Dal settimanale "Il Piccolo" di venerdì 2 dicembre 2016, riportiamo l'articolo:
Il grande presepe in ceramica faentina
di Isabel Tozzi
Nove statue. Due metri circa di altezza
ciascuna. Parliamo di un presepe a grandezza naturale, realizzato da
ceramisti faentini come dono e ringraziamento a papa Giovanni Paolo II,
per la visita pastorale in Romagna (8-11 maggio 1986) che lo portò il
10 maggio ‘86 a Faenza. L’iniziativa nacque dal prefetto emerito della
Casa Vaticana mons. Dino Monduzzi, per lasciare una traccia di Faenza
in Vaticano. Si pensò alla realizzazione di un presepe in ceramica e
alla ristrutturazione di una cappellina spoglia nella Villa Pontificia,
sempre ricorrendo alle ceramiche faentine, che dall’inaugurazione del
1990 ha preso il nome di Cappellina Faenza. Gli attori principali di
questa iniziativa furono tre: il prefetto mons. Monduzzi, don Gino
Montanari (cappellano alla Casa di Riposo di Faenza) e Alteo Dolcini
(presidente Ente Ceramica). I ceramisti che lavorarono alla
realizzazione del presepe furono: Silvana Geminiani e Sandro Buonaiuto
(italo-americano che alla bottega Geminiani svolgeva un percorso di
perfezionamento), che si occuparono di S. Giuseppe, Maria e Gesù (nella
foto grande a destra); Giancarlo Piani, che realizzò le figure del
“dotto”, ossia san Matteo col libro in mano, e della portatrice d’acqua
(nella foto grande al centro); Giordano Tronconi realizzò una donna con
bambino(in basso al centro); e, infine, Vittorio Ragazzini plasmò i tre
Re Magi (nella foto grande a sinistra) e il Pietro Andrea (in basso),
ceramista faentino del XV secolo a cui fu commissionata la
pavimentazione ceramica della bolognese Cappella Vaselli in S.
Petronio, attraverso piastrelle con decori tipici della ceramica
faentina.
Fu
Dolcini a chiedere il Pietro Andrea a Ragazzini, che dopo alcune
iniziali perplessità - in quanto la figura del ceramista non è fra le
più tradizionali - lo eseguì con maestria. Fu l’ultima statua a essere
inviata. Man mano che erano pronte venivano caricate e imballate con
cura per affrontare il viaggio. Vittorio Ragazzini iniziò a lavorare
alle sue quattro figure il 16 ottobre 1986; aveva già esperienza, ma
per raggiungere un ulteriore livello di manualità nell’arte ceramica si
affidò agli insegnamenti di Walter Bosi, che fu suo maestro e da cui
apprese a modellare e dare espressione alle sculture. Impiegò
all’incirca 500 ore di lavoro per ciascun soggetto, seguendo i vari
stadi del lavoro da zero fino all’opera completa: dal modello a
perdere, allo stampo, dalle rifiniture al colorato, dal cotto
all’assemblaggio. “È stata una bella esperienza. Si impara facendo, la
manualità si acquisisce e si apprende anche come usare al meglio il
cervello, cercando di adottare le soluzioni più adeguate per
risparmiare tempo. Sbagliando si impara, è sull’errore che si migliora;
quest’esperienza è stata una scuola di vita”, afferma Ragazzini, che
terminò il suo lavoro il Natale del 1989. Ogni ceramista eseguì in
autonomia le proprie statue, che inviate in Vaticano, andarono a
comporre, con ricchezza e diversità di stili, la scena del grande
presepe in ceramica faentina.
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Il presepe in ceramica di Faenza di Castel Gandolfo
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Chiesa di S. Tommaso da Villanova ove è
conservato il presepe.
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Ceramista Giovanni Tronconi, donna con bambino.
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Ceramista Vittorio Ragazzini, i tre Magi.
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Dal lunedì dell’Angelo del 1990, giorno
della donazione ufficiale del presepe, per dieci anni l’opera fu
installato nel Salone degli Svizzeri della Villa Pontificia di Castel
Gandolfo. Fu anche esposto sotto al loggiato antistante la Villa, sotto
la sorveglianza dei carabinieri. Il presepe è conservato nella cripta
della chiesa pontificia di S. Tommaso da Villanova, sempre a Castel
Gandolfo. L’opera
fu molto apprezzata e ben accolta, prese anche parte a una mostra di
tutti i presepi donati a papa Giovanni Paolo II durante il suo
pontificato, provenienti da tutto il mondo, mostra che si svolse a
Palestrina. Vittorio Ragazzini ebbe occasione di visitarla e di
apprendere in quella circostanza che il Papa era rimasto colpito
dall’espressività delle statue dell’opera faentina, soprattutto quella
dei tre Magi, che sembrano davvero comunicare la gioia dell’avvenimento
a cui assistono.
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