LE RADICI
STORICHE DEL PALIO DEL NIBALLO
di Gabriele Garavini
Nel
Medio Evo e nell’epoca rinascimentale,
tornei, quintane e corse di cavalli,
rappresentavano un momento di festa e di conseguenza di divertimento.
Le
notizie giunte sino ai giorni nostri su tali avvenimenti sono
frammentarie e
possono essere interpretate in vario modo. Comunque, esistono vari
documenti
storici che attestato la disputa a Faenza di varie competizioni
equestri nelle epoche sopra menzionate, a cui si sono
ispirati nel 1959, i geniali
ideatori di questa competizione “moderna”. Di particolare rilevanza è
la lettera
di Galeotto Manfredi, del 6 agosto 1479, eloquente attestazione dello
svolgimento di gare con cavalli a Faenza. Il documento proviene dal
Fondo
manoscritti della Biblioteca Comunale, che l’ha acquistato da un
antiquario
mantovano, a sua volta venutone in possesso all’asta londinese di
Christie’s,
nel 1997. Il testo è breve, indirizzato a Niccolò Michelozzi
“camerario”
(segretario) di Lorenzo De Medici. Vi sono registrati riscontri precisi
sullo
svolgimento a Faenza di un Palio dell’Assunta il 15 agosto. Il premio
era di “8
braccia di raso verde”, la corsa era “more solito” (abituale), si
svolgeva con
cavalli berberi, probabilmente cavalcati a pelo e vi partecipavano
altre corti
italiane: “pregate el magnifico Lorenzo – scrive infatti il cancelliere
di
Galeotto – li piaze mandare qua li soi barbari (cavalli berberi)”. Altri
cavalli provenivano da Mantova e da Mirandola. E’ dunque ai Manfredi
che risale
il periodo più favorevole per le corse dei cavalli tanto che a Faenza
erano
svariate le corse del Palio.

La mossa dei cavalli berberi, piazza del Popolo Roma, 1859,
in un quadro di Thomas Jones Barker.
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IL PALIO DELL’ASSUNTA
Nel XV
secolo a Faenza si correva, il giorno dell’Assunta, un Palio di cavalli le cui
norme trovavano fondamento nell’ordinamento giuridico della città degli statuti
del XV secolo. Questo
fatto testimonia la grande importanza che la manifestazione rivestiva per la
città e per i cittadini. Il giorno precedente la festa il palio veniva esposto ad una finestra della residenza del Podestà. Così lo descrivono gli Statuti Manfrediani
“De Bravio”: “Il palio, cioè il
drappo che si dava in premio al vincitore, era acquistato con i fondi del
Comune; per questa festività il suo colore era verde, doveva essere di panno
finissimo, la sua misura doveva essere stabilita in otto braccia ed ogni
braccio non doveva avere un valore inferiore ai 45 soldi bolognesi”. La rosa dei premi era
completata da una porchetta, un gallo, due once di spezie e una resta di agli.
Cavalli e Cavalieri dovevano essere presentati ai cittadini sulla Piazza. La corsa poteva essere fatta con
cavalli montati o alla barbaresca, cioè senza cavalieri.
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La partenza era data da un
ufficiale del Comune, designato dal Podestà, nella zona dove era ubicata
l’antica Pieve Ponte, (Pieve S. Procolo) vicino alla riva del fiume Senio,
mentre l’arrivo era situato nella Piazza
Maggiore della città.Una gara
durissima dunque, cinque chilometri percorsi a spron battuto dovevano essere
massacranti per cavallo e cavaliere, e non dovevano mancare scorrettezze ed
inganni se le disposizioni del capitolato fanno preciso divieto di consegnare
immediatamente i premi ai relativi vincitori, dovendosi aspettare la relazione
del delegato alla “mossa”, cioè alla partenza. Se la gara veniva invalidata per
scorrettezze si doveva ripetere il giorno seguente.LA CORSA DEL 29
GIUGNO
Anche il Palio del 29 giugno
trova la sua “legittimazione” negli statuti della città di Faenza, riformati
nel 1410, là dove si codificano le norme per la festa di S. Pietro. La corsa era identica a quella
del Palio dell’Assunta con l’unica variante del colore del drappo, che era
rosso per uniformità ai parametri usati per la festa liturgica. Nel XV secolo il
Palio ebbe vita difficile, soprattutto per mancanza di fondi da parte delle
autorità cittadine e così, con vita alterna, è giunto fino al XVIII secolo.
Contrariamente a quanto sostenuto in passato anche in epoca napoleonica e
nell’età della restaurazione, si continuarono le corse, in particolare nella
festa di S. Pietro.

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Palio del Niballo 2013. (Foto Veca)
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IL PALIO DI S.
NEVOLONE
Alcune ricostruzioni storiche
fanno risalire l’inizio di questa manifestazione alla fine del XIII secolo.
L’organizzazione era affidata all’arte dei calzolai che avevano scelto San
Nevolone come loro patrono. Si svolgeva il 27 luglio e, a
differenza di altre manifestazioni simili, gli attori non furono i nobili,
bensì il popolo. Lo storico del Palio di Faenza,
Primo Solaroli, scrive: “Tutto il popolino, dunque, partecipava alle gare, le
quali avevano inizio fin dalla mattina, con l’erezione nella Piazza maggiore di
un’antenna alta venti piedi, una specie di “albero della cuccagna”, e alla cima
era assicurata una grossa oca. La pertica veniva insaponata con cura affinchè
non fosse troppo facile la salita e i partecipanti alla gara cercavano, aiutati
da amici compiacenti che li spingevano dal basso, di conquistare l’oca; appena
questa veniva tolta dall’incomoda posizione, si dava inizio ad un’altra gara
sempre a base di palmipedi. Si tendeva una grossa fune tra due edifici; ed a
questa venivano appese per le zampe tre oche; passandovi sotto a cavallo i
partecipanti alla gara dovevano, senza rallentare la corsa, strappare il collo
ad una delle oche col solo ausilio delle mani. Alla sera poi si svolgeva
l’inizio ultimo degli spettacoli offerto dalla matricola dei calzolai: una
corsa di cavalli, che partendo da porta Ravegnana aveva la sua conclusione in
Piazza. Il premio consisteva in quattro o
cinque sacchi di biada”. La manifestazione fu sospesa a
causa degli incidenti e dei disordini che provocava. Già in questa occasione emerse a Faenza
lo spirito rionale in quanto la contesa si svolgeva tra gruppi appartenenti ai
diversi quartieri che si differenziavano anche per la rivalità politica.
LA
QUINTANA DEL NIBALLO
Questo breve brano di un cronista
del XIX secolo, Don Antonio Peroni, mansionario della cattedrale, riportato da
Primo Solaroli, illumina sulla quintana carnevalesca “del Niballo”. Scrive il Peroni, relativamente
all’anno 1602:
“Giostra
Fin dall’anno sud.o gli
Anziani di Faenza formarono un ben inteso Capitolato sopra l’antico o
dilettevole trattenimento della Giostra solita ad seguirsi dalla nostra
Nobiltà; ed un altro giorno dalla ringhiera del Pubblico Palazzo ne fu
pubblicato il contenuto di esso. Qui però non intendo parlare di quella
pericolosa Giostra a cavallo, che in alcuni luoghi si usa peranche di correre
l’un contro l’altro con aste broccate di ferro alfine di scavalcarsi; ma di
correre bensì a cavallo contro di una quintana di ferro con nome popolare detto
- Niballo - a norma degli accennati capitoli. Un consimile spettacoloso
divertimento, oltre a torniamenti ed evoluzioni militari fu dato da Faentini
all’Imperatore Federico Barbarossa allorquando con la sua moglie Beatrice prese
alloggio in Faenza nella casa di Guido ed Enrico Manfrredi nel Gennaio 1167,
come rilevasi dal Tonducci a P. 198. Questo spettacoloso divertimento che fin
dal detto tempo, di quando in quando si faceva ordinariamente nel solo tempo di
carnevale, in occasione di un successivo motivo di allegrezza con lusso e
magnificenza straordinaria fu seguito il 29 giugno e per altri consecutivi
giorni nel 1647. In qual costume e con lo
stesso metodo già praticato fino al carnevale del 1786. Ne più da allora in qua
s’è fatto il detto divertimento a motivo dei diversi partiti originati dalla
Rivoluzione Francese”.
“La quintana - ci spiega il
Solaroli - era una buratto a mezzo busto, facente perno sulla sua parte
inferiore, la quale reggeva nel braccio sinistro lo scudo, fungente da
bersaglio, e nel destro il “flagello” costruito in modo diverso da
quintana a quintana, ma sempre con l’unico scopo di colpire, o meglio punire,
il cavaliere che troppo indugiasse sul bersaglio”. Perchè la quintana di Faenza è
detta Niballo? Il Solaroli suppone possa
derivare dalla volgarizzazione della parola Annibale, nome di un re “moro” e
cita dal Vocabolario Romagnolo Italiano, pubblicato da A. Morri a Faenza
nel 1840: “Testa d’Nibal - Saracino, testa di legna dove andavano a ferire i
giostranti”.
Si può quindi affermare senza essere smentiti
che, il Palio del Niballo moderno, ha
sicuramente radici storiche e una sua
tradizione.
La lettera di Galeotto Manfredi a Lorenzo il Magnifico
di Marco Mazzotti
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Il documento, insieme ad un'altra lettera di Galeotto
Manfredi del 28 marzo 1483 è stato acquistato dalla Biblioteca Comunale di
Faenza da un antiquario mantovano, che se l’era aggiudicato all’asta londinese
di Christie’s del 3 dicembre 1997, durante la quale venne dispersa la
biblioteca ginevrina di Giannalisa Feltrinelli, madre dell’editore Gian
Giacomo. La lettera è indirizzata a Niccolò Michelozzi, “camerario” (una carica
assimilabile a quella di segretario alle finanza) di Lorenzo Medici. I segni
della spedizione, come la piegatura del foglio in più parti e il nome del
destinatario scritto nel verso, inducono a ritenere che la provenienza
originale non sia l’archivio dei Manfredi, ma quello della famiglia Michelozzi.

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Lettera di Galeotto Manfredi a Niccolò Michelozzi, 6 agosto
1479. Foglio cartaceo, cm. 21x15.
Biblioteca Comunale Manfrediana, Fondo Manoscritti. Nella parte destra del
retro sigillo impresso; accanto il nome del destinatario.Galeotto Manfredi
scrive a Niccolò Michelozzi, «camerario» di Lorenzo il Magnifico pregandolo di
adoperarsi presso il suo signore affinché gli faccia avere 25 braccia di raso
rosso per il palio che si sta per correre in Faenza, invitandolo a mandare
anche i suoi cavalli berberi per la corsa del palio in Faenza in occasione
della festa dell'Assunta.
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Pur essendo presente il sigillo di Galeotto, si tende ad
escludere che la firma sia autografa del principe, dal momento che è della
stessa mano di tipo cancelleresco che scrive l’intera lettera e che diverge
alquanto da quella più grezza e sicuramente autografa di Galeotto presente in
una carta del 12 ottobre 1478, conservata anch’essa presso la Biblioteca
Comunale. Il testo del documento è breve, ma di indiscutibile importanza,
considerando la scarsità di testimonianze certe sulle corse dei cavalli a
Faenza in età manfrediana che integrino quanto stabilito negli staturi del
1410.

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In questo caso, invece, si registrano riscontri precisi
dello svolgimento del Palio dell’Assunta (in “questa festta de Santa Maria de
agosto”), che il premio era di 25 braccia di raso (“brazza XXV raxo carmisino”;
negli statuti del 1410 era previsto di 8), che la corsa era abituale (“more
solito”), che si svolgeva con cavalli da corsa (“barbari”) e, particolare forse
del tutto inedito, con la partecipazione di cavalli provenienti da altre corti
italiane (“pregate el magnifico Lorenzo li piaze mandare qua li soi barbari
perché glie sono ariana quelli da Mantoa e la Mirandola”). La lettera conferma,
inoltre, gli stretti legami fra Galeotto Manfredi e Lorenzo de’ Medici e come
quest’ultimo utilizzasse il principe faentino per alcuni servizi, per il
compimento dei quali riceveva un compenso (“le prime paghe che avrà”).
Frammento di coppa, proveniente dal Museo delle Ceramiche,
dei primi anni del ‘500, in cui si vede un suonatore di tamburo che precede una
dama, entrambi agghindati con ricchi e sfarzosi abiti dell’epoca; non vi è
dubbio che si possono, qui, vedere come in un film due dei personaggi tipici
che ancor oggi compongono il variegato e coloratissimo corteo della sfilata del
Palio.
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