Leonardo da Vinci in Val di Lamona

"Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita" - Dino Campana, Canti Orfici.
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Storia Medioevale


Leonardo da Vinci in Val di Lamona
Gian Paolo Costa


   La presente epoca del pontificato Bergoglio pare lontana molti anni luce - non solo  secoli (e non moltissimi!) - dai tempi dei Papi sovrani. Il 26 agosto 1492, ventritrè giorni dopo la partenza di Cristoforo Colombo per l'America (dove il genovese sbarcherà, il 12 ottobre), lo spagnolo Rodrigo Borgia viene incoronato Papa-P
rincipe  della Chiesa: Alessandro VI , 214°  Papa. Era padre di sette figli, tra i quali passeranno alla Storia il primogenito Cesare (noto come "il Valentino", in quanto cardinale di Valencia e duca di Valentinois) e la figlia Lucrezia.

  Alessandro VI conduceva una vita da vero... sovrano laico e per questo venne duramente attaccato dal Domenicano Girolamo Savonarola, nativo di Ferrara, che fece la fine che sappiamo: impiccato e poi bruciato; le sue ceneri, assieme a quelle di fra Domenico e fra Silvestro impiccati prima di lui, furono sparse in Arno.
Il papa assecondò le ambizioni sfrenate di Cesare, che ambiva a un proprio ducato e aveva posto gli occhi sul Montefeltro e la Romagna. Il Valentino fu messo in grado di eliminare con estrema ferocia le signorie dei Montefeltro a Urbino, dei Malatesta a Rimini, di Caterina Sforza a Forlì e Imola, e dei  Manfredi a Faenza. Caduta Faenza nell'aprile del 1501, Astorre Manfredi e il fratellastro Giovanni Evangelista (coetaneo perché figlio di Cassandra Pavoni) furono chiusi in Castel Sant'Angelo: saranno strangolati e gettati nel Tevere l'anno successivo, insieme ai loro "maestri di camera". Astorre/Astorgio, del quale si tramanda l'avvenenza, era allora poco più che diciassettenne. Dall'età di tre anni, ovvero dall'assassinio del padre Galeotto per volere della consorte Francesca Bentivoglio, che non perdonava il rapporto del marito con l'amante Cassandra Pavoni che proseguiva nel convento di San Maglorio, Astorre veniva allevato e cresciuto in Faenza, da istitutori, perché i faentini desideravano succedesse al padre.


"...son tutte di terra da fare boccali come si dimostra, in Val di Lamona, fare al fiume Lamona  (q) nell'uscire del Monte Appennino far le predette cose nelle sue rive".



Boccale con stemma dei Manfredi.
Signori di Faenza. Maiolica,
fine sec. XIV - inizio sec. XV
.

     Una volta costituito il proprio ducato - che peraltro ebbe vita molto breve anche per la morte del Padre-Papa per un attacco di malaria. Il 18 agosto 1503 - il Valentino si rivolse all'ingegnere/architetto militare allora più "gettonato" per  ammordernare le strutture difensive: Leonardo da Vinci. Tra l'agosto (un mese che si ripropone, in questa vicenda!) e il dicembre 1502, Leonardo visita le città Romagnole, militarmente importanti, lungo la via Emilia, sotto il diretto controllo del Valentino. Si muove liberamente grazie al lasciapassare rilasciatogli (pervenuto ai giorni nostri) e appunta le sue osservazioni sul taccuino L., ora a Parigi dopo il passaggio per la penisola di Napoleone (!).


     È a Rimini, a Cesena, a Cesenatico (dove disegna il porto canale e ne esegue una splendida immagine prospettica dall'alto), passa per Faenza e, infine sosta a lungo, alcuni mesi, sino a dicembre, a Imola: città quest'ultima "di confine" e da lui - e probabilmente dal suo "datore di lavoro" - giudicata militarmente più importante. Qui, tra l'altro, esegue la splendida, e per concezione modernissima, mappa di Imola oggi nel fondo Windsor della Regina d'Inghilterra. Di e su Faenza, Leonardo ci lascia - molto probabilmente, ma considerando il contesto potremmo dire sicuramente - un'immagine del Duomo, non ancora ultimato, e alcuni appunti  che fanno riferimento diretto alla geologia locale appenninica e all'artigianato ceramico.
Nel codice Hammer (1504-1506) accenna alla presenza in val di Lamona di terra da fare boccali, boccali che si fabbricano sulle rive del fiume medesimo, ovviamente a Faenza! Per poi aggiungere: "...dove per antico li monti Appennini versavano li lor fiumi nel mare Adriano, li quali in gran parte mostrano in fra li monti gran somma di nichi [conghiglie fossili] insieme coll'azzurrigno terren di mare...". Alla luce di queste e altre veloci notazioni geologiche "romagnole", non è escluso che Leonardo a Faenza abbia risalito un tratto della val Lamone in direzione di Firenze (o, vedi mai, che l'abbia percorsa in occasione di un suo trasferimento Firenze-Romagna).

Dal libro: "Il lasciapassare di
Cesare Borgia a Vaprio d'Adda
e il viaggio di Leonardo in Romagna"

testi di Sandra Faini - Lorella Grossi

I SUOLI DI ROMAGNA

Le annotazioni di ordine geologico attinenti alla Romagna sono prevallentemente contenute nel codice Hammer, l'unico manoscritto cui Leonardo abbia cercato di dare una forma organica. La datazione del manoscritto non è sicura: tuttavia la maggioranza degli studiosi collocano la sua compilazione tra il 1505 e il 1508 e Calvi lo destina in epoca immediatamente successiva al viaggio leonardiano in Romagna. Le annotazioni geologiche che riguardano quest'ultima, fissate ai fogli 9 recto, 10 recto e 36 recto, evidenziano, da un lato, il profondo grado di conoscenza del terreno raggiunto da Leonardo, possibile solo all'indomani di una lunga permanenza in Romagna, dall'altra possiedono anche il sapore di ricordi personali. Così nel foglio 9 recto Leonardo dimostra di conoscere perfettamente la causa della presenza di "nichi", vale a dire di fossili marini, sui monti dell'Appennino e contemporaneamente da una poetica definizione delle argille azzurre, definendole "azzurrigno terren di mare".

Particolare della pagina 36 recto del Codice Hammer, appunti con disegno, 30 x 22 cm.
 (Le falde del tufo, o ver creta da vasi, quando) Li suoli, o ver falde delle pietre, non passano troppo sotto le radici de' monti, ch'elle (son a) sono di terra (piena da) da far vasi, piena di nichi; e ancora (va) queste vanno poco sotto, che si trova la terra comune, come si vede ne' fiumi, che scorran la Marca e la Romagna, usciti delli minti Appennini, e...

Un altro riferimento alla Romagna è presente nel brano successive, il 10 recto, in cui è ricordato il paesaggio argilloso, percorso da calanchi, caratteristico della Val Lamone e si accenna alla produzione faentina di ceramiche o, per meglio dire, di "boccali". Infine, se si confronta il brano 36 recto con i precedenti, ci si avvede di come Leonardo possedesse già il concetto di stratigrafia e potesse riconoscere bene tre unità rocciose: le formazioni Marnoso - arenacee e Gessoso - solfifere, le argille azzurre e le terre alluvionali pedemontane, che egli nomina, rispettivamente, "falde dalle pietre vive", "azzurrigno terren di mare" e "terra comune". Accanto al brano finale 36 recto, a corredo visivo dell'annotazione, Leonardo traccia uno schizzo stratigrafico.

Dal libro:
"Geositi testimonianze del tempo"

a cura di Giancarlo Poli






Leonardo cita espressamente la Valle del Lamone descrivendone le rocce: "le radici settentrionali di qualunque alpe non sono ancora petrificate; e questo si vede manifestamente dove i fiumi, che le tagliano, corrano inverso settentrione, li quali taglian, corrano inverso settentrione, li quali taglian nell'altezza de' monti le falde delle pietre vive, e nel congiungersi colle pianure, le predette falde son tutte di terra da fare boccali, come si dimostrano, in Val Lamona, fare al fiume Lamona nell'uscire del monte  Appennino, far lì le predette cose sulle sue rive". [codice Gates ex Leicester, ex Hammer 10A, 10r].
Non si limitò a questi commenti: negli stessi anni, mentre completava la grande tavola di "Sant'Anna, la Madonna e il Bambino con l'agnello", esposta ora nella Grande Galerie al Louvre, vi illustra, nel Basamento su cui poggiano i piedi del mirabile gruppo, un particolare degli strati arenacei e marmorei di questa formazione, scandendo fino nei più minimi dettagli le lamine ondulate, di spessore inferiore al mm, simili a quelle formate da una corrente su un fondale sabbioso marino.



A sinistra, S. Anna, la Madonna e il Bambino con l'agnello, esposto nella Grande Galerie del Louvre, Parigi. Sopra, particolare. Finissime lamine ondulate (increspaturebdi fondo e piccole dune, che si formano sui fondali sabbiosi marini e sulla sabbia dei deserti), isegnate nello strato marron su cui poggia il piede della Vergine. Al di sotto si distingue uno strato grigio omogeneo. Questa alternanza marron-grigio (arenaria-marna) ripetuta per migliaia di volte caratterizza la formazione marnoso-arenacea nell'Appennino romagnolo e umbro.  A sinistra in basso firma di Leonardo da Vinci.

SANT’ANNA, LA MADONNA E IL BAMBINO CON L’AGNELLO (1510 circa)
Leonardo da Vinci (1452-1519) Museo del Louvre – Parigi. Olio su tavola cm. 168 x 130



Il dipinto rappresenta sicuramente uno dei vertici dell’arte di Leonardo e di tutta la pittura del Rinascimento. La composizione è basata sul groviglio costituito dalle tre figure, Sant’Anna, la Vergine e il Bambino, che formano una sorta di struttura a piramide, un’idea che avrà larga fortuna fra gli artisti contemporanei: si vedano, ad esempio, certi dipinti di Raffaello o di Andrea del Sarto. La Madonna, seduta in grembo alla madre, si piega violentemente in avanti per staccare il piccolo Gesù dall’agnellino (animale immolatile) al quale si era avvinghiato. Il tenero animale rappresenta notoriamente il simbolo della Passione di Cristo; la scena simboleggia dunque la consapevolezza di Gesù nell’andare incontro al suo destino. La Vergine vuole trattenere il figlio per impedire che questo destino si compia.  Ma Sant’Anna, che simboleggia la madre Chiesa, trattiene a sua volta la Vergine poiché desidera che si avveri il sacrificio di Cristo per l’umanità. Nonostante la compattezza della struttura piramidale il gruppo delle tre figure e dell’animaletto è caratterizzato da un forte dinamismo.

La Vergine che si protende fortemente verso destra allungando gli arti conferisce un movimento rotatorio a tutta l’immagine. Anche il paesaggio nello sfondo, con le montagne aguzze avvolte nelle brume, i corsi d’acqua in lontananza, le rocce che sembrano sprofondare sotto i piedi delle donne nel primo piano contribuiscono a creare un effetto di inabilità e di continua oscillazione. Siamo negli anni 1510-1513, periodo durante il quale Leonardo era interessato alla rappresentazione del movimento delle figure nello spazio atmosferico.
Il quadro si trovava nel 1517 nello studio di Leonardo presso il castello di Cloux (oggi Clos-Lucé) nei pressi di Amboise. Fu successivamente riportato in Italia da Francesco Melzi, il più fedele allievo dell’artista, insieme a molti altri dipinti, disegni e manoscritti appartenenti all’eredità leonardesca. Dopo un periodo di oblio il quadro fu ritrovato e riconosciuto nel 1629 a Casale Monferrato dal Cardinale Richelieu, che lo donò nel 1636 a Luigi XIII. Dalle Collezioni reali francesi è quindi passato al Louvre.




La storia del Codice Leicester - Hammer ora Gates

Il Codice Leicester (1505-1510) è uno dei quaderni di appunti composto da Leonardo Da Vinci nel quale l’autore ha trascritto le sue osservazioni ed i suoi studi, supportandoli con disegni. Il manoscritto è costituito da 18 carte doppie, cioè 36 fogli (dimensioni: cm 27 x 20) con recto e verso. Sono stati compilati riempiendo un foglio doppio dietro l’altro ed inserendolo ogni volta nei precedenti. E’ esemplare per conoscere il metodo di compilazione usato da Leonardo: è infatti una raccolta di appunti non organizzati in modo sistematico e definitivo e reintegrati via via con osservazioni, nuove considerazioni ed esperimenti. Ci sono sottolineature, aggiunte, cancellature improvvise che evidenziano l’immediatezza della composizione ed un procedere per enunciati ed interrogativi.
Il tema principale è l’acqua con appunti e disegni di vortici e correnti, osservazioni di idrostatica, idrodinamica ed ingegneria idraulica, ma non mancano studi e riflessioni sull’illuminazione del sole, della terra e della luna. Insieme alle intuizioni più originali, come quella sul lumen cinereum della luna, dal codice emergono anche gli errori che Leonardo ereditò dalla tradizione: per esempio riteneva che le maree siano dovute al fatto che l’acqua viene “bevuta” dal fondo del mare. Il tutto è composto con scrittura speculare a quella comune, scrive infatti da destra verso sinistra; questo sembra sia dovuto ad una questione ottica istintiva, assai frequente nei bambini, che in Leonardo non viene corretta in giovane età, anche se molti hanno voluto intravedervi più affascinanti intenti di segretezza.
Il manoscritto fu rinvenuto a Roma nel 1690 dal pittore Giuseppe Grezzi in un vecchio baule. Grezzi tenne il manoscritto fino al 1717, quando un inglese Thomas Coke di Leicester lo comprò.
Il Codice rimase nella sua casa fino a quando un uomo d’affari americano, Armand Hammer, lo comprò nel 1980 nominandolo Hammer Code.
Nel 1994 Bill Gates, presidente della Microsoft, lo acquistò per 30 milioni di dollari, rinominandolo Leicester Code.
Da quando è stato acquistato da Gates il manoscritto è stato esposto nei musei di Venezia, Milano, Roma, Parigi, New York ed ora è a Seattle.
Dopo il suo giro, il Codice farà ritorno a Gates Museum, dove una cripta opportunamente progettata e climatizzata lo ospiterà. Qui il Codice nell’oscurità completa trascorrerà la maggior parte del suo tempo quando Gates desidererà vederlo lo farà solo per brevi periodi ed in condizioni di luce regolata.

(Fonte: http://www.omniarte.it/)

Codice Hammer, foglio 10 recto, 30 x 22 cm.
"Come le radici settentrionali di qualunche alpe non sono ancora petrificate; e questo si vede manifesta mente dove i fiumi, che le tagliano, corrono inverso settrantrione, li quali taglian nell'altezze de' monti le falde delle pietre vive; e, nel congiungersi colle pianure, le predette falde son tutte di terra da fare boccali, come si dimostra, in Val di Lamona, fare al fiume Lamona (q) nell'uscire del monte Appennino, far lì le predette cose nelle sue rive".



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