La restaurazione dello Stato Pontificio a Faenza e in Romagna

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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LA RESTAURAZIONE DELLO STATO
PONTIFICIO A FAENZA
E IN ROMAGNA

M. Bergamini


Il 18 maggio 1849, ottomila tedeschi e austriaci comandati dal generale Wimpffen, e chiamati dal papa Pio IX, giungevano a Faenza per restaurare all'odine e all'obbedienza i faentini. Le truppe che  attraversarono Faenza da Porta Imolese a Porta Ponte furono accolte in città dagli insulti e dal dileggio dei faentini, passato il Lamone, in Borgo furono osannati e acclamati come  liberatori.
Nel libro “La Romagna nel Risorgimento Faenza”, Rino Savini documenta con queste parole il ritorno degli Austriaci in Italia per la restaurazione del papato in Romagna:

Vinta la guerra contro il Piemonte, gli Austriaci marciarono verso lo Stato Pontificio, col pretesto di restaurare il potere del Papa; ma, evidentemente, per non perdere l'influenza su quel territorio; i Francesi già agivano sul Lazio. L'11 maggio gli Austriaci entrano in Bologna.
I governi di Faenza, Imola, Castelbolognese prendono accordi per difendere l'acquistata libertà. Coloro che si danno da fare, fra i Faentini, ricordiamo Antonio Sangiorgi, detto "Tugnon dla Cocla", il conte Francesco Zauli-Naldi, Francesco Ugolini, Andrea Cimatti, detto "Pisinino", ed altri. Se i liberali paventavano l'arrivo degli Austriaci, i papaloni ne erano lieti, e riprendevano gli atti di violenza. Fu ferito l'Ugolini e ucciso Sangiorgi. Venne, allora, nominata una commissione di difesa composta da Francesco Zauli-Naldi, Francesco Della Valle e Gaetano Pezzi. Si mobilitò il battaglione della Guardia Nazionale di 350 uomini, comandato da Girolamo Strocchi, Augusto Bertoni e il conte Achille Laderchi rispettivamente tenente e sottotenente, Gaetano Pezzi sergente maggiore e Federico Comandini sergente furiere. II programma era opporsi all'invasore! Ma le notizie che mandava il comandante degli invasori, il maresciallo austriaco Wimpffen, erano categoriche: ordinava lo scioglimento della Guardia Nazionale, dei corpi franchi, o volontari, delle adunanze, delle associazioni politiche. Il 18 maggio Wimpffen convoca i rappresentanti della magistratura faentina: il gonfaloniere Tampieri, Sebastiano Rossi e Antonio Morri. L'austriaco impone che si abbattano gli stemmi repubblicani, di non fare alcuna resistenza, diversamente avrebbe bombardato la città ed inviato le truppe comandate dal barone Von Welden, che era preceduto da una pessima fama. Infatti, aveva compiuta una crudele rappresaglia a Sermide, distruggendo il paese, perché gli abitanti avevano fatto fuoco sui suoi soldati. All'alba del 19 maggio, attraverso Faenza, da Porta Imolese a Porta delle Chiavi, passarono ottomila uomini, con 32 pezzi d'artiglieria, con alla testa Wimpffen. Al suo fianco, in uniforme di maggiore austriaco, cavalcava il faentino Virgilio Alpi, figura infame, confidente della polizia pontificia ed agente austriaco. Fra i suoi delitti quello atroce per aver fatto fucilare il concittadino Antonio Liverani, che in altro tempo gli aveva salvato la vita.


Generale Franz von Wimpffen.

Generale Franz  Wimpffen.
Mentre i cittadini si disperavano, quelli del Borgo esultavano. Al passaggio degli Austriaci lanciavano dei volantini sui quali era stampato:

Al generale conte Wimpffen
Liberator ti chiama
Il Borgo di Faenza
Con tutta l'aderenza
Ch'ivi rinchiusa sta!

Naturalmente vi fu la reazione: Girolamo Strocchi, Polidori, Mazzotti, Rivalta, Carroli impiegati della polizia municipale, il cancelliere del tribunale Della Valle vennero arrestati; i sacerdoti don Ercolani, don Donati, don Lanzoni, don Bolognini sospetti di liberalismo furono condannati a seguire esercizi spirituali a Ravenna. Per i patrioti sembrò proprio finita; Federico Comandini ripeteva: «Poveri noi! Per ora non c'è più niente da fare! Torneremo a cospirare».

Una cronaca dettagliata dell’attraversamento e della riconquista della Romagna è stata descritta da Piero Zama:
"Sulle tracce dell'avanzata Austriaca nelle Romagne nel 1849"


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