La piccola tavola, ora prestata per la mostra, è di piccole dimensioni
e misura 50x35 centimetri. Il titolo è "Madonna con bambino" ed è
esposta permanentemente a Faenza, nell'ultima sala delle pale al piano
superiore. Fa parte della collezione della Pinacoteca di Faenza. La tavola del XIV
secolo ha un fondo dorato uniforme ed è divisa in due parti: nella
parte superiore è raffigurata la Madonna con il Bambino fra le braccia.
Nella parte inferiore sono ritratti a figura intera i Santi Francesco e
Michele Arcangelo, un santo vescovo, le Sante Caterina e Chiara.
Tradizionalmente l'opera era attribuita a Bitino da Faenza, poi
ulteriori considerazioni portarono ad attribuirla ai pittori della
scuola riminese e in particolare a Giovanni da Rimini. Una
curiosità su questo quadro: la tavola di Giovanni da Rimini fu
acquistata dal Comune di Faenza da un collezionista privato nel 1898 al
prezzo di cento lire. Oggi è stata valutata tre milioni di lire.
Come detto su questa mostra TheTimes ha pubblicato, il 9 giugno, un
lungo articolo con foto delle opere, una a pagina intera della tavola
faentina.
Questo è solo uno dei prestiti "importanti della nostra Pinacoteca che in questi giorni è in viaggio anche in Cina.
Proprio oggi (16 giugno 2017) sarà infatti inaugurata a Shanghai una
mostra di appena quattro tele, due delle quali provengono proprio dalla
Pinacoteca di Faenza.
Si tratta delle tele di Giorgio Morandi e Giorgio De Chirico,
appartenute alla collezione Vallunga-Bianchedi Bettoli, donata nel 2009
a Faenza.
Giovanni da Rimini, Madonna col Bambino.
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Le due tele della Pinacoteca di Faenza in mostra al
Modern Art Museum di Shanghai, dal titolo
"Giorgio de Chirico and Giorgio Morandi
Rays of Light in Italian Modern Art"
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Sopra, il manifesto della mostra. A sinistra copertina del catalogo della mostra di Shanghai.
Sotto
a sinistra Giorgio Morandi, Natura morta, 1953, olio su tela. A lato a
destra, Giorgio De Chirico, Le rive della Tessaglia, 1926, olio su tela.
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I
testi qui di seguito riportati sui quadri di Giorgio Morandi e Giorgio
De Chirico sono di Claudio Casadio per il catalogo della Collezione
Bianchedi Bettoli Vallunga.
MORANDI GIORGIO (Bologna 1890- Bologna 1964)
Natura morta 1953, Olio su tela, 30x43
Le nature morte di Morandi, con
la presenza di bottiglie, vasi e altri oggetti, sono il tema più riconosciuto
della sua pittura. Ad un occhio pigro questi quadri di nature morte, fatti
tutti nel suo studio di via Fondazza a Bologna, potrebbero sembrare uguali. In
realtà è vero l’esatto opposto. Lo notò Vitale Bloch introducendo le mostre
olandesi e inglesi di Morandi nel 1954. “La monotonia rimproverata a Morandi
per le sue bottiglie – scrisse Bloch – è soltanto una certa maniera di
oggettività: di monotonia si potrebbe accusare, piuttosto, l’occhio
dell’osservatore. Al contrario è raro che due nature morte di Morandi siano
veramente simili”. Ogni natura morta di Morandi suscita infatti sentimenti
diversi ed è diversa nel concepimento, nell’esecuzione e nel colore, pur in una
costanza di ricerca che sempre caratterizza l’opera di questo grande artista
del Novecento.
Come scrisse Arcangeli nella biografia pubblicata nel 1964 quello degli anni
Cinquanta è un “panorama impressionante. Mentre quello dei dieci anni
precedenti colpiva per la varietà profonda, questo colpisce piuttosto per la
quasi allucinante insistenza sui temi, e sulle variazioni dei temi, di natura
morta”. E’ un Morandi che, continuò Arcangeli, “gioca sui chiari, in questa
fase, con un’altezza, una concentrazione, una distaccata ma profonda poesia”.
La Natura morta ora nella Pinacoteca faentina fa parte di un gruppo molto noto
e nutrito di composizioni, descritto anche da Marilena Pasquali nel catalogo
del Museo Morandi di Bologna, che comprende circa una ventina di dipinti
realizzati fra il 1953, come in questo caso, e il 1956 con un’ultima opera del
gruppo che fa parte del Museo Morandi di Bologna. Questa serie, definibile
delle “partizioni a quadrato” per la caratteristica schiera di oggetti raccolti
su due linee con una composizione chiusa a comporre un quadrato o in qualche
raro caso, come è in questa occasione, leggermente più aperta per comporre un
rettangolo. L’altezza complessiva degli oggetti è una sola, ma quelli in
seconda fila sono una presenza scura, non completamente riconoscibili nella
loro fisicità mentre gli oggetti in primo piano sono colorati in modo
caratterizzante e hanno una loro forte identità formale. Vi è in prima fila
dunque il gruppo ristretto in ranghi serrati e dall’ordine preciso, da cui
emergono alcune figure come le due bottiglie bianche e la lattina dell’olio
sulla destra. Proprio questo recipiente di latta a imbuto rovesciato, che è sicuramente
un oggetto tra i più amati da Morandi, appare nelle serie della partizione a
quadrato per la prima volta in questa opera, per poi fare la comparsa in modo
limitato ad un paio di altre opere.
Questa natura morta, inserita con il numero 858 nel catalogo generale delle
opere di Morandi curato da Lamberto Vitali, ha fatto parte di una collezione
privata di Milano, è stata venduta all’asta da Christie’s a Londra nel 1992 ed
è stata successivamente acquistata dai Vallunga presso la Galleria Marescalchi
di Bologna.
La presentazione della Mostra da parte
dell'Istituto Italiano di Cultura di Shanghai
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DE CHIRICO GIORGIO (Volos 1888-Roma 1988)
Le rive della Tessaglia 1926, Olio su tela, 93x73.
Firmato in basso a sinistra: "G.de Chirico"
Dal 1925 al 1931 De Chirico è a
Parigi per il suo secondo lungo soggiorno. Il 1926 è l’anno della definitiva
rottura con i surrealisti, che pubblicarono nella loro rivista una sua opera
sfregiandola. De Chirico già da tempo, e in particolare in un suo articolo
pubblicata nel 1919, aveva però dichiarato che era interessato al mestiere e
per questo si era “messo a copiare nei musei” sentendo il bisogno di una base
più solida (G. De Chirico, Il ritorno al mestiere, in «Valori Plastici», I n.
XI-XII, Roma, pp. 15-19). Con il nuovo periodo artistico, che lo porta al
superamento della metafisica del primo decennio del Novecento, arrivano altri
temi nell’arte di De Chirico: manichini di figure umane senza volto, cavalli in
riva al mare, mobili all’aperto e gladiatori.
Il cavallo è un tema fondamentale. «Un cavallo davanti al mare – scrisse Jean
Cocteau nel 1928 – assume l’importanza del mito». Il primo quadro delle tele
che fra il 1926 e il 1930 hanno come soggetto un cavallo è proprio “Les rivages
de la Thessalie”. «É un dipinto dal fascino inquietante» secondo Franco Ragazzi
che nel catalogo della mostra sulle suggestioni del mare tenutasi a Livorno nel
2004 (I tesori del mare 2004, pp. 196-197) ha così continuato il suo commento
al quadro: «un solo cavallo e un solo palafreniere avanzano sulla spiaggia del
mare di Tessaglia che sciaborda sullo sfondo. Achille pascola il suo cavallo
tra schegge di paesaggio metafisico: il piedistallo di una statua forse
rimossa, la prospettiva di un palazzo porticato con una statua sullo spigolo,
una stupefacente costruzione cilindrica dalle enormi dimensioni che può essere
letta come un faro, una massiccia ciminiera, una enorme caldaia primordiale,
una torre di mattoni costruita per scalare il cielo, Tutto è uniformato dal
colore, da una materia che restituisce una entità evanescente, gessosa, propria
di una apparizione spettrale o di una rivelazione onirica. L’evocazione
accorata delle origini dell’artista infonde all’opera una densità ed una
intensità che la rende emozione allo stato puro. Il cavallo accenna a movimenti
quasi imponderabili, limitati alla zampa appena alzata, ma pur nella
rarefazione del tempo e dell’aria, si avvertono le vitalistiche vibrazioni
della folta coda e della criniera smosse dal vento», conclude la nota di Franco
Ragazzi sul quadro.
Questo straordinario dipinto ha anche una storia complessa, ben ricostruita da
Maurizio Fagiolo dell’Arco. L’opera, riapparsa nel 1984 in un’asta da Sotheby’s
a Londra, è da considerarsi replica con variazioni cromatiche di un quadro
considerato capolavoro di Giorgio de Chirico già pubblicato nella monografia di
Roger Vitrac del 1927. Anche questa opera aveva già avuto una precedente
riproduzione nel libro di Lionello Venturi sulla pittura contemporanea
pubblicato da Hoepli negli anni del dopoguerra. L’esistenza di coppie di quadri
analoghi e contemporanei è già stata riscontrata da Fagiolo dell’Arco (M.
FAGIOLO DELL’ARCO 1985, pp. 32-33 e fot. 47-48, 1991, pp. 30-33, 2000, pp.
60-61) anche per altri quadri degli anni Venti come Autoritratto con la madre,
La fanciulla amata, La petit néapolitaine e la Natura morta con rovine e corazza
del periodo romano e la Natura morta con busto antico e anatre e il Mannequin
broderie del ritorno a Parigi. Su questo comportamento di De Chirico anche
Livia Velani ha ricostruito un episodio dandone nel complesso un proprio
giudizio positivo. André Breton, che possedeva due quadri di De Chirico, Le
rêve de Tobie ripreso nella foto di gruppo scattata da Man Ray e pubblicata
nella rivista “La Révolution Surréaliste” del dicembre 1924, e L’énigme d’une
journée del 1914, propose l’acquisto de Le Muse inquietanti e dei Pesci rossi.
«Di queste due opere – ha scritto Livia Velani – giacchè una in proprietà del
giovane critico toscano Giorgio Castelfranco e l’altra di Mario Broglio, de
Chirico propone di fare due copie esatte. L’idea, che lascia esterefatto il poeta,
conferma una prassi mantenuta dall’artista che anticipa – conclude Livia Velani
- il concetto moderno della riproducibilità di un’invenzione unica e riprende
la consuetudine delle botteghe d’arte dal Rinascimento in poi» (Giorgio de
Chirico pictor optimus 1992, pag. 127).
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Giorgio De Chirico e Giorgio Morandi - Raggi di Luce nell'arte italiana moderna
Due fra i più grandi pittori italiani del Novecento, Giorgio
de Chirico e Giorgio Morandi, vengono presentati al pubblico cinese in un nuovo
spazio espositivo, il Modern Art Museum, creato appositamente dal gruppo
Halcyon per ospitare mostre temporanee di importanti artisti di fama
internazionale. Già deposito di carbone, con il suo molo sul trafficatissimo
Huang Pu, questo nuovo museo che viene a arricchire la sfaccettata scena
artistica di Shanghai è di per sé un chiaro esempio di quanto un oggetto possa
cambiare e subire una sorta di trasfigurazione a seconda della nuova energia che
in esso viene investita. L’antico padiglione dalle forme squadrate, di
minimalistica semplicità, è ora un deposito di opere d’arte, un cantiere di
intraprese artistiche proiettate verso il futuro, un trampolino per nuove
sfide. La stessa vecchia struttura ha acquistato una nuova aura e un diverso
significato, senza perdere il suo aspetto. A loro volta i due protagonisti di
questa mostra, de Chirico e Morandi, sono artisti che sottopongono gli oggetti
dell’esperienza umana al loro proprio incantesimo così che essi conservino la
propria immagine, ma risultino al tempo stesso profondamente trasformati,
suggerendo altri oggetti, altri significati, altri mondi.
Le bottiglie e le sedie di Morandi, le statue in frammenti e le piazze deserte
di de Chirico, al di là delle evidenti differenze, appartengono di fatto alla
medesima stagione culturale, e un grande merito di questa nostra è il
sottolineare la somiglianza nella diversità. La presenza di opere di altri
artisti contemporanei, come Alberto Savinio (fratello di de Chirico), Mario
Sironi e Filippo de Pisis, aiuta a comprendere meglio questi due grandi
pittori, alla luce del contesto storico culturale al cui interno entrambi
vissero e operarono. Giorgio de Chirico e Giorgio Morandi hanno mostrato due
modi diversi, se non opposti, di intendere la pittura proprio nel secolo che la
metteva in crisi. Personalità opposte anche nel percorso di vita: estremamente
mobile, perenne Ulisse, de Chirico, legato alla sua città, Bologna, al suo
studio, ai suoi oggetti Morandi. La pittura di Giorgio de Chirico ha ammaliato
i Surrealisti ed esercitato una forte influenza sull’arte non solo italiana del
Novecento. Inventore della Metafisica, già alla fine degli anni Dieci del
Novecento, con le sue piazze dall’atmosfera abbacinata, con le sue atmosfere
dense di inquietudine e magicamente sospese, con i suoi manichini, de Chirico
influenzò pittori come Carrà e Morandi che - anche se legati alla Metafisica
solo per un breve periodo della loro carriera - videro e fecero propria quella
capacità tutta dechirichiana di mostrare il mistero delle cose quotidiane viste
con un occhio diverso.La pittura di Morandi è intimista e meditativa, legata agli spazi interni e ai
suoi oggetti, simbolo di una dimensione interiore fatta di silenzi e di raffinatissime
e talvolta impercettibili variazioni cromatiche. De Chirico, nelle sue piazze
dalle ombre lunghe, trasferisce negli spazi esterni la sua simbolicità
programmatica unita ad una sua sottile ironia.
Morandi
si rifà direttamente al Quattrocento italiano, a Masaccio e Paolo Uccello, ma
rinuncia da subito alla profondità. La sua pittura è già immateriale come
un’idea con una attenzione grandissima alla qualità pittorica. De Chirico apre
la sua opera alla storia dell’arte e si colloca dentro una tradizione a cui
vuole di diritto aggiungersi. Accomuna i due artisti l’idea tutta dechirichiana
della visione artistica autonoma ma li differenzia completamente il modo in cui
questa dimensione atemporale viene ricercata e raggiunta: artisti opposti e complementari
insieme.
Per Morandi la dimensione è il suo studio, i suoi oggetti polverosi che abbiamo
imparato a riconoscere in tante nature morte in cui la ripetitività
dell’oggetto acquista un significato interiore e in qualche modo metafisico. De
Chirico, immerso in una grecità tutta mediterranea, guarda alla città, alla
storia, al mondo che cambia attorno a lui attraverso una visione sincretica che
esula dalla cronaca ma tiene sempre presente elementi di realtà che diventano
simbolici.
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