Giuliano Bettoli

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Il mio ricordo di Giuliano Bettoli
Miro Gamberini

Per parecchi anni ogni mattina, andavo nel suo butighì (studiolo) di via Castellani, ove amichevolmente parlavamo di avvenimenti e fatti storici riguardanti Faenza, degli articoli che doveva scrivere, della domande che una persona incontrata in Piazza gli aveva posto, e conseguentemente dell’articolo che anche lui incuriosito dall’argomento avrebbe scritto. Quando il fatto era storico voleva approfondire la ricerca, con testimonianze e mi chiedeva di verificare chi in precedenza aveva scritto sull’argomento, raccomandando sempre che “anche la minghina” deve capire. Una scrittura “colloquiale” che come recentemente ha definito Sandro Bassi sono“...espressioni che suonano un po’ di licenza poetica e un po’ di anomalia grammaticali…” ma di una semplicità estrema, una grafia che condita con il dialetto, permetteva ai suoi lettori di immergersi in quell'atmosfera che è propria della nostra città, ove in una frase di dieci parole sette sono pronunciate in dialetto.



Giuliano Bettoli.
Quando l’anno scorso durante la stesura del libro “Il Borgo Durbecco”, assieme agli altri autori Enzo Casadio, Stefano Saviotti, Massimo Valli e il sottoscritto ne impostavamo la composizione, con Giuliano era tutto un suo racconto di episodi e aneddoti, un soffermarsi sui fatti in un susseguirsi di riflessioni in cui trovava posto il ricordo svanito di un avvenimento. Una ricerca spigolosa e attenta del termine migliore con il quale comunicare l’episodio che di volta in volta si andava trattando, ma preso in mano il “Morri” (dizionario romagnolo-italiano) Giuliano non aveva più dubbi la parola giusta era quella. Grazie Giuliano per averci fatto vivere questo “cenacolo letterario”.
Mario Gurioli nell’ultimo numero di “2001 Romagna” commemorandolo lo paragona “ ...a un fiume in piena che sfociava  in un mare di idee, portate avanti e realizzate con il massimo dell’impegno e della coerenza”.  Era l’autunno del 2011 quando mi chiese di scrivere un articolo in collaborazione con Stefano Saviotti sul Ponte delle due Torri. Terminata la stesura dell’articolo mi chiese di accompagnarlo nell’ispezionare il basamento del Ponte, che la siccità aveva messo in mostra. Verificata la platea del Ponte si dimostrò un manufatto di tipologia romana. Giuliano riuscì a congregare un gruppo di volontari che per circa due mesi si dedicarono allo scavo.

La città ne rimase coinvolta scuole e visite guidate nei mesi successivi  portarono molti faentini sul greto, tanto entusiasmo  fu lo stimolo per ricordare i 170 anni della caduta del Ponte con una festa di canti romagnoli, magistralmente interpretati dagli “Smèmbar” diretti da Giuliano. Storia locale e tradizioni popolari di nuovo insieme, un modo divertente e scanzonato che ha fatto divertire molte persone, ma che come il manifesto funebre voluto da alcuni suoi amici recita: “Grazie Giuliano, ci hai insegnato a conoscere ed amare la nostra città, la nostra storia, la nostra cultura ultima tappa della tua fatica è stata quella di guardare Faenza dall’alto dei suoi campanili come ad accogliere in un grande abbraccio tutta la nostra realtà faentina ora sei salito sul campanile più alto come spetta ad un grande uomo. Di lassù ci indicherai sempre la strada giusta da percorrere”. L'ultimo articolo al quale ho dato il mio contributo storico a Giuliano, viene qui riproposto: "Lo sapete dov'è San Sigismondo".


Ciao Giuliano.


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