Quattro faentini catturati dai Pirati Turchi |
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"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici. |
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QUATTRO FAENTINI CATTURATI DAI PIRATI TURCHI
Già agli inizi del Quattrocento, sull’onda
dell’espansione verso nord-ovest, gli ottomani arrivarono a lambire le
sponde della costa adriatica romagnola. Nel 1417 conquistarono Vallona
(Albania) e utilizzarono questo porto quale punto di partenza per le
incursioni lungo la fascia costiera italiana. Il passo successivo fu
quello di affidare ai pescatori della Dalmazia chiamati “uscocchi” il
compito di destabilizzare la vita e il commercio delle comunità
rivierasche. Ecco quindi sorgere nelle località di Bellaria,
Cesenatico, Cervia, Savio, Primaro e Ravenna torri di avvistamento con
lo scopo di permettere agli abitanti di mettersi in salvo in tempo con
la fuga verso luoghi protetti. Le cronache dell’epoca, molto
scarne, ci informano di un’incursione di pirati nel 1564: “…questi
entrati nel Porto di Primaro pigliarono tre barche, e 20 huomini, e
ripiena di non minori pericoli trovavasi la terra, essendo che li
Villani uniti con li Banditi danneggiavano fin sotto le Mura della
Città, [Ravenna] facendo con questa occasione strage de’ loro
nemici…” (De’ lustri Ravennati di Serafino Pasolini, pag. 19). di Miro Gamberini
Trascorsi alcuni anni di relativa calma le incursioni dei pirati ripresero. Verso la fine del 1580 l’attività dei pirati turchi, chiamati barbareschi, aveva raggiunto il massimo sviluppo, con l’occupazione dell’Africa settentrionale detta anche Barberia, riuscendo con improvvise incursioni a catturare senza distinzione di età e di sesso numerose persone, che poi facevano confluire in luoghi di raccolta. Duramente trattati e sottoposti a pesanti fatiche, alcuni cedevano abbracciando la religione musulmana, diventando a loro volta pirati. Maggior centro di raccolta era il porto di Algeri ove alla fine del sec. XVI si contavano circa ventiduemila schiavi, a Tunisi diecimila, a Tripoli cinquemila.
Le cronache locali non ci dicono come la trattativa venne conclusa, ma in questo ci soccorre ancora con i documenti vaticani Salvatore Bono informandoci che I Redentori Cappuccini Pietro e Filippo dopo aver concluso la trattativa e liberati 71 schiavi rimasero in Algeri essendosi rivelato nella città un principio di pestilenza. A rendere più difficile la situazione dei due fedeli era il convincimento tra i musulmani che l’insorgere della pestilenza fosse dovuta alle cerimonie liturgiche dei due religiosi. Questa prima missione recò grande conforto e speranza ai miseri schiavi, ma fu suggellata eroicamente dalla loro morte, avvenuta il 6 agosto. Non essendo inseriti i nominativi dei quattro faentini nella lista dei 71 schiavi è pensabile che anche i nostri concittadini colpiti dal morbo siano morti. A conclusione del suo articolo Salvatore Bono elenca altri due faentini catturati dai Barbareschi, un tale “Benedetto de Bartolomeo da Caminata de Becchi da Faenza preso in Romagna al Cesenatico per andare alla fiera”. Inserito in una lista consegnata a Civitavecchia il 29 settembre 1586 ai Redentori dell’Arciconfraternita del Gonfalone guidata da fra’ Dionisio di Piacenza. Mentre tra il 1697 e il 1713 Dionigio Montini di Faenza dietro pagamento di 381 scudi viene liberato a Tripoli. Una volta catturati dai barbareschi, si veniva inseriti in un elenco di schiavi in cui vi erano annotate, come precedentemente detto, informazioni atte ad individuare il personaggio con annotazione della richiesta del costo del riscatto che variava a seconda dell’età. L’Arciconfraternita aveva stabilito un contatto diretto con le autorità dei pirati Barbareschi e quando una delegazione riusciva a recarsi in Barberia, dopo aver definito con le autorità locali un adeguato compenso, iniziava la trattativa che metteva a dura prova le capacità diplomatiche dei delegati. Si ritornava in patria con il maggior numero possibile di schiavi e con una nuova lista di prigionieri da rendere liberi. Dei riscatti effettuati, come dall’autore riportato, Luigi Ruggeri nelle “Memorie dell’Arciconfraternita del Gonfalone”, pubblicava elenchi e cataloghi che venivano diffusi e affissi dinanzi alle chiese per comunicare le liberazioni e stimolare i fedeli ad offrire elemosine. In Roma fin dal 1573 esercitava la sua funzione di rappresentanza della Comunità di Faenza un Agente Procuratore il quale curava gli affari della città presso la Santa Sede, inviando giornalmente dispacci al Consiglio degli Anziani sulle pratiche diplomatiche che si svolgevano in Roma. Molto probabilmente è su questo canale diplomatico che la lettera esortatoria della richiesta di riscatto dei quattro faentini è giunta a Faenza. Non è possibile rintracciarla in quanto nella corrispondenza tra il Procuratore e il Consiglio degli Anziani mancano le lettere dal 1577 al 1606. Una volta affrancati, i “redenti” venivano condotti a Roma ove l’Arciconfraternita organizzava una solenne processione fino a S. Maria Maggiore ove si recitava un Te Deum per rendere grazia al Signore della liberazione ottenuta, seguiva poi la benedizione papale con la partecipazione commossa e festante di tutti gli associati che concludeva la cerimonia. Note 1) Salvatore Bono, La pirateria nel Mediterraneo Romagnoli schiavi dei Barbareschi (Documenti dell’Archivio Vaticano),La Piè, n° 9 – 10, anno 1953. |
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