio di cui godeva presso la popolazione cristiana. Gli ebrei piantarono così, col pieno favore dei Manfredi, una loro piccola comunità in Faenza, dotata di sinagoga e di un proprio cimitero. Certo che se da un lato gli ebrei favorivano i Signori di Faenza per il frequente ricorso al prestito, non potevano dall’altro, non acuire l’intransigenza religiosa popolare e l’odio sociale verso quei forestieri, un po’ speciali, ritenuti il supporto economico-finanziario di un regime fiscalmente e spesso anche politicamente oppressivo. Ebbero quindi favorevole accoglienza popolare le infiammate prediche di Bernardino da Feltre dei frati Minori Osservanti, che fu a Faenza nell’autunno del 1491 per propagandare da un lato, una guerra radicale alla “perfida voragine della maledecta usura et maxime delli zudei” e dell’altro l’istituzione di un Monte di Pietà che avrebbe prestato il denaro al modico interesse del 5% a copertura delle spese d’amministrazione. I capitoli originari di fondazione sono depositati presso la Biblioteca Comunale e vergati su dieci fogli di pergamena dal notaio faentino Bartolomeo Torelli datati 12 Ottobre 1491. Nell’aprile del 1555, un frate domenicano, il cui ordine aveva sostituito i francescani reputati in odore d’eresia, pronunciò un’arringa davanti al Consiglio Generale di Faenza, per denunciare la «…disonestà degli ebrei e le usure». Solo tre mesi dopo uscì la Bolla  «cum nimis absurdum», di papa Paolo IV, che impose gravissime costrizioni alla comunità ebraica fra cui quella di abitare nei ghetti.
Lo stesso mese il Consiglio faentino formò un comitato di quattro consiglieri per la ricerca di un luogo «degno». Nel dicembre del 1555, si scelse una casa in via Pescheria, detta «a viôla» o «strada dei giudei». I banchi ebraici resteranno presenti fino alla fine del Cinquecento, quando una bolla pontificia decretò che tutti gli ebrei sudditi dello Stato della Chiesa, dovessero concentrarsi nelle due sole città di Roma e Ancona.



Il Monte di Pietà
Il 12 ottobre del 1491, Astorgio III Manfredi sigla l’erezione del Mons Pietatis. Il Monte di Pietà era sostanzialmente un ente di beneficenza atto a lenire con i suoi piccoli prestiti le difficoltà finanziarie della gente modesta. La dotazione di capitale fu costituita attraverso la raccolta pubblica di fondi. A questa il Comune aggiunse il ricavato delle multe inflitte a chi contravveniva alle leggi suntuarie. In seguito il patrimonio del Monte fu accresciuto da numerosi lasciti testamentari.
I capitoli del 1491 dicevano che il Monte aveva sede nella “Caxa del spedale della caxa de Dio della comunità di Faenza”, cioè in Corso Mazzini, sede delle Opere Pie Riunite. Si trasferì poi nell’attuale via P. M. Cavina e infine, nel 1507, il Governatore veneto assegnò ai Rettori del Monte, il terreno delle antiche case manfrediane denominato del “guasto”. Il “guasto” si riferisce a un episodio del 1361, che vide demolite le case dei Manfredi da parte del Card. Albornoz, per punire lo scomunicato Giovanni di Riccardo Manfredi considerato traditore della Chiesa.

Sede  centrale del Monte di Pietà.
Sala del Consiglio.
"Il pignorimento.
Dipinto a olio su tela attribuito ad artista faentino operante verso la fine del XVI sec. (forse 1587).


L’Azzurrini identifica il sito fra il corso di Porta Ravegnana e l’attuale vicolo Costa, a fianco di quello che era il cimitero del Duomo detto il Poggio di s. Pietro, cioè l’attuale sede. Il palazzo, in cui il Monte operò dal 1510, era quello stesso immobile ipotecato da Astorgio III a garanzia dell’ingente prestito concessogli dal Monte nel 1500, per provvedere alla difesa della città attaccata dal Duca Valentino. All’inizio i Monti di Pietà operarono per destabilizzare l’azione usuraia degli ebrei, che chiedevano interessi troppo alti, sia per realizzare guadagni esosi, sia per contribuire a creare un mercato moderno del denaro, come capitale d’investimento.
Dopo il 1515, gli stessi Monti di Pietà alzarono le tariffe e cominciarono a poco a poco a funzionare nella linea del credito moderno di banca, mantenendo facilitazioni di riguardo per poveri in emergenza. Può sembrare interessante la lotta che sorse fra i francescani, fondatori dei Monti di Pietà, e i domenicani che disapprovavano i nuovi istituti quando il prestito, da completamente gratuito com’era nei tempi, fu concesso dietro pagamento di un modico interesse (5%), per coprire le spese d’amministrazione. In effetti, entrambi gli ordini religiosi combattevano per lo stesso scopo, l’uno combattendo come usuraia, l’altro difendendo come caritatevole, la banca del popolo.


Un commerciante si rivolge a un cambiamonete ebreo, incisione del 1450

Il Papato lasciò per molti anni che i domenicani attaccassero, talora brutalmente, i Monti di Pietà, chiamati da costoro «di empietà», finché Leone X, tramite il Concilio Lateranense del 4 Maggio 1515, approvò la nuova istituzione dichiarando che era lecito chiedere un lieve interesse per sopperire alle spese di gestione e stabilire che era vietato opporsi al decreto, pena la scomunica. I legami del Monte con l'autorità cittadina furono molto stretti: il Comune s’impegnava a sovvenire il Monte quando l'istituto si fosse trovato privo di fondi per rimborsare i depositi. Dal canto suo il Comune ricorreva frequentemente al Monte per le sue necessità finanziarie. Tra il '500 e il ‘700, il Monte ebbe soprattutto due mansioni: il piccolo prestito su pegno a vantaggio dei meno abbienti e la funzione di Tesoreria Comunale.
L'arrivo dei francesi nel giugno del 1796 costò al Monte requisizioni e la forzata restituzione dei pegni. Durante il periodo napoleonico vi fu un intreccio dovuto alle requisizioni e vendite a privati dei beni religiosi per impinguare le casse francesi, in tale situazione il Monte di Pietà, dotato di liquidità e di credito, operò facilmente per tutelare i propri interessi e di chi tale Ente aveva la fortuna di gestire. In secondo luogo il Monte di Pietà svolgeva una regolare funzione di riciclaggio di denaro dovuto alle confische e alienazioni. Pertanto quando si ritornò sotto il dominio pontificio, le operazioni svolte risultarono regolari e legittimi i possessori. Il Monte di Pietà uscì dal periodo napoleonico con un considerevole aumento del proprio patrimonio immobiliare, oltre al patrimonio edilizio, si trovò proprietario di dodici poderi.


Il Monte di Pietà nel 1905.

Il Monte di Pietà oggi.

Il 2 Aprile del 1822 si ridisegna e ristruttura la sede del Monte di Pietà su progetto dell'architetto Giuseppe Morri. Le facciate esterne assunsero un aspetto in linea col tardo gusto neoclassico e l'intero complesso, basato su di robusto zoccolo a barbacane, risultò imponente e massiccio. Il 1° dicembre del 1911, il Monte di Pietà accogliendo le esigenze delle piccole e medie economie decise di dare sviluppo alla funzione del credito e si fuse con la Cassa di Risparmio, in stato fallimentare, potendo così accettare depositi e concedere prestiti in larga misura. Nel 1923 si costruì l’attuale sede, opera dell’ing. Lambertini di Bologna. Contribuirono i Matteucci con i loro ferri battuti, Paolo Bucci tagliò e lavorò i marmi, l’ebanisteria Casalini completò i mobili, il pittore Roberto Sella decorò il Salone, il vestibolo e la Sala del Consiglio. In Ottobre del 1936 furono installati i lampadari a fiaccola lungo le due facciate. Dal 1995 l'antico Istituto faentino fa parte della Banca di Romagna.

Nota
1) «Monti Frumentari» nacquero alla fine del XV secolo per prestare ai contadini più poveri il grano e l'orzo per la semina. Essi si rivolgevano in particolare ai tanti che vivevano in condizioni di pura sussistenza costretti a mangiare anche quanto doveva essere riservato alla semina. La loro funzione era di costituire un supporto al ciclo agrario. A tal fine per il loro funzionamento i contadini partecipavano con giornate di lavoro gratuito in occasione della semina e del raccolto e l'esito era conservato come semenze da distribuire ai contadini che ne erano privi. Quando nei magazzini c'erano grosse eccedenze, una parte era venduta e il denaro così ottenuto era utilizzato per la creazione di «Monti Pecuniari» al fine di prestare agli agricoltori le somme per le spese del raccolto a un tasso del 5%.


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