Tomaso Dal Pozzo il poeta del paesaggio

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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TOMASO DAL POZZO IL POETA DEL PAESAGGIO

Stefano Dirani


Tomaso Francesco nacque a Faenza il 3 novembre 1862 da Luigi e Caterina Giacometti, in una casa nei pressi di Porta Montanara, in via Domizia n. 65 (ora C.so Matteotti n. 60). Abitazione che molti anni prima dette i natali ad un altro illustre artista faentino dall'omonimo nome, il pittore Tommaso Minardi (1787-1871). Per onorare quest'ultimo, nella facciata della casa fu collocata una lapide con la seguente epigrafe: «Qui nacque nel 1787 Tommaso Minardi pittore e principe del disegnato del secolo XIX morto in Roma nel 1871»; (a tal proposito sarebbe opportuno, a parer nostro, collocarne un'altra per il Dal Pozzo). Battezzato nella sua parrocchia «S. Lorenzo» (ora S. Margherita, parrocchia di S. Agostino) da Don Giuseppe Dal Pozzo, rimase presto orfano del padre e probabilmente venne inserito per un breve periodo nel locale orfanotrofio. Aveva undici anni, quando nell'ottobre del 1873 presentò domanda per l'iscrizione al corso della «Scuola di Arti e Mestieri» diretta dal Prof. Antonio Berti, ma dopo aver frequentato per un breve periodo il corso '73 '74 lo abbandonò per fare il garzone in una bottega. Ben presto pentitosi, ritornò sui suoi passi e l'otto dicembre del 1874 rivolse nuovamente richiesta al direttore della scuola per l'iscrizione al corso '74 '75 già iniziato promettendo fra l'altro di rimanere fino alla fine.


Tomaso Dal Pozzo con la tavolozza in mano
mentre dipinge al cavalletto.

Ebbe come insegnante il Prof. Antonio Berti, titolare della cattedra di disegno ornamentale e plastica, ma chi per primo lo iniziò alla vita artistica, formandolo come pittore di maioliche, fu Giuseppe Ghinassi (1844-1903), un benestante faentino più anziano di lui che si dilettava di pittura su tela e su maiolica per pura passione e che Tomaso incominciò a frequentare. Il Ghinassi aveva dapprima creato uno studio nel suo palazzo in Via Emilia Corso di Porta Ponte civ. 101/99 (ora C.so Saffi n. 15), poi per perfezionarsi ulteriormente fece costruire una piccola fornacetta per cuocere le sue maioliche e quelle dei suoi amici in un edificio di sua proprietà, adibito in parte a cereria e situato in via Palazzina civ. 228 (denominata appunto «è viol dla zirareia). L'affinità di carattere e l'abilità del Ghinassi attrassero e affascinarono il giovane Tomaso che assiduamente frequentava lo studio cercando di apprendere gli insegnamenti del maestro. Trascorsero tre anni, poi rivediamo Tomaso frequentare il corso '78 '79 indetto dalla Scuola di Arti e Mestieri, e il 13  novembre 1879 si iscrisse alla terza classe nel corso '79 '80, conseguendo a diciotto anni la licenza. Negli anni immediatamente successivi continuò a frequentare la scuola che nel frattempo aveva istituito alcuni studi speciali che evidentemente interessavano molto Tomaso.
Lo scopo di questi corsi particolari era quello di formare e perfezionare gli artigiani nella lavorazione delle varie arti applicate, al fine di consentire alle industrie faentine di avvalersi di mano d'opera sempre più qualificata. Infatti, a conseguimento del diploma, la sua prima occupazione fu presso la Manifattura di Achille Farina denominata «Soc. Ceramica A. Farina e C.», qui venne a contatto con altri pittori faentini più o meno coetanei, Domenico Marcucci (1861-1905), Giovanni Gulmanelli (1858-1913), Ercole Fabbri (1855-1946), Virginio Minardi (1864-1913), Venturino Minardi (1866-1907), Ludovico Bellenghi (1815-1891), Pietro Damiani, Savini Romeo e il bolognese Luigi Banzi eccezionale pittore di paesaggi. E proprio con alcuni di loro, nel 1881 all'Esposizione Industriale di Milano, il Dal Pozzo ottenne una menzione onorevole per il paesaggio in collaborazione con Domenico Marcucci per le raffaellesche, Giovanni Gulmanelli per le figure, Francesco Rava per le une e le altre e Giovanni Collina per la plastica. (Alla Fabbrica Farina in tale occasione fu assegnata la medaglia d'oro).
Nuovamente il Dal Pozzo e il pittore Francesco Rava (1860-1902) furono menzionati per aver eseguito le parti figurative di un ammiratissimo vaso che col piedistallo, sempre in maiolica, era alto ben quattro metri e cinquanta. Esso raffigurava le nozze di Bacco e Arianna, e fu presentato all'Esposizione Nazionale del 1884 a Torino ed acquistato dal locale R. Museo Italiano. L'interesse per i Corsi di Studi Speciali indetti dalla scuola viene dimostrato dal fatto che Tomaso Dal Pozzo, Antonio Mazzetti, Domenico Matteucci, Domenico Marcucci, Francesco Rava e Domenico Randi, che già avevano conseguito la licenza della Scuola di Arti e Mestieri, fecero domanda il 29 ottobre di quell'anno per frequentare anche i corsi del '84'85. In questo periodo Dal Pozzo sposa Anna Gallegati (1863-1944) di Carlo e Luisa Brialdi, da questa unione nasceranno quattro figli. Sono gli anni in cui Dal Pozzo maggiormente dipinge su ceramica e il Prof. Antonio Berti che gli aveva rivelato i macchiaioli gli è complice nei suoi paesaggi «all'acquerello» dei quali ricordiamo: «Neve in montagna», «Sulla laguna», «Venezia», «La cisterna», «Orfanelle», tutti del 1887 e ottenuti con la tecnica «ad impasto». Sul fondo maiolicato e reso fermo venivano fissati i colori con una tavolozza languida che tendeva a riprodurre nella decorazione su maiolica gli effetti della pittura ad olio o all'acquerello. In pratica, dopo aver sottoposto l'oggetto alla prima cottura (biscottatura), lo si ricopriva uniformemente con lo smalto, sottoponendolo poi ad una seconda cottura che non superava i 700 gradi, ma che avrebbe comunque fissato lo smalto stesso. Si otteneva così una base solida, sulla quale, miscelando i colori con particolari olii e resine, per meglio farli aderire alla superficie, si ottenevano sulla maiolica varie tonalità. L'ultima fase era poi quella del fissaggio con un'ulteriore cottura a 920 gradi.

Tomaso Dal Pozzo.
Paesaggio sotto la neve, Manifattura Farina Faenza
Piatto Diam. 50 cm. Maiolica. Proprietà MIC Faenza.


Tomaso Dal Pozzo.
Marina,  Piatto Diam. 21 cm. Maiolica. Proprietà MIC Faenza.


Tomaso Dal Pozzo, medaglione ovale con cornice in ceramica.
 Ritratto del pittore Achille Farina.
Chiesa del Cimitero dell'Osservanza, Faenza.

Questa particolare tecnica, come già detto definita «ad impasto», fu sperimentata da Achille Farina (1804-1879), e visti i notevoli risultati raggiunti, invogliò anche altri pittori faentini quali Antonio Berti (1830-1912), Angelo Marabini (1818-1892), Giuseppe Ghinassi (1844-1903), Ludovico Bellenghi (1815-1891), Adriano Baldini (1810-1881), Savino Lega (1812-1889), Giuseppe Calzi (1846-1908) e Savini Romeo. Finalmente giunse il primo riconoscimento ufficiale: all'Esposizione d'Arte di Bologna del 1888 Tomaso ottenne un notevole successo, e a tal proposito il Dott. Bassini nella recensione sulle maioliche esposte così scriveva:
«Le pitture del Dal Pozzo, con composizioni e pitture moderne, sono di grandissimo valore, quando si consideri quanto sia limitata la tavolozza della quale può disporre e quante difficoltà vi siano nell'usarne, data la brutalità del fuoco. Vi sono paesaggi ed animali dipinti con fare molto sicuro e con quelle pennellate di gusto che ricordano il modo degli acquarellisti e dei pittori napoletani.
Stupendi fra gli altri una Marina ed una Nevicata. I risultati ottenuti dal Dal Pozzo mi farebbero dubitare su quella che io ritengo massima fondamentale e che, cioè, il modo decorativo delle ceramiche, debba essenzialmente ricercarsi negli stili antichi; certo che questi paesaggi sono assai preziose cose».
In seguito a questa lusinghiera relazione «Marina» e «Nevicata» venivano premiate. A testimonianza di ciò, ancora oggi sono ben visibili nel Museo Internazionale delle Ceramiche a Faenza oltre all'autoritratto, due grandi piatti con paesaggi sotto la neve e sotto la pioggia, datati 1888, ed alcune marine e scenette di genere particolarmente espressive. Nel retro di alcune sue ceramiche a volte è dipinto un marchio un po' particolare: ad esempio la figura di un «sole splendente sopra ad un pozzo», disegno che si ritrova nello stemma araldico di una famiglia Dal Pozzo. Non tralasciando la pittura su maiolica ben presto si dedicò anche alla pittura ad olio, prediligendo alla figura il paesaggio, che interpretò con maggiore spontaneità, raggiungendo notevoli risultati che incontrarono la simpatia e la preferenza degli stessi artisti contemporanei. Era in compagnia del Ghinassi quando nel 1887 sull'appennino nei pressi delle Balze di Scavignano si ispirò ad un episodio rivoluzionario del 1845, esordendo appunto con un quadro intitolato «Alle Balze». Esso partecipò al Concorso indetto dall'Amministrazione faentina e l'anno seguente, presentato all'Esposizione Emiliana in Bologna, meritò il primo premio. Questa pittura da cavalletto lo affascinò sempre più, e per questa ottenne i primi riconoscimenti: nel 1891 venne premiato al Concorso Curlandese della 1° Triennale di Milano col quadro «Ultime foglie» e l'anno successivo, alla mostra di Modena, col quadro «Pioggià» fu meritevole della medaglia d'argento del Ministero della Pubblica Istruzione. Presso la Pinacoteca faentina sono conservati diversi oli, raffiguranti un lattaio (1890), una pastorale (1897), un paesaggio montanino e alcuni ritratti. Presso il locale Circolo Cittadino è appeso alla parete uno splendido paesaggio di grandi dimensioni dal titolo «II canale» eseguito nel 1899. Fu anche ritrattista ad olio, e a tal proposito ricordiamo: il ritratto del Comm. Angelo Masini collocato nell'ingresso dell'Ospedale Civile di Faenza, di Federico Gallegati (1891), Gaetano Vitené, Carlo Gallegati (1892), del Conte Vincenzo Zucchini (1893), di Luigi Brussi (1894), del Conte Sebastiano Tampieri (1897), di Francesco Mazzoni, di Viginia Collina, di Monsignor Baldassari e di Monsignor Paolo Taroni, solo per citarne alcuni.

 Non disdegnò neppure la pittura ad acquerello, illustrò infatti la serie dei castelli di Romagna che l'editore Albonetti di Faenza pubblicò su cartolina. La prima serie comprendeva le Rocche di Lugo, Imola, Cesena, Rimini, Forlì, i Castelli dei Da Polenta, Bagnara, Sant'Arcangelo, Meldola, la Torre delle Camminate. La seconda serie era costituita da: la Rocca e la Torre dell'orologio in Brisighella, l'ingresso alla Rocca di Brisighella, Terra del Sole, Riolo, Modigliana, Castel del Rio, Dozza, Ceparano, Oriolo e Monte Poggiolo, inoltre egli illustrò la Commenda di Fra Saba da Castiglione in Borgo Durbecco e altri monumenti del centro faentino. Nel 1890 progettò il disegno dei bracci per la lampada in ferro battuto per l'altare di S. Pier Damiano presso la Cattedrale di Faenza, che furono perfettamente eseguiti dall'officina diretta da Luigi Matteucci (1817-1894). Il 12 maggio 1892 il Presidente della Commissione Amministrativa dell'Orfanotrofio maschi e dell'Opera Pia Cattani di Faenza, sig. Angelo Borghi, comunicò al Prof. Antonio Berti, direttore della Scuola di Arti e Mestieri che dal giorno 16 di quel mese il Dal Pozzo avrebbe impartito gratuitamente lezioni di disegno nella scuola interna dell'Orfanotrofio e di conseguenza gli allievi che fino a quel momento avevano frequentato la scuola da lui diretta avrebbero cessato tale frequenza. Questo gesto generoso di Dal Pozzo potrebbe essere sicuramente interpretato come un riconoscimento nei confronti di chi l'aveva aiutato alla morte del padre. Al grande maestro Achille Farina che aveva contribuito a riportare in auge l'antica tradizione della maiolica faentina egli dedicò il ritratto su maiolica murato nel 1894 nella chiesa del Cimitero dell'Osservanza. Sempre su maiolica, eseguì altri ritratti ricordiamo quello del Prof. G. B. Sarti (1887), di Angela Strocchi (1889), di Pio Archi (1891), di Achille Brani e di Cassandra Del Bono (1898). La sua vita fu colma di interessi, oltre ad essersi applicato come abbiamo visto nell'arte e nell'insegnamento fu anche studioso e storico dell'arte. Intendeva infatti recuperare e valorizzare il patrimonio locale, a tal riguardo numerosi sono i suoi articoli nei giornali dell'epoca.
Nel 1892 terminò lo studio sulla ricostruzione del sepolcro di San Savino opera di Benedetto da Maiano nella Cattedrale a Faenza, eseguì il progetto al monumento del Gen. Pasi, patrocinò e fu il promotore del restauro di vari monumenti faentini. Progettò pure le due cappelle mortuarie delle Famiglie Graziani e Pancrazi presso il Cimitero dell'Osservanza di Faenza (1904), le cui parti in ferro furono eseguite dalla notissima officina Matteucci. Nell'Anno Santo (1900) i Padri Cappuccini innalzarono il Santuario in onore del S.S. Crocifìsso, il Dal Pozzo, coadiuvato da Don Giuseppe Contavalli, (1844-1920) eseguì il disegno architettonico della cappella del Crocifisso, come pure quello dell'altare e dell'ancóna in marmo, inoltre espresse nell'affresco della cupola tutto il suo genio creativo. Sempre in quell'anno illustrò pubblicamente il progetto di scopritura della facciata del Palazzo del Podestà di Faenza quando ancora non erano state demolite le vecchie costruzioni, le competenti autorità presero in considerazione il progetto che realizzarono diversi anni dopo con l'abbattimento delle vecchie case e la creazione della grande piazza del mercato. Dal Pozzo ricoprì anche importanti cariche pubbliche pur non addentrandosi troppo in politica. Nel 1896 fece parte della commissione, assieme all'ingegnere capo Giuseppe Tramontani e al Prof. Federico Argnani, per il restauro del Fonte Pubblico a fianco alla Cattedrale, affidando la ripulitura dei bronzi all'officina di Francesco Matteucci (1850-1928) e le riparazioni dei marmi al marmista Tommaso Silvani. Fu in quell'occasione (1897) che l'antica e splendida cancellata (su disegno di Domenico Castelli), che circondava il monumento e che parzialmente ne impediva la sua vista, fu completamente tolta. Lo smembramento e la collocazione della cancellata in diversi ingressi di edifici pubblici suscitò aspre critiche non ancora spente.



Alcuni castelli Romagnoli disegnati da Tomaso Dal Pozzo, che l'editore Albonetti pubblicò su cartoline.



Negli ultimi anni del secolo si dedicò con buoni risultati alla decorazione muraria, numerosi furono infatti i soffitti da lui decorati in varie case faentine. Nel 1898 dipinse a tempera nella Cappella di S. Pier Damiano, presso la Cattedrale di Faenza, due episodi della vita del Santo. Nella parete di sinistra rappresentò San Pier Damiano fanciullo che consegna una moneta trovata fra l'erba ad un sacerdote perché celebri una messa per l'anima di suo padre, nella parete di destra S. Pier Damiano induce il re Arrigo IV a richiamare la consorte Berta di Savoia che egli aveva ripudiata. Decorò pure il soffitto durante i restauri della chiesa di S. Bernardo, nel 1904 ritoccò gli affreschi settecenteschi della chiesina dedicata alla B.V. della Concezione presso la prima cappella a destra nella chiesa di S. Francesco, ed eseguì anche due grandi tempere raffiguranti «l'Industria» e «il Commercio» visibili ancora oggi ai lati dello scalone presso il Palazzo delle Esposizioni in c.so Mazzini n. 92 a Faenza. Ma il grande capolavoro fu compiuto a Solarolo nella villa denominata «II Palazzone». Su invito della Contessa Fanny Revedin vedova del Conte Ercole Magnaguti, Dal Pozzo decorò interamente la grande sala adibita, un tempo, ai ritrovi e alle feste. La villa passò poi di proprietà al Comm. Ferdinando Piancastelli. Al centro della grande volta del soffitto dipinse a fresco scene di putti e alle pareti dipinse a tempera le quattro stagioni. Questi quattro paesaggi rievocati secondo il loro aspetto naturale, e di cui brevemente descriviamo, furono definiti «inni di poesia»: dolcissima e idilliaca la primavera, forte e luminosa l'estate, drammatico e violento l'autunno, crudo e freddo di una verità sconcertante l'inverno. Purtroppo di queste testimonianze non ne è rimasto che l'immagine fotografica, in quanto l'ultima guerra distrusse completamente la magnifica villa settecentesca. All'inizio del nuovo secolo il Conte Carlo Gavina, resosi conto che l'antico prestigio dell'arte ceramica faentina stava perdendosi e consapevole della grave crisi in cui si dibattevano le tre grosse fabbriche del Farina, del Ferniani e del Treré, desideroso di sanare la drammatica situazione, mise in atto un progetto che consisteva nella riunione dei tre opifici. Formò una nuova società denominata «Fabbriche Riunite di Ceramiche» con la sede amministrativa a Milano, e come direttore artistico fu nominato il Dal Pozzo. Con questa operazione la ceramica faentina riprese esuberante vitalità, basando la sua produzione artistica su oggetti decorati e plasticati di raro virtuosismo. Il concetto dell'arte della maiolica applicata all'industria fu inteso da Tomaso Dal Pozzo in maniera molto pratica, infatti il 16 maggio 1902 egli scriveva pubblicamente una lettera agli artisti della ceramica, ne riportiamo una parte: «... Mi permettano di consigliargli a tenere la loro lavorazione in un campo molto pratico.



Alcune vedute di Faenza disegnate da Tomaso Dal Pozzo, che l'editore Albonetti pubblicò in cartolina.




Noi maiolicari abbiamo sempre aspirato un po' troppo alla gloria, dimenticando l'utile, ma essa in cinque secoli non ha baciato la fronte che a Luca della Robbia e a Bernardo Palissy». Il 14 dicembre 1903 morì il suo amico e maestro Giuseppe Ghinassi col quale aveva per lungo tempo trascorso intere giornate dedicate al pennello e ai progetti futuri. Progetti che, per il Dal Pozzo, si realizzarono con i vari riconoscimenti: nel 1901 alla Esposizione di Rimini fu premiato con la medaglia d'argento con un quadro raffigurante un paesaggio acquistato dal Ministero della Pubblica Istruzione, nel 1903 alla Esposizione di Lugo risultò vincitore con una medaglia d'oro col quadro «Primi raggi», nello stesso anno alla Esposizione di Imola ottenne una medaglia d'argento e quella di bronzo offerta dal Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1904 alla Esposizione di Ravenna si meritò la medaglia d'argento, ed anche il Consiglio Accademico di Ravenna premiò il Dal Pozzo che aveva presentato alcune maioliche per le quali scrisse:
«Sono mirabili per quanto mai dir si possa e perfetti i ritratti, sia pel colorito che per l'espressione. Ottimi ancora i paesaggi e specialmente per la verità delle movenze delle figure. Il Giurì Accademico, considerata la difficoltà del lavoro ed i pregi artistici degli oggetti esposti, tanto per la finezza della maiolica, che per la verità e colorito dei dipinti, aggiudicava al medesimo a grandissima maggioranza, il premio con medaglia da lire cento, ed aperta la scheda relativa constata essere il Dal Pozzo ecc...».
Anche in altre Esposizioni quali quella di Venezia e quella di Belle Arti in Firenze si procurò fama e notorietà. Alla morte di Federico Argnani (1822-1905) avvenuta il 18 giugno 1905, il Dal Pozzo fu chiamato alla direzione della Pinacoteca e del Museo Comunale di Faenza, incarico che tenne solo per pochissimi mesi. Il suo destino infatti fu crudele, una malattia Io stava minando da anni e quando allo stremo delle forze e con pochi giorni di vita, ebbe la forza di porsi dinanzi allo specchio e ritrarsi. Nelle Fabbriche Riunite il Dal Pozzo mantenne la direzione artistica fino alla sua morte che avvenne a Faenza nella notte del 20 febbraio 1906 all'età di 43 anni, mentre stava preparando il materiale da presentare alla grande Esposizione di Milano del 1906. Fu sostituito dal Prof. Achille Calzi (1873-1919) che portò a termine quanto in precedenza era già stato programmato. Infatti il meritato successo conseguito a quella Esposizione, il Gran Premio della giuria internazionale e varie Medaglie d'oro e d'argento sono da addebitarsi prevalentemente al Dal Pozzo.

Alla sua scomparsa la «Società del Risveglio Cittadino», che si era costituita all'inizio del secolo con lo scopo di promuovere manifestazioni culturali nei vari settori, nella Mostra delle Arti figurative svoltasi nell'agosto del 1906 e allestita nelle sale del Palazzo del Comune, lo commemorò con una ricca retrospettiva delle sue opere ripetuta anche nel 1908. Alla Prima Biennale Romagnola d'Arte ed alle retrospettive degli artisti romagnoli svoltasi a Modigliana nel 1926, il Dal Pozzo fu rievocato con una selezione delle sue opere, come pure nel 1955 alla Mostra degli artisti romagnoli dell'ottocento organizzata a Faenza. Di temperamento umile, sincero e onesto, evitò ogni clamore ed ogni pubblicità intorno alla sua opera. La prematura scomparsa, proprio quando stava affermandosi in una cerchia più vasta destò rimpianti, testimoniati dai numerosi articoli apparsi su quotidiani e riviste che lo definirono un valente artista e uomo di cultura, gloria dell'arte faentina, degno di una fama ben più vasta. Artista della grande tradizione maiolicara faentina, è degno di essere ricordato particolarmente per l'espressione poetica dei suoi paesaggi, nella sinfonia dei colori realizzati con la fresca immediatezza della tecnica all'acquerello che ricorda un po' la maniera dei macchiaioli fiorentini, fedele interprete della luce e del colore fissato sulla tela. Molto appropriato e sintetico è quanto il Ballardini scrisse di lui: «... Egli non solo vedeva con occhio di pittore, ma intuiva con animo di poeta».


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