ARMATI SOLO BIRRI E BRIGANTI?
Angelo Emiliani
«Chiunque, fuori del recinto di sua abitazione, fosse sorpreso con
qualunque arma, tanto comburente quanto pungente, rendesi colpevole di
delazione d'armi e sarà fucilato». Lo stabilisce l'ordinanza emessa in
Bologna il 2 luglio 1850 dall'Imperial Regio governatore militare e
civile tenente maresciallo Karl Friedrich von Grawert. La drastica
misura è motivata dalla «crescente attività della banda che ha capo il
ben noto Stefano Pelloni sopracchiamato il Passatore». Passeranno quasi
tre anni prima che la schioppettata del sussidiario Apollinare Fantini
chiuda il libro delle malefatte del più famoso brigante romagnolo.
Bastano invece pochi giorni perché l’ordinanza faccia le prime vittime.
Il 2 agosto, un mese esatto dopo l'emanazione del provvedimento, a
Imola vengono messi al muro tre giovani: Paolo Gadoni, contadino di 18
anni della Serra di Castel Bolognese, il solarolese Sante Almerighi,
sarto di 22 anni, e l'imolese Francesco Casadio soprannominato
Cassiano, 22 anni anch'egli, operaio e sposato con figli.
Ricostruzione grafica di una fucilazione.
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«Furono nel mattino del 29 luglio scorso - si legge nella Notificazione
che annuncia l'avvenuta esecuzione della condanna - arrestati nella
parrocchia di Mongardino, Governatorato di Casola Valsenio, provincia
di Ravenna. Si erano colà portati armati rispettivamente di archibugio,
di pistole e di coltello, all’intendimento di aggredire quelli che si
recavano alla Fiera che celebravasi in quel giorno a Casola Valsenio.
I medesimi, tradotti avanti il Giudizio Statario in Imola, e convinti
rei, in parte per loro confessione ed in parte pel concorso di altre
circostanze militanti tutte in loro aggravio, di delazioni d'armi colla
prava intenzione su spiegata, e di altri delitti, rapine cioè
grassazioni ultimamente avvenute in Romagna, furono con sentenza di
ieri due corrente Agosto condannati all'ultimo supplizio mediante
fucilazione. La sentenza venne ieri stesso eseguita in quella Città
d'Imola circa il mezzogiorno». Scorrendo le cronache del tempo, viene
tuttavia da pensare che poco sia cambiato rispetto alla situazione
precedente. Pochi mesi prima, il 17 aprile, era finito davanti al
plotone d'esecuzione nel mercato del bestiame a Faenza, l'attuale
Tondo, Giuseppe Casadio detto Era accusato di essersi introdotto nel cortile del Brefotrofio
femminile armato di coltello «puntuto». Tripónt (Treponti). Non era stato necessario
chiarire le intenzioni, se cioè volesse commettere un furto o qualche
altro reato: era un brutto ceffo, un tipo di cattiva fama e questo era
bastato per por fine ai suo giorni. |
Porto d'armi rilasciato il 19 maggio 1836
al bagnacavallese Matteo Novelli.
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É stato scritto che in quegli anni
di meta '800 solo due categorie circolavano armate: i gendarmi - o
«birri» corre si usava chiamarli - e i briganti. Così dovrebbe essere a
seguito delle reiterate e severissime disposizioni che proibiscono la
detenzione di armi d'ogni genere, ma consuetudini e paure più che
giustificate finiscono per indurre tanti a trasgredire. Fra il 1837 e
il 1841, nei soli Comuni della Romagna toscana (le zone collinari da
Castrocaro e Modigliana in su), i controlli portano al rinvenimento di
75 fucili, una cinquantina di armi corte e 14 coltelli più lunghi del
consentito.
Per la verità le disposizioni di polizia non tengono conto dei patti
che regolano i rapporti di mezzadria, finendo per determinare un quadro
normativo contraddittorio. I patti - certamente vincolanti oltre che
saldamente radicati nelle abitudini delle famiglie - prevedono infatti
che il mezzadro possa detenere un fucile per difendere se stesso e i
suoi averi. Adeguarsi al divieto può essere interpretato come il
doverne limitare l’eventuale uso alla soglia di casa, senza poter
intervenire a tutela del podere e dei raccolti quando invece è proprio
il mezzadro a dover rispondere al padrone in caso di ruberie e
danneggiamenti. C’è poi da considerare l'ampia diffusione della caccia
- il cui esercizio e subordinato al consenso del padrone stesso o del
fattore - praticata quale fonte di alimentazione per integrare il magro
ricavato del lavoro dei campi prima ancora che in funzione di
passatempo. In più, sempre in Romagna, licenza di caccia e porto d'armi
si ottengono con lo stesso permesso previo il pagamento di una tassa
che rientra nel novero dei tributi «per carte politiche»: passaporti
per l'interno e per l'estero, carta di libera circolazione, di
soggiorno in Roma, di dimora permanente e cosi via. Dunque,
semplificando forse oltre il consentito: chi va a caccia
dev'essere titolare dell'apposita licenza, la licenza equivale al porto
d'armi, chi viene trovato con un'arma rischia la pena di morte. Non c'e
male quanta a confusione. Che le cose stiano a questo modo pare
confermarlo la Notificazione dell'8 luglio 1859 emessa dalla direzione
di polizia di Bologna. Vi si annuncia che «per disposizione superiore
sono annullate, e rimarranno perciò di niun valore, tutte le licenze
sia di caccia che di ritenzione e porto d'armi vietate».
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Si vuole, in sostanza, procedere ad un controllo generale, dal momento
che gli interessati possono tornare in possesso della licenza con
relativa facilità. Lo Stato unitario non tarda a dettare una nuova
regolamentazione della materia. La legge di Pubblica sicurezza del 20
maggio 1865 e il relative Regolamento stabiliscono che si possa avere
il porto d'armi per due ragioni: difesa personale e caccia. É proibito
in ogni caso portare armi nei luoghi in cui si svolgono adunanze
elettorali, nei tribunali, nei teatri e dove si tengono spettacoli, sui
mezzi pubblici di trasporto. Analogo divieto vale per le persone
mascherate. L'arresto è previsto solo a carico di oziosi, vagabondi,
diffidati e sottoposti a sorveglianza. Con una singolare concessione
per quanta riguarda i luoghi di culto: «La presenza [in chiesa] di
qualche individuo armato di fucile, non può che essere accidentale e
senza lo scopo temuto dalla legge nella proibizione delle riunioni
armate».
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