Tre quadri della Pinacoteca in esposizione a Londra e Shanghai

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Un dipinto attribuito a Giovanni da Rimini è alla National Gallery
Un Morandi e un De Chirico esposti a Shanghai
di Antonio Veca
     I nostri Morandi e De Chirico a Shanghai per una mostra. Intanto una tavola del Trecento fa parte di un gruppo di tre opere espostee a Londra. La Pinacoteca di Faenza si riconferma quale grande deposito di opere preziosissime e che rendono famosa la città in ogni angolo del mondo. È dei giorni scorsi un articolo pubblicato sul Times britannico in relazione a una mostra alla National Gallery di Londra. Al centro dell'articolo c'è una mostra sull'oro divino usato dal pittore italiano Giovanni da Rimini.
Delle tre opere in esposizione a Londra una è di proprietà della National Gallery (è stata acquistata nel 2015), l'altra di un museo capitolino e l'altra è per l'appunto di Faenza.

La piccola tavola, ora prestata per la mostra, è di piccole dimensioni e misura 50x35 centimetri. Il titolo è "Madonna con bambino" ed è esposta permanentemente a Faenza, nell'ultima sala delle pale al piano superiore. Fa parte della collezione della Pinacoteca di Faenza. La tavola del XIV secolo ha un fondo dorato uniforme ed è divisa in due parti: nella parte superiore è raffigurata la Madonna con il Bambino fra le braccia.  Nella parte inferiore sono ritratti a figura intera i Santi Francesco e Michele Arcangelo, un santo vescovo, le Sante Caterina e Chiara.
Tradizionalmente l'opera era attribuita a Bitino da Faenza, poi ulteriori considerazioni portarono ad attribuirla ai pittori della scuola riminese e in particolare  a Giovanni da Rimini. Una curiosità su questo quadro: la tavola di Giovanni da Rimini fu acquistata dal Comune di Faenza da un collezionista privato nel 1898 al prezzo di cento lire. Oggi è stata valutata tre milioni di lire.
Come detto su questa mostra TheTimes ha pubblicato, il 9 giugno, un lungo articolo con foto delle opere, una a pagina intera della tavola faentina.
Questo è solo uno dei prestiti "importanti della nostra Pinacoteca che in questi giorni è in viaggio anche in Cina.
Proprio oggi (16 giugno 2017) sarà infatti inaugurata a Shanghai una mostra di appena quattro tele, due delle quali provengono proprio dalla Pinacoteca di Faenza.
Si tratta delle tele di Giorgio Morandi e Giorgio De Chirico, appartenute alla collezione Vallunga-Bianchedi Bettoli, donata nel 2009 a Faenza.








Giovanni da Rimini, Madonna col Bambino.









Le due tele della Pinacoteca di Faenza in mostra al
Modern Art Museum di Shanghai, dal titolo
"Giorgio de Chirico and Giorgio Morandi
Rays of Light in Italian Modern Art"






Sopra, il manifesto della mostra. A sinistra copertina del catalogo della mostra di Shanghai.

Sotto a sinistra Giorgio Morandi, Natura morta, 1953, olio su tela. A lato a destra, Giorgio De Chirico, Le rive della Tessaglia, 1926, olio su tela.










I testi qui di seguito riportati sui quadri di Giorgio Morandi e Giorgio De Chirico sono di Claudio Casadio per il catalogo della Collezione Bianchedi Bettoli Vallunga.


MORANDI GIORGIO (Bologna 1890- Bologna 1964)
Natura morta 1953, Olio su tela, 30x43
 

Le nature morte di Morandi, con la presenza di bottiglie, vasi e altri oggetti, sono il tema più riconosciuto della sua pittura. Ad un occhio pigro questi quadri di nature morte, fatti tutti nel suo studio di via Fondazza a Bologna, potrebbero sembrare uguali. In realtà è vero l’esatto opposto. Lo notò Vitale Bloch introducendo le mostre olandesi e inglesi di Morandi nel 1954. “La monotonia rimproverata a Morandi per le sue bottiglie – scrisse Bloch – è soltanto una certa maniera di oggettività: di monotonia si potrebbe accusare, piuttosto, l’occhio dell’osservatore. Al contrario è raro che due nature morte di Morandi siano veramente simili”. Ogni natura morta di Morandi suscita infatti sentimenti diversi ed è diversa nel concepimento, nell’esecuzione e nel colore, pur in una costanza di ricerca che sempre caratterizza l’opera di questo grande artista del Novecento.
Come scrisse Arcangeli nella biografia pubblicata nel 1964 quello degli anni Cinquanta è un “panorama impressionante. Mentre quello dei dieci anni precedenti colpiva per la varietà profonda, questo colpisce piuttosto per la quasi allucinante insistenza sui temi, e sulle variazioni dei temi, di natura morta”. E’ un Morandi che, continuò Arcangeli, “gioca sui chiari, in questa fase, con un’altezza, una concentrazione, una distaccata ma profonda poesia”.
La Natura morta ora nella Pinacoteca faentina fa parte di un gruppo molto noto e nutrito di composizioni, descritto anche da Marilena Pasquali nel catalogo del Museo Morandi di Bologna, che comprende circa una ventina di dipinti realizzati fra il 1953, come in questo caso, e il 1956 con un’ultima opera del gruppo che fa parte del Museo Morandi di Bologna. Questa serie, definibile delle “partizioni a quadrato” per la caratteristica schiera di oggetti raccolti su due linee con una composizione chiusa a comporre un quadrato o in qualche raro caso, come è in questa occasione, leggermente più aperta per comporre un rettangolo. L’altezza complessiva degli oggetti è una sola, ma quelli in seconda fila sono una presenza scura, non completamente riconoscibili nella loro fisicità mentre gli oggetti in primo piano sono colorati in modo caratterizzante e hanno una loro forte identità formale. Vi è in prima fila dunque il gruppo ristretto in ranghi serrati e dall’ordine preciso, da cui emergono alcune figure come le due bottiglie bianche e la lattina dell’olio sulla destra. Proprio questo recipiente di latta a imbuto rovesciato, che è sicuramente un oggetto tra i più amati da Morandi, appare nelle serie della partizione a quadrato per la prima volta in questa opera, per poi fare la comparsa in modo limitato ad un paio di altre opere.
Questa natura morta, inserita con il numero 858 nel catalogo generale delle opere di Morandi curato da Lamberto Vitali, ha fatto parte di una collezione privata di Milano, è stata venduta all’asta da Christie’s a Londra nel 1992 ed è stata successivamente acquistata dai Vallunga presso la Galleria Marescalchi di Bologna.



La presentazione della Mostra da parte
dell'Istituto Italiano di Cultura di Shanghai

DE CHIRICO GIORGIO (Volos 1888-Roma 1988)
Le rive della Tessaglia 1926, Olio su tela, 93x73.
Firmato in basso a sinistra: "G.de Chirico"

Dal 1925 al 1931 De Chirico è a Parigi per il suo secondo lungo soggiorno. Il 1926 è l’anno della definitiva rottura con i surrealisti, che pubblicarono nella loro rivista una sua opera sfregiandola. De Chirico già da tempo, e in particolare in un suo articolo pubblicata nel 1919, aveva però dichiarato che era interessato al mestiere e per questo si era “messo a copiare nei musei” sentendo il bisogno di una base più solida (G. De Chirico, Il ritorno al mestiere, in «Valori Plastici», I n. XI-XII, Roma, pp. 15-19). Con il nuovo periodo artistico, che lo porta al superamento della metafisica del primo decennio del Novecento, arrivano altri temi nell’arte di De Chirico: manichini di figure umane senza volto, cavalli in riva al mare, mobili all’aperto e gladiatori.
Il cavallo è un tema fondamentale. «Un cavallo davanti al mare – scrisse Jean Cocteau nel 1928 – assume l’importanza del mito». Il primo quadro delle tele che fra il 1926 e il 1930 hanno come soggetto un cavallo è proprio “Les rivages de la Thessalie”. «É un dipinto dal fascino inquietante» secondo Franco Ragazzi che nel catalogo della mostra sulle suggestioni del mare tenutasi a Livorno nel 2004 (I tesori del mare 2004, pp. 196-197) ha così continuato il suo commento al quadro: «un solo cavallo e un solo palafreniere avanzano sulla spiaggia del mare di Tessaglia che sciaborda sullo sfondo. Achille pascola il suo cavallo tra schegge di paesaggio metafisico: il piedistallo di una statua forse rimossa, la prospettiva di un palazzo porticato con una statua sullo spigolo, una stupefacente costruzione cilindrica dalle enormi dimensioni che può essere letta come un faro, una massiccia ciminiera, una enorme caldaia primordiale, una torre di mattoni costruita per scalare il cielo, Tutto è uniformato dal colore, da una materia che restituisce una entità evanescente, gessosa, propria di una apparizione spettrale o di una rivelazione onirica. L’evocazione accorata delle origini dell’artista infonde all’opera una densità ed una intensità che la rende emozione allo stato puro. Il cavallo accenna a movimenti quasi imponderabili, limitati alla zampa appena alzata, ma pur nella rarefazione del tempo e dell’aria, si avvertono le vitalistiche vibrazioni della folta coda e della criniera smosse dal vento», conclude la nota di Franco Ragazzi sul quadro.
Questo straordinario dipinto ha anche una storia complessa, ben ricostruita da Maurizio Fagiolo dell’Arco. L’opera, riapparsa nel 1984 in un’asta da Sotheby’s a Londra, è da considerarsi replica con variazioni cromatiche di un quadro considerato capolavoro di Giorgio de Chirico già pubblicato nella monografia di Roger Vitrac del 1927. Anche questa opera aveva già avuto una precedente riproduzione nel libro di Lionello Venturi sulla pittura contemporanea pubblicato da Hoepli negli anni del dopoguerra. L’esistenza di coppie di quadri analoghi e contemporanei è già stata riscontrata da Fagiolo dell’Arco (M. FAGIOLO DELL’ARCO 1985, pp. 32-33 e fot. 47-48, 1991, pp. 30-33, 2000, pp. 60-61) anche per altri quadri degli anni Venti come Autoritratto con la madre, La fanciulla amata, La petit néapolitaine e la Natura morta con rovine e corazza del periodo romano e la Natura morta con busto antico e anatre e il Mannequin broderie del ritorno a Parigi. Su questo comportamento di De Chirico anche Livia Velani ha ricostruito un episodio dandone nel complesso un proprio giudizio positivo. André Breton, che possedeva due quadri di De Chirico, Le rêve de Tobie ripreso nella foto di gruppo scattata da Man Ray e pubblicata nella rivista “La Révolution Surréaliste” del dicembre 1924, e L’énigme d’une journée del 1914, propose l’acquisto de Le Muse inquietanti e dei Pesci rossi. «Di queste due opere – ha scritto Livia Velani – giacchè una in proprietà del giovane critico toscano Giorgio Castelfranco e l’altra di Mario Broglio, de Chirico propone di fare due copie esatte. L’idea, che lascia esterefatto il poeta, conferma una prassi mantenuta dall’artista che anticipa – conclude Livia Velani - il concetto moderno della riproducibilità di un’invenzione unica e riprende la consuetudine delle botteghe d’arte dal Rinascimento in poi» (Giorgio de Chirico pictor optimus 1992, pag. 127).

Giorgio De Chirico e Giorgio Morandi - Raggi di Luce nell'arte italiana moderna

     Due fra i più grandi pittori italiani del Novecento, Giorgio de Chirico e Giorgio Morandi, vengono presentati al pubblico cinese in un nuovo spazio espositivo, il Modern Art Museum, creato appositamente dal gruppo Halcyon per ospitare mostre temporanee di importanti artisti di fama internazionale. Già deposito di carbone, con il suo molo sul trafficatissimo Huang Pu, questo nuovo museo che viene a arricchire la sfaccettata scena artistica di Shanghai è di per sé un chiaro esempio di quanto un oggetto possa cambiare e subire una sorta di trasfigurazione a seconda della nuova energia che in esso viene investita. L’antico padiglione dalle forme squadrate, di minimalistica semplicità, è ora un deposito di opere d’arte, un cantiere di intraprese artistiche proiettate verso il futuro, un trampolino per nuove sfide. La stessa vecchia struttura ha acquistato una nuova aura e un diverso significato, senza perdere il suo aspetto. A loro volta i due protagonisti di questa mostra, de Chirico e Morandi, sono artisti che sottopongono gli oggetti dell’esperienza umana al loro proprio incantesimo così che essi conservino la propria immagine, ma risultino al tempo stesso profondamente trasformati, suggerendo altri oggetti, altri significati, altri mondi.
Le bottiglie e le sedie di Morandi, le statue in frammenti e le piazze deserte di de Chirico, al di là delle evidenti differenze, appartengono di fatto alla medesima stagione culturale, e un grande merito di questa nostra è il sottolineare la somiglianza nella diversità. La presenza di opere di altri artisti contemporanei, come Alberto Savinio (fratello di de Chirico), Mario Sironi e Filippo de Pisis, aiuta a comprendere meglio questi due grandi pittori, alla luce del contesto storico culturale al cui interno entrambi vissero e operarono. Giorgio de Chirico e Giorgio Morandi hanno mostrato due modi diversi, se non opposti, di intendere la pittura proprio nel secolo che la metteva in crisi. Personalità opposte anche nel percorso di vita: estremamente mobile, perenne Ulisse, de Chirico, legato alla sua città, Bologna, al suo studio, ai suoi oggetti Morandi. La pittura di Giorgio de Chirico ha ammaliato i Surrealisti ed esercitato una forte influenza sull’arte non solo italiana del Novecento. Inventore della Metafisica, già alla fine degli anni Dieci del Novecento, con le sue piazze dall’atmosfera abbacinata, con le sue atmosfere dense di inquietudine e magicamente sospese, con i suoi manichini, de Chirico influenzò pittori come Carrà e Morandi che - anche se legati alla Metafisica solo per un breve periodo della loro carriera - videro e fecero propria quella capacità tutta dechirichiana di mostrare il mistero delle cose quotidiane viste con un occhio diverso.La pittura di Morandi è intimista e meditativa, legata agli spazi interni e ai suoi oggetti, simbolo di una dimensione interiore fatta di silenzi e di raffinatissime e talvolta impercettibili variazioni cromatiche. De Chirico, nelle sue piazze dalle ombre lunghe, trasferisce negli spazi esterni la sua simbolicità programmatica unita ad una sua sottile ironia.

Morandi si rifà direttamente al Quattrocento italiano, a Masaccio e Paolo Uccello, ma rinuncia da subito alla profondità. La sua pittura è già immateriale come un’idea con una attenzione grandissima alla qualità pittorica. De Chirico apre la sua opera alla storia dell’arte e si colloca dentro una tradizione a cui vuole di diritto aggiungersi. Accomuna i due artisti l’idea tutta dechirichiana della visione artistica autonoma ma li differenzia completamente il modo in cui questa dimensione atemporale viene ricercata e raggiunta: artisti opposti e complementari insieme.
Per Morandi la dimensione è il suo studio, i suoi oggetti polverosi che abbiamo imparato a riconoscere in tante nature morte in cui la ripetitività dell’oggetto acquista un significato interiore e in qualche modo metafisico. De Chirico, immerso in una grecità tutta mediterranea, guarda alla città, alla storia, al mondo che cambia attorno a lui attraverso una visione sincretica che esula dalla cronaca ma tiene sempre presente elementi di realtà che diventano simbolici. 

    
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